lunedì 29 settembre 2025

AMNESIAK “Arkfiend” - Autoproduzione




Il suono criptico e visionario del doom/gothic rock, in maniera costante e inesorabile, è riuscito a generare un’intera scena di adepti, profeti ed esegeti che continuano a definirlo in vari modi nello scopo di rafforzare la sua essenza intima e accattivante. Gli AMNESIAK con il debutto “Arkfiend” si muovono sullo stesso asse italo/inglese, infatti accanto alla suadente e carismatica Grace Wilson c’è Francesco Fonte, musicista di grande talento fondamentale per lo sviluppo di certe sonorità connesse con gli spazi più reconditi dell’animo umano. In questo disco la creatività musicale trova magicamente la sua strada in un laboratorio a cielo aperto dove l’incedere degli strumenti si interseca con la voce ipnotica della bravissima cantante londinese, una narrazione tragicamente intima che evoca la contrapposizione tra luce e tenebre. Il cono d’ombra non può certo dirsi cambiato se paragonato a quello intravisto nella dimensione in cui fluttuava l’omonimo EP del 2023, e così anche stavolta i brani si snodano attraverso strutture sonore ben assestate e costellate dalla giusta dose di magnificenza, indispensabile per poter allineare la nostra sensibilità alla visione del gruppo britannico, sottolineando quindi la particolarità dell'intero lavoro, che apparentemente sembra formato da canzoni lineari sul piano compositivo, mentre ad un ascolto più attento si rivelano ottimamente costruite e per niente semplici o prevedibili. La proverbiale teatralità degli Amnesiak è vivida ed appassionata più che mai, ad alimentare un poetismo d’avanguardia infinitamente decadente, spesso vicino alle piangenti vibrazioni scatenate dalla prima generazione new wave d'oltremanica, che rende il tutto ancora più affascinate ed efficace. Il duo sa quali sono le sue armi vincenti per catalizzare maggiore attenzione: una musica ricercata e arrangiata con maestria, fatta di contrasti illusori ed emozionanti, una voce resistente alla sofferenza, un timbro inquieto e persuasivo destinato a scuotere e disturbare l’anima dei più dannati, mostrando le sue provocanti sfumature di nero. Il filo conduttore è dato sempre dal sapiente utilizzo degli strumenti, evocando un tocco ricco di enfasi e dinamismo, e pregno di quel “mal de vivre” che permea ogni singola traccia. Gli Amnesiak valorizzano appieno il proprio modo di intendere e concepire le cose riuscendo, cosa non trascurabile per una realtà attiva dal 2020, a non essere succubi delle influenze musicali più dirette. Un brano come la conclusiva “The Last Rattle” testimonia la sincera e sentita vicinanza a quell’alone di mistero di cui è intriso l'intero album. A questo punto il gruppo è davvero pronto per spiccare il salto di qualità decisivo, confidando nell’apertura mentale del pubblico e ottenere così il giusto riconoscimento. “Arkfiend” è stato registrato e mixato dal polistrumentista Francesco Fonte nel suo studio personale. Masterizzato da Tim Turan (Turan Studio Ltd): rinomato ingegnere del suono che ha lavorato per Roger Waters, David Bowie, Killing Joke, Marilyn Manson, Duran Duran, Patty Smith, Rush, Foo Fighters, Cypress Hill, Motörhead, Emperor, Obituary, Pestilence, Cryptopsy, Cynic e tansissimi altri.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Deamoniacus, Archfiend, Flamed In Solitude, Pillory Of Victory, White Rabbit, Bootlicker, The Last Rattle



venerdì 26 settembre 2025

THE HAUNTED "Songs of Last Resort" - Century Media Records




I THE HAUNTED danno sfogo in pieno alla loro grande passione per il thrash-death metal, non che ci sia un'ulteriore necessità di ribadirlo. È sempre stato così e continuerà ad esserlo anche in futuro, ne sono certo, a prescindere da quanto fatto nei dischi più controversi e opinabili del passato. Qui la coerenza è sinonimo di compattezza, di coesione. Chi conosce il gruppo svedese sa bene cosa aspettarsi, e sarà altrettanto consapevole che questi musicisti sono legati insieme da preferenze stilistiche ossessivamente espresse e ripetute nel tempo, a dispetto dei detrattori. Pensate che la natura di una band, con la sua storia e il suo gusto musicale, possa limitare la sua potenzialità che la rende specializzata in un determinato genere? Dico basta a chi predica e agisce in un modo, ma poi si comporta in maniera opposta, mostrando una mancanza di coerenza tra parole e fatti. Siete in grado di riconoscere la qualità di un album? Troppo spesso si giudica negativamente solo per il gusto di farlo, ed è palesemente dimostrato. Si decide di penalizzare un disco come “Songs Of Last Resort”, però si continua a confermare il voto “7,5” o “8” per altre pubblicazioni thrash-death metal che, secondo il mio modesto parere, non meritano particolare attenzione. Quindi fatemi capire come funziona: le vostre recensioni “positive” sono ancorate ai gusti personali? Diversamente, non si spiegherebbe perché si continua ad agire in un certo modo. E sempre la stessa storia. Per come la vedo io i The Haunted sono tornati a picchiare duro con un decimo full-length che spacca il culo, dimostrando un affiatamento che traspare con decisione. La cascata di note che fuoriesce dagli amplificatori è il riflesso di una passione sincera e travolgente che va a potenziare il trasporto che caratterizza l’operato dei Nostri. Al di là delle scelte messe al servizio del songwriting, “Songs Of Last Resort” evidenzia una precisa identità, energica e incalzante, come da manuale. Non siamo di certo di fronte a qualcosa di diverso rispetto a quanto proposto nei precedenti due lavori in studio, ma il quintetto riesce comunque a prendere le distanze da tutto ciò che potrebbe sembrare “superfluo”, e lo fa con audace abilità e competenza, soprattutto nei brani più cadenzati. La produzione pulita, ma anche dinamica e dominante, è il punto di forza del disco, d’altronde la perizia in gioco lascia poco spazio a dubbi. La frenesia della sezione ritmica, con un chirurgico Jonas Björler al basso e un Adrian Erlandsson dietro le pelli impareggiabile per precisione e padronanza dello strumento, costituisce il binario perfetto su cui viaggiano le scorribande dei chitarristi Patrik Jensen e Ola Englund, autentiche fucine di riff violenti e vorticosi. In parallelo alle consuete sfuriate chitarristiche, da sempre elemento cardine del trademark agguerrito dei The Haunted, si muovono le dense e stratificate melodie che in certi passaggi smorzano l’impatto animalesco delle tracce. E che dire della prova vocale di Marco Aro? Una garanzia, una goduria assoluta: la sua timbrica, nervosa e ringhiante, soddisfa appieno e senza riserve. Dopo ventinove anni di onorata carriera, i The Haunted non mostrano segni di stanchezza o di cedimento nella vena artistica, grazie anche alla solidità della line-up, invariata negli ultimi dodici anni. “Songs Of Last Resort” è un capitolo ricco di spunti e soluzioni musicali davvero interessanti. Gli ascoltatori più attenti e meno esigenti troveranno pane per i loro denti.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Warhead, In Fire Reborn, Death To The Crown, To Bleed Out, Unbound, Hell is Wasted On The Dead, Through The Fire, Collateral Carnage, Blood Clots, Salvation Recalled, Labyrinth Of Lies, Letters Of Last Resort





mercoledì 24 settembre 2025

SOULREAPERS - "UN NUOVO INIZIO"




FORTI DI UN PRIMO ALBUM INTITOLATO "MELODY OF CHAOS", I SOULREAPERS LASCIANO IL SEGNO IN TERMINI DI AUTENTICITA', PASSIONE E ATTITUDINE. MIKE TARANTINO (EX-NATRON, EX-PENIS LEECH) E GIUSEPPE "BUZZ" NICOLO' (LOSTSOUL STUDIOS, MEMORIES OF A LOST SOUL, DEGENERATED, TRAUMAGAIN, etc.), GLI UNICI DUE MEMBRI COINVOLTI NEL PROGETTO, SI DIMOSTRANO MUSICISTI DI TUTTO RISPETTO, CAPACI DI ELEVARSI AD UN LIVELLO SUPERIORE GRAZIE AD UN'ESPERIENZA ORMAI CONSOLIDATA IN TANTI ANNI DI ATTIVITA', DANDO COSI' PROVA DELLE LORO IMPRESCINDIBILI POTENZIALITA'. IL SUCCITATO DEBUTTO, PUBBLICATO DALLA GREAT DANE RECORDS, GARANTISCE A QUESTA BAND UN POSTO DI RILIEVO NEL CIRCUITO DEL MELODIC DEATH METAL NAZIONALE ED INTERNZIONALE. E' STATO UN VERO PIACERE INTERVISTARE MIKE E GIUSEPPE.

Come siete entrati in contatto e quali sono le ragioni che vi hanno spinto a dare vita al progetto SoulReapers? La creazione di questa band ha avuto una lunga gestazione?


Mike: La storia dei SoulReapers è stata un po' un 'divenire' piuttosto che una lunga gestazione. Io e Giuseppe ci conosciamo e ci stimiamo da tempo, e ci tenevamo in contatto sporadicamente sui social. La scintilla è scoccata quando ho registrato un paio di pezzi per l'ultimo album degli amici Stige. Appena è uscito il videoclip, Giuseppe mi ha contattato per propormi di cantare su un suo brano. Le affinità musicali erano così evidenti che ho accettato subito la sfida. Ho allestito con il suo supporto una piccola postazione di registrazione in casa e, quello che doveva essere un singolo pezzo, si è moltiplicato rapidamente, fino a diventare un intero album. È stata una progressione naturale, un flusso creativo alimentato dall'entusiasmo e dall'amore per la musica.

Come avete lavorato per preparare tutto il materiale racchiuso nel vostro album di debutto “Melody of Chaos”, oltre che per arrangiare ogni singola traccia. Immagino non sia stato facile collaborare a distanza.

Mike: Facile, no, ma incredibilmente divertente. Giuseppe, il 'Buzz', è una vera e propria fucina di idee, un produttore instancabile di melodie potenti e intriganti. Il nostro processo creativo è stato una continua staffetta: lui registrava le basi e le condivideva, e io davo i miei input mentre lui le riarrangiava e le perfezionava. Una volta che la struttura del pezzo era solida, mi dedicavo a immaginare le linee vocali, scrivere i testi e registrarli. La nostra sinergia era talmente forte che la distanza non è mai stata un ostacolo. Ogni passaggio era una condivisione costante di idee e feedback, basata su un rispetto reciproco totale. È proprio grazie a questo flusso di lavoro che il risultato finale, "Melody of Chaos", ha superato ogni nostra aspettativa.

Quanto è stato difficile adeguare il vostro stile (come musicisti) alle esigenze del progetto SoulReapers?

Mike: La cosa incredibile è che non abbiamo incontrato alcuna difficoltà, al contrario. Io e Buzz abbiamo gusti musicali molto ampi e non ci piace vincolarci a un solo genere. Questo approccio aperto è stato fondamentale, perché ci ha permesso di creare musica senza sentirci costretti in schemi predefiniti. Il nostro denominatore comune è la passione per il death metal melodico, e da lì siamo partiti. Buzz, in quanto autore della musica, ha seguito il suo istinto creativo, componendo pezzi che sapeva si sarebbero adattati al mio stile vocale. Io, dal mio punto di vista, ho arricchito il mio growl con nuovi esperimenti, trovando il modo di fonderlo perfettamente con la musica. Il risultato è un sound autentico e originale, che riflette pienamente chi siamo come musicisti.

Molto spesso si dice che le differenze possono creare cose speciali, poiché la valorizzazione della diversità porta a una maggiore creatività. Sei d’accordo con me?

Mike: Assolutamente. Crediamo che le differenze, se gestite con maturità ed elasticità mentale, siano la più grande risorsa creativa. Ci si può chiudere nella propria opinione, rimanendo immobili e bloccando ogni possibilità di crescita. Oppure, si può scegliere la strada del confronto costruttivo. Quando si valorizzano i punti di vista diversi, si innesca un processo che porta non solo alla crescita personale di ogni individuo, ma anche a un risultato finale che va ben oltre ciò che una singola persona avrebbe potuto concepire. Nel nostro caso, questo processo ci ha permesso di creare qualcosa che non avremmo mai potuto realizzare lavorando da soli. "Melody of Chaos" è il risultato di questa sinergia, una fusione di idee e prospettive che ha dato vita a un suono unico, più grande della somma delle singole parti. Questo principio, del resto, vale in ogni ambito: nella musica, come nella vita e nel lavoro.

Quale funzione assumono le voci femminili nell’atmosfera del disco?

Giuseppe: Abbiamo voluto che le voci femminili avessero un ruolo ben preciso, quasi teatrale. La loro funzione è quella di un richiamo angelico che si contrappone al nostro growl, un contrasto tra bene e male, tra ragione e caos. Sono una voce narrante, un'eco che guida l'ascoltatore attraverso i nostri testi, un consigliere che si rivolge all'umanità. Per questo ruolo, abbiamo scelto di collaborare con Annalisa Logoteta, conosciuta come Dysphoria, un'artista dark emergente che ha già dato prova del suo talento con i M.O.A.L.S e nel progetto G.A.E.A. La sua performance ha aggiunto un'ulteriore profondità all'atmosfera del disco.

Qual è il vostro personale background musicale? Presumo che abbiate influenze differenti, a prescindere dalla passione per la musica metal.

Mike: Il mio background affonda le radici nel rock e nel metal, in tutte le loro sfumature. Il primo amore sono stati i Queen, per poi passare al rock melodico di band come gli Europe e i Bon Jovi. Ma la vera svolta è arrivata con 'Keeper of the Seven Keys Part II' degli Helloween, l'album che mi ha 'battezzato' al metal. Da quel momento, ho esplorato ogni sottogenere: dal power all'epic, fino al death, black e symphonic. Nelle mie playlist attuali si possono trovare nomi diversissimi, dai Sentenced ai Cradle of Filth, dai Soen ai Septicflesh e Dark Tranquillity, dai Suffocation ai Falling in Reverse e The Gathering, dai Testament ai Witherfall. Questa vasta gamma di ascolti ci permette di spaziare e di integrare influenze differenti nel nostro sound, a prescindere dalla nostra comune passione per il metal.

Giuseppe: Le mie influenze vanno ben oltre il metal, spaziando dalle colonne sonore di Ryūichi Sakamoto all'elettronica. Credo che questo approccio aperto sia fondamentale per creare un sound originale. Nel death metal, io e Mike abbiamo un forte apprezzamento comune per band come i Carach Angren, i Septicflesh e i Dark Tranquillity. Ma il mio gusto è eclettico, ascolto molto power metal e anche il pop degli anni '80. La combinazione di queste diverse passioni crea una "miscela" unica, che si riflette nel nostro sound.

Mi incuriosisce pensare che tutto il lavoro compositivo sia stato sviluppato da due persone distanti geograficamente, e allo stesso tempo da due musicisti differenti nella propria sensibilità e personalità. In merito a questa considerazione, vi chiedo: quanto del vostro “lato umano” c’è all’interno di “Melody of Chaos”?

Mike: Una domanda fuori dagli schemi, mi piace. Il nostro 'lato umano' è probabilmente l'elemento più presente in "Melody of Chaos". Per me, l'album è stato un modo per rimettermi in gioco e superare una sfida personale che non pensavo di affrontare. Ho dovuto abbattere le barriere del tempo, della logistica e della mia stessa 'voce in pensione', e il confronto continuo con un professionista come Buzz è stato fondamentale. La parte più complessa è stata l'auto-giudizio. Sono estremamente competitivo con me stesso, e questo ha reso difficile ogni fase delle registrazioni. Ho rifatto diverse parti più volte, perché volevo che il risultato fosse il migliore possibile, e decidere di fermarsi nei ritocchi continui non è mai stato semplice. Ma è stata la stesura dei testi a liberare completamente le mie emozioni. Mi sono fatto trasportare dai miei pensieri e dalle mie sensazioni, scrivendo di argomenti che mi toccano profondamente: la famiglia, gli orrori della guerra visti con la sensibilità di un padre, la religione, la giovinezza e il tempo che scorre. È un album che parla di noi, delle nostre vite e dei nostri pensieri.

Giuseppe:
Credo che "Melody of Chaos" sia profondamente intriso del nostro lato umano. L'album racchiude le nostre esperienze più personali, come il pezzo che Mike ha dedicato a suo figlio, o le melodie che io ho composto in un periodo particolarmente buio della mia vita. In quei momenti, la musica è stata la mia ancora di salvezza e ha rappresentato una via d'uscita. È incredibile come ci sia stata da subito una sintonia perfetta sulle tematiche e sulle sonorità. Ho sempre nutrito una profonda stima per Mike, che considero uno dei migliori cantanti delpanorama italiano. Anche io canto, e so bene che in questo ambiente in Italia spesso regnano invidie e rivalità. La sua decisione di fidarsi di me e di accettare di collaborare a un progetto mi ha riempito di orgoglio. È stata una fiducia non solo nel musicista, ma anche nel fonico e produttore emergente che sono. "Melody of Chaos" è il risultato di questa incredibile fiducia reciproca e di una passione che ci ha guidato in ogni fase.

Cosa può rendere speciale una qualsiasi sfida che affrontiamo? Non solo nella musica.

Mike: Quello che può rendere speciale qualsiasi sfida è la volontà di vincerla. L'ostinazione e la caparbietà, ma soprattutto l'amore che mettiamo in ogni singola azione per raggiungere l'obiettivo. Mentre ti rispondo, penso al tuo progetto "The Old Blood" (theoldblood.it) e a quante difficoltà avrai affrontato. Ma l'amore che hai per la musica, il tuo profondo attaccamento alla scena underground, ha reso il risultato finale qualcosa di eccezionale. È la passione a trasformare un ostacolo in un traguardo significativo.

Giuseppe, quali sono stati i tuoi punti di riferimento iniziali per poter partire con la composizione dei brani? Si deve sempre partire da qualcosa. Il tuo lavoro sul disco, come musicista e produttore, è stato incredibile.

Giuseppe: Grazie, Christian, per le tue parole. In realtà, i primi brani dei SoulReapers sono nati dai miei primi esperimenti come produttore, e da allora sono migliorato molto, tanto da lavorare con band internazionali. Il mio punto di partenza è stato un classico riff di death metal svedese, ma il sound ha preso forma in modo molto più chiaro e definito non appena ho sentito la voce di Mike. La sua timbrica e il suo stile sembravano provenire da un incubo, e ho capito che l'album doveva seguire quella stessa direzione. La musica doveva essere un riflesso di sensazioni oscure e inquietanti, ma allo stesso tempo doveva spingere l'ascoltatore a riflettere. Ecco perché il disco suona in questo modo.

In base a quali criteri avete selezionato l’ordine dei brani presenti nella tracklist?

Giuseppe: La tracklist è stata una scelta ponderata, e mi sono affidato a Mike, che ha una grande sensibilità per i testi e la narrazione. L'idea di base era quella di creare una sorta di percorso, strutturando l'album in blocchi tematici e intervallandoli con i brani strumentali di Annalisa. Il primo blocco, da "Terrifying Souls" a "Blood of My Blood", rappresenta il primo, violento impatto con l'orrore. In questa sezione dell'album, la nostra visione si manifesta attraverso brani che affrontano le ingiustizie del mondo, le anime tormentate e tutto ciò che, della nostra realtà, ci tormenta e ci rende inquieti. Vogliamo che l'ascoltatore si senta parte di questa inquietudine. Successivamente, da "Blank Slates" a "Useless Return", la critica alla società si fa ancora più tagliente. L'Outro finale chiude il cerchio, lasciando l'ascoltatore a riflettere su tutto il percorso.

Quali connessioni intercorrono tra la copertina, il titolo dell’album e i tuoi testi?

Mike: Il titolo "Melody of Chaos" racchiude perfettamente l'essenza dell'album. La copertina raffigura un mondo decadente, quasi in rovina, un luogo in cui il caos ha preso il sopravvento. Ma in questa disperazione c'è un elemento di speranza, una melodia armonica che rappresenta la capacità dell'uomo di trovare un senso nonostante tutto. I testi sono la lente d'ingrandimento su questa condizione. Esplorano le debolezze e i limiti dell'essere umano, ma anche la sua forza interiore. Affronto temi come la malinconia nell’accettare la caducità della vita, la ricerca di uno scopo, il ruolo della religione e la perseveranza di fronte alle difficoltà. È un percorso che descrive la vita in tutte le sue sfide, ma con un messaggio di fondo: anche nel caos più profondo, è possibile creare la propria melodia.

A livello lirico, mi è piaciuto molto il tuo approccio vocale. Il tuo modo di cantare ha sempre messo in luce delle doti incredibili, mi riferisco alla versatilità, all’estensione, alla potenza espressiva. Ma ascoltando attentamente la musica dei SoulReapers, ho anche notato una certa evoluzione nella tua performance, senza perdere la timbrica che ha sempre contraddistinto il tuo stile, assolutamente riconoscibile. Pensi che queste novità siano il frutto della tua esperienza accumulata nel tempo oppure è stato un desiderio per sperimentare qualcosa di leggermente diverso?

Mike: Credo che si tratti di un mix tra esperienza e la voglia di sperimentare. Il mio percorso musicale si è sempre sviluppato nel brutal death metal, dove sono cresciuto e mi sono fatto le ossa con musicisti eccezionali. Ho avuto modo di fare piccoli esperimenti, come nell'album "Bedtime for Mercy" con i Natron, ma sempre restando all'interno dei confini di quel genere, che continuo a stimare profondamente. Adattare la mia voce al death metal melodico non è stato semplice. L'approccio di base è rimasto 'brutal', ma ho potuto espandere le linee vocali, seguire le melodie e giocare con timbriche diverse. L'album è stato un vero e proprio laboratorio: ho sperimentato tanto, e molte prove sono state scartate perché le ritenevo ancora acerbe. Continuo a sondare le potenzialità della mia voce, e una delle sfide che ho ancora da superare è quella di bilanciare la quantità di testo con la performance vocale, senza che uno limiti l'altra.

Cosa ti ha spinto a tornare in attività con un nuovo progetto musicale? Te lo chiedo perché sono trascorsi più di vent’anni dall’esperienza come cantante nei Natron. Forse non tutti sanno che sono tre gli album dei Natron che ti hanno visto coinvolto alla voce, se non erro dal 1999 al 2004 (correggimi se sbaglio l’arco temporale), tenendo sempre in considerazione la tua primissima attività come frontman dei Penis Leech alla metà degli anni ’90. Sei stato fermo a lungo a parte qualche collaborazione saltuaria.

Mike: Mi permetto di correggerti sull'arco temporale: la mia esperienza con i Natron è andata dal 1997 al 2006, anno in cui ho ufficialmente messo da parte la vita da musicista. Hai ragione, a parte qualche piccola collaborazione, come un paio di live con i Mutala e alcune registrazioni con i Godyva e, più recentemente, con gli Stige, il silenzio è stato quasi totale. Il motivo di questo lungo stop è semplice: quel tipo di vita, con le prove continue e i tour, è molto difficile da conciliare con la vita lavorativa e, soprattutto, con una famiglia. Nonostante ciò, non ho mai perso il contatto con la scena e con il pubblico, e ricevere ancora a distanza di anni messaggi di stima e affetto mi ha sempre scaldato il cuore e mi ha lasciato una forte nostalgia di quel periodo. La vera svolta è arrivata quando Buzz mi ha contattato. Mi ha fatto riflettere su come la tecnologia abbia cambiato le regole del gioco negli ultimi vent'anni. Ho capito che non era più necessario vivere in sala prove o in studio per ore e ore, ma che con un piccolo investimento e una postazione casalinga si potevano ottenere risultati professionali. Per me si è aperto un mondo completamente nuovo, che mi permetteva di conciliare la passione per la musica con i miei impegni familiari e lavorativi. E poi c'è stata l'incredibile affinità artistica con lui. Ho subito capito che non si trattava solo di un progetto, ma di una vera e propria collaborazione creativa. Ti faccio un esempio: quando gli ho chiesto di scrivere una sorta di "ballad death metal" (un'idea che avevo da tempo) lui ha accolto la proposta con entusiasmo e ha esaudito il mio desiderio, creando quella che poi sarebbe diventata "Testament of Madness". È proprio questa sintonia che ha reso possibile il mio ritorno e che ha dato vita ai SoulReaperS.

In cosa ti ha cambiato il fatto di essere diventato padre? Pensi che l’amore e l’energia della tua famiglia ti abbia influenzato in qualche modo per quanto fatto per i SoulReapers? Musicalmente, liricamente e umanamente.


Mike: Diventare padre è stata l'esperienza più bella della mia vita, e l'energia che la mia famiglia mi dà è stata fondamentale per questo progetto. Pensa solo alla soddisfazione di condividere la passione per la musica con mio figlio: guardare film, ascoltare band, e vederlo entusiasta al concerto degli Iron Maiden a Padova. E la cosa non finisce qui, visto che a novembre andremo insieme al concerto degli Helloween. Avere una moglie che mi supporta e mi incoraggia in questa avventura è altrettanto stimolante. Tutto questo affetto e questo supporto mi hanno dato la spinta per immergermi completamente nella creazione dell'album. L'influenza più profonda, però, è stata a livello lirico e umano. Ho voluto scrivere un brano, "Blood of My Blood", interamente dedicato a mio figlio, e questo dimostra quanto la mia vita personale sia intrecciata con la musica dei SoulReapers. Nel testo ho voluto esprimere l'amore incondizionato che provo per lui, e il desiderio di essere una guida, una presenza stabile che lo protegga dalle inevitabili difficoltà della vita. Ma so anche che il mio ruolo non durerà per sempre. Arriverà il momento in cui dovrà camminare da solo e affrontare il mondo, con le sue cadute e le sue vittorie. Scrivere di questi sentimenti, così intimi e potenti, ha dato una profondità completamente nuova ai miei testi e alla mia performance vocale.

I gruppi underground italiani faticano tantissimo per trovare spazio sulle maggiori riviste o webzine del settore, mi riferisco soprattutto al circuito metal, il settore musicale che vede coinvolti anche i SoulReapers. Pensi che questo sia penalizzante? Cosa dovrebbe cambiare per il futuro?

Mike: La cosa che mi ha sempre affascinato del metal è la sua libertà e spontaneità, un legame implicito che unisce i suoi 'adepti' in tutto il mondo. Il metal che ho conosciuto io, quello dei flyers e delle zine stampate con amore, era un mondo libero e autentico. E la bellezza di questa cultura, fatta di condivisione e supporto reciproco, la vedo ancora oggi, ad esempio quando ti scambi un cenno di intesa con un altro fan solo per la maglietta che indossi. Tuttavia, ho notato che questa spontaneità si è persa a livello mediatico. Ho avuto la delusione di constatare che, pur con la facilità di comunicazione offerta dalla tecnologia, il supporto all'underground sembra essere svanito. Non si tratta di mancanza di tempo, dato che ora è tutto più veloce e meno costoso, ma di una diversa filosofia. Recensioni e interviste sembrano essere riservate quasi esclusivamente a band con un'etichetta importante alle spalle. Non ho elementi per parlare di business o speculazione, ma la mia esperienza personale mi porta a riflettere su questa tendenza. Ne ho avuto la prova diretta con i SoulReaperS. Visto che la nostra etichetta si occupa principalmente della distribuzione europea, ho voluto cercare dei feedback anche in Italia. Ho inviato il nostro kit a una ventina di webzine e testate, ma il risultato è stato un silenzio assoluto. Non un 'grazie, siamo pieni', né un 'ci vorranno mesi per la recensione'. Niente. Zero. Un tempo, la passione per la musica spingeva chiunque a recensire il più possibile. Ora, sembra che quell'approccio sia stato sostituito da un'attenzione selettiva che esclude a priori chi non ha un certo tipo di supporto. Per il futuro, non so cosa debba cambiare. Forse, come ho dovuto fare io, anche chi lavora nei media ha le proprie sfide e una vita da portare avanti, e magari si dedica alla musica solo se c'è un ritorno economico. Ma ho la sensazione che la vera passione, quella che muoveva le zine di un tempo, sia un'eccezione, e non la regola. E in questo senso, ti dico che tu, con il tuo lavoro e il tuo progetto 'Son of Flies', sei una mosca bianca.

La vostra intenzione è di andare avanti come duo?

Mike:
Sì, siamo già al lavoro. Neanche il tempo di finire di registrare “Melody of Chaos”, che Giuseppe ha già iniziato ad inviare del nuovo materiale. Siamo già a quota quattro brani.

Quali sono i 10 dischi che portereste con voi su un'isola deserta?


Mike: Queen "Queen II" (1974), Queen "Innuendo" (1991), Death "Symbolic" (1995), Sentenced "The Funeral Album" (2005), Dark Tranquillity "The Gallery" (1995), Cradle of Filth "Cruelty and the Beast" (1998), Helloween "Keeper of the Seven Keys II" (1988), Natron "Bedtime for Mercy" (2000), The Gathering "Nighttime Birds" (1997), Suffocation "Pierced From Within" (1995).

Giuseppe:
At the Gates "Slaughter of the Soul" (1995), Dark Tranquillity "The Gallery" (1995), Paradise Lost "Icon" (1993), Fear Factory "Demanufacture" (1995), The Cure "Disintegration" (1989), Natron "Negative Prevails" (1999), Memories of a Lost Soul "Empty Sphere Requiem" (2014), Opeth "Ghost Reveries" (2005), Amorphis "Elegy" (1996), Naglfar "Diabolical" (1998).

Bellissima intervista. Grazie per la disponibilità. Lascio a voi le conclusioni.

Mike: Grazie mille per l’opportunità. Può sembrare banale e scontata come frase, ma lo penso veramente. Grazie anche per il tuo prezioso contributo che dai da decenni all’underground: servirebbe molta più gente come te nel circuito! Inoltre un invito a chi sta leggendo questa intervista: se non ci avete mai sentiti prima ma il melodic death metal è la vostra passione, vi invitiamo a scoprire il nostro album "Melody of Chaos". Ascoltatelo attentamente, cogliete ogni sfumatura, leggete i testi e lasciatevi trasportare nel nostro mondo. Dopodiché, fateci sapere la vostra opinione. Per noi ogni feedback sincero è un'occasione di crescita.

Pagine Ufficiali: 

SOULREAPERS line-up:
Mike Tarantino - Voce, testi
Giuseppe "Buzz" Nicolò - Polistrumentista

Recensione: 



lunedì 22 settembre 2025

VIOLATOR "Unholy Retribution" - Kill Again Records




Ritorno al fulmicotone per questa band proveniente da Brasília, che ci ha fatto attendere dodici anni dal precedente “Scenarios of Brutality”, escludendo le pubblicazioni successive a quel secondo validissimo full-length, ma ogni attimo in più passato ad aspettare è stato pienamente ripagato grazie ad una prova ben al di sopra della media delle attuali uscite in ambito thrash metal. Saper aspettare è anche una virtù importante da preservare. “Unholy Retribution” presenta un ulteriore irrobustimento del sound dei Nostri, e questo non può che far bene ad una scena, quella brasiliana, che ha sempre potuto vantare una storia caratterizzata dalla presenza di gruppi metal di alta qualità, e i VIOLATOR non fanno eccezione. L’aggressività sprigionata dal disco fa terra bruciata intorno a sé ed incarna alla perfezione una imprescindibile tradizione, conservando l'urgenza che ha cementato il trademark thrash del passato, intarsiato di fervore e mordacità. Qui ogni nota è il frutto di una sincera dedizione alla causa che non sembra conoscere ostacoli. L’assalto del quartetto non è solo sonoro ma anche verbale. Il nuovo capitolo della formazione carioca ha davvero del fenomenale, a partire da una produzione a dir poco azzeccata, specie nel suono delle chitarre: incisive e penetranti come lame affilate. Quello che più mi ha colpito sono state le prestazioni individuali dei ragazzi, talmente coese da rispondere perfettamente alla regola “l’una al servizio dell’altra”. E’ da applausi la versatilità di Pedro "Poney Ret" Arcanjo alla voce e basso, capace di imprimere il suo marchio infervorato ad ogni singola traccia, così come eccellente è la prestazione dell’accoppiata Pedro Augusto “Capaça” Diaz e Marcio Cambito alle chitarre (dimostrandosi anche dei solisti d’eccezione, quando decidono di lanciarsi in assoli fulminanti e centratissimi), e quella del batterista David “Batera” Araya, quest’ultimo artefice di un drumming efficace e allo stesso tempo articolato e fantasioso, sempre al servizio del genere proposto. Tenendo in considerazione tutte queste importanti caratteristiche, non poteva che venire fuori un lavoro sensazionale, dove gli attacchi frontali dei Violator abbracciano alla perfezione le linee guida dettate da alcuni maestri indiscussi del genere: primi Slayer, Sepultura, Possessed, ma anche gli Hellhammer di “Apocalyptic Raids” (1984). In quest’ottica “Unholy Retribution” si colloca come una rievocazione imperdibile per gli irriducibili e i nostalgici, proprio perché i suoni tornano alle origini del thrash metal. Tutto è dannatamente intenso e fulmineo, richiamando il mai dimenticato impatto degli anni ’80. L’intero album risuona di un clima drammatico e nichilista per rappresentare un presente di grande sofferenza (il video della traccia “Chapel of the Sick,” dedicato all’infinita tragedia del popolo palestinese, ne è la riprova). Il glorioso circuito thrash metal brasiliano è più che mai in fermento e da diversi anni ha trovato nei Violator dei validi e affermati protagonisti. Se dalla musica cercate certezze e coinvolgimento, fatelo vostro.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Hang the Merchants of Illusion, Cult of Death, Persecution Personality, Destroy the Altar, The Evill Order, Chapel of the Sick, Rot in Hell, Vengeance Storm

sabato 20 settembre 2025

AJNA "New Revelations of Being" - Cyclic Law




Il nuovo album del compositore americano Chris F. aka AJNA è un viaggio allucinato e destabilizzante. Il lavoro trae ispirazione dalla visione apocalittica di Antonin Artaud (1896-1948), riportata in alcuni suoi scritti del 1937. Ad irrorare la fitta trama di “New Revelations of Being” provvede un'atmosfera completamente distacca dalla realtà conosciuta, capace di vivere di vita propria su un livello parallelo in cui il battito del tempo cambia costantemente. Questa è musica che sa indagare nelle zone buie dell’animo umano, musica da smarrimento che si cala nella forma mentis di chi sa vedere "oltre", di chi è in grado di vibrare ad una certa sintonia. Durante il percorso risultano fondamentali l’alterità (come arricchimento dell'identità) e l’intensità del sound. Chris F. è un artista esperto in materia dark drone ambient, e questo gli permette di non lasciarsi afferrare all’interno della sua oscurità, divenendo un tutt’uno con essa, attraverso la potenza intrinseca dell'inconscio che assurge alla grandezza dell'esperienza sensoriale. “New Revelations of Being” si trasforma molto lentamente portando l'esistenza in uno stato sconosciuto, rafforzando così il concetto di instabilità emotiva. E’ un disco evocativo e soprattutto dotato di una notevole personalità, che può essere interpretato in diversi modi, ma è comunque connesso alla dimensione spirituale. E' difficile rimanere indifferenti di fronte a lavori di tale portata. Una prova di alta qualità che conferma AJNA come uno dei principali esponenti della tradizione dark ambient, e ve lo dice uno che ascolta questo genere fin dalla metà degli anni '90. Da assorbire nel buio di una stanza, l'unico modo per poter vivere un'esperienza totalizzante.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Apocalyptic Prophecies I, Rodez Asylum, Letters to Andre Breton, I am not dead, but I am separated, New Revelations of Being, Void Inside of Me, The Departure to Ireland, A Lonely Void, Apocalyptic Prophecies II, The Revealed One, Now Know That Demons Exist...




mercoledì 17 settembre 2025

COMPULSED "Amalgamated Anguish" - Hibernation Release / Iron Fortress Records / P2




I COMPULSED non sono in giro da moltissimo tempo, ma sono già arrivati a dare alle stampe un debutto di tutto rispetto. “Amalgamated Anguish” è un disco che merita molta attenzione e da subito si impone come uno dei più interessanti pubblicati nel periodo estivo, grazie al suo altissimo livello qualitativo. Il flusso di sonorità travolgenti sgorga in maniera incessante, ma questo continuo versamento va vissuto in un contesto più ampio, ciò per cui l’alternanza tra parti tirate e passaggi rallentati e cavernosi contribuisce ad una esaltazione vicendevole delle diverse atmosfere. Il sound della band americana fa emergere il giusto punto d’incontro tra il classico brutal death metal sanguinolento che in tanti avranno avuto modo di gustare e assimilare grazie ad entità come Mortal Decay, Disgorge (USA), Defeated Sanity, Pyaemia, Skinless (solo per citarne alcuni), e lo slam death metal reso celebre dai Suffocation, Dehumanized, Pyrexia, Visceral Disgorge (questi alcuni nomi tra i più venerati). Nella penultima traccia “Anhedonic Vessel” sono udibili degli accenti uncinati presi in prestito dai Cannibal Corpse del capolavoro “Tomb of the Mutilated” (1992). I ventotto minuti dell’album sono dominio del vocalist Ken England, personaggio che esprime tutte le sue indiscutibili capacità, rimanendo fedele a quella timbrica iper-gutturale priva di influenze esterne indesiderate; d'altronde, chi ama queste sonorità non dovrebbe pretendere altro da un qualsiasi frontman. La sua performance, quindi, si staglia alla perfezione sui ribollenti martellamenti ritmici, e agisce da propellente per l'ispessimento del tappeto sonoro. I Compulsed appaiono molto dotati sia sul piano compositivo che esecutivo, e sono in grado di imporsi come un gruppo in possesso di una certa dose di personalità, nonché capaci di intendere il brutal death metal con uno spiccato gusto creativo, rispolverando così quel metodo vorace e spietato già utilizzato dalle formazioni sopracitate. Fa da contraltare una produzione imponente e voluminosa, adatta a valorizzare la qualità del songwriting. Ecco perché si potrebbe tranquillamente dire che “Amalgamated Anguish” è un vero e proprio viaggio senza ritorno nella brutalità a 360°, in cui la trama non subisce mutamenti con il passare dei minuti, rendendo l'intera opera una garanzia per chi come il sottoscritto ama questo tipo di musica. In fin dei conti, chi è competente in un determinato circuito musicale non ha bisogno che gli vengano decantate le qualità di un prodotto che è oggetto di una specifica disamina, pertanto basterebbe "solo" ascoltare. Disponibile nei tre formati fisici classici: 12" (Hibernation Records), CD (P2), cassetta (Iron Fortress Records).

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Wound Dehiscence, Desolate Imprint, Dissociative Amnesia, Infernal Monologue, Terminal Secretions, Phantasmagoria, Foreboding, Anhedonic Vessel, Invasive

lunedì 15 settembre 2025

MuD "Iron Head" - THC DIY Productions / Change Your Life Crew




L’aspetto centrale va rimarcato fin da subito: “Iron Head” rappresenta un salto in avanti per i MuD. Qui la band rilegge con odierna freschezza l’originario legame tra hardcore e metal, spingendo la propria proposta verso una miscela sonora idonea a far progredire quanto di buono fatto durante i vent’anni di carriera, perché basta solo trovare la forza necessaria per reagire a qualsiasi difficoltà e così abbattere ogni forma di limite. A tal proposito, il frontman Mauro “AldoHc” Garbati (unico superstite della formazione originale), sa cosa vuole, e lo sa bene. Sorprende l’operato dei Nostri, sorprende perché, alla luce di “Iron Head”, i MuD sono oggi una delle più credibili compagini attive sul territorio Nazionale. Convincono sia le ardite tessiture metalcore che gli intrecci ritmici con lo sludge, mediati da una ricerca ben mirata votata all’espressione più totalizzante del groove a pallettoni. Riferimenti chiari per capire da dove il gruppo contina ad attingere aggressività e brutalità di esecuzione. La scelta di puntare su un attacco granitico che scava alla ricerca della mattanza definitiva è vincente, così come la voglia di proporsi con uno spirito ancora battagliero. La lezione principale viene dagli Hatebreed, dai Crowbar, ma anche da una certa ferocia alla Biohazard. Al tempo stesso, la musica dei Nostri ha molti punti in comune con il sound rovente dei modenesi Browbeat. Il loro linguaggio è come al solito spietato, violento, ma al tempo stesso ricco di energia positiva. L’urlo della formazione abruzzese assomma feeling, precisione, solidità e cattiveria, e questo mi basta per poter banchettare con quanto offerto in ogni brano. Chi segue i MuD dagli esordi di certo non troverà uno stile stravolto, eppure all’interno di “Iron Head” si dirama una vasta gamma di influenze (non mancano alcune sfuriate grindcore), il tutto valorizzato da una produzione eccellente. Ad impreziosire i contenuti del disco, la presenza del vocalist Milo Silvestro dei Fear Factory nella traccia “Turn Up the Main Knob”, per la quale è stato realizzato un video promozionale. In definitiva, una buona prova: acuta e piena di passione.

N.B. Nonostante il disco sia uscito nel 2024, ci tenevo a scrivere questa recensione, motivato a condividere un parere da appassionato del genere.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
The Nest, Lowlife, Heartbreaking Wait, Slow Death, Point Of No Return, Turn Up The Main Knob (feat. Milo Silvestro from Fear Factory), FreeDoom Blues, Bullshit Propaganda, Slaves Of An Idiot, Back To 90's, Weeding Days, The Tractor Never Stops (feat. Cerminator)



venerdì 12 settembre 2025

BASS DRUM OF DEATH "Six" - Cobraside Records




Senza svolte forzate rispetto al precedente “Say I Won't” (2023), il trio proveniente da Oxford (Mississippi) prosegue nel consolidamento della propria formula dell’indie rock incline alle varianti del garage più sfrenato. Un’inquietudine irreversibile incarnata in canzoni grumose e sfuggenti, libere da pastoie mentali e derivati tossici. In “Six” il programma continua sull’onda di una scrittura ben definita, trascinante nelle ribollenti declinazioni ed incalzante dal punto di vista strutturale. Se ci si avvicina al nuovo album partendo da un ascolto superficiale, appare chiaro che le coordinate dei BASS DRUM OF DEATH sono più o meno le stesse di sempre, ma dopo un attento approfondimento si può riscontrare una fertile varietà di altre contaminazioni. Si potrebbero tirare in ballo i Nirvana (quelli degli esordi), Sonic Youth, Jesus and Mary Chain, Black Rebel Motorcycle Club, così come i più giovani Fuzz, Frankie and the Witch Fingers, Cheap Time, Wine Lips. Il lavoro dei Bass Drum of Death è di integrare le loro influenze articolandole e cucendole con nervosa abilità alla cosiddetta forma canzone. “Six” mette in scena dieci tracce dal sapore vintage, che nella loro natura e nei frequenti cambi di tempo mantengono fermi e inamovibili i propri punti cardine, rendendo lo stile dei Nostri piacevole da ascoltare. In tutta questa frenesia, retaggio di una cultura street punk, se si scava attentamente sotto le liriche e le intenzioni, si troverà una sorta di romanticismo che, nonostante l’apparenza, ben si addice alla formazione americana. Un gruppo ben rodato che ha saputo costruirsi una bella identità disco dopo disco, arrivando oggi ad incidere uno dei migliori lavori della loro carriera. Per gli estimatori del genere, un ascolto a dir poco consigliato.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Intro, Phantom Drip, Never Gonna Drink About You, Do Nothing, Pick 'Em Up And Put 'Em Down, Got A Feeling, Like A Knife, Zeroed Out, Living In My Head, Day Late Dollar Short, Night Ride.





giovedì 11 settembre 2025

TRAGEDY KHADAFI & RECOGNIZE ALI "The Past The Present And The Future" - Greenfield Music




L’attesa era quella che precede i dischi destinati a rimanere nella memoria di molti, quelli che, grazie alla loro qualità espressiva, riescono a lasciare un'impronta indelebile in un qualsiasi genere e nella rispettiva cultura di appartenenza. Ed è indubbio che, sulla base di un album come “The Past the Present and the Future”, il lavoro di RECOGNIZE ALI e TRAGEDY KHADAFI giustificasse le definizioni iperboliche sul loro conto. Grazie a tale collaborazione il suono del rap ha preso davvero il largo e questi tredici brani confermano una visione musicale dal forte impatto, una sorta di fusione definitiva tra le sfumature tipiche della vecchia scuola degli anni '90 e lo spirito suburbano dell’era moderna. La presenza dello storico Tragedy Khadafi (classe 1971), attivo nella scena americana sin dalla metà degli anni '80, svolge un ruolo cruciale nel determinare la qualità finale dell’intero full-length, con tutto rispetto per il suo compagno di viaggio, capace di spiccare per la sua rilevanza nello stesso ambito. E’ importante ricordare che, per capire a quale cultura fa riferimento un genere musicale, è necessario analizzare gli elementi che lo definiscono, come lo stile, la tradizione, i testi, nonché il contesto sociale e storico in cui continua a svilupparsi, senza dimenticare la provenienza geografica. Ecco spiegato il motivo per cui, in pieno 2025, l’arrivo di un disco ispirato come questo non passa inosservato. La prova di forza del ghanese Recognize Ali e del newyorkese Tragedy Khadafi, proveniente dai quartieri popolari di Queensbridge (New York), funziona sin dalle prime battute di “The Past the Present and the Future”, elevando all’ennesima potenza tutti i punti di forza che stanno alla base del loro approccio alla scrittura. I due rapper si posizionano sul lato oscuro della barricata, con una scrittura visionaria ed evocativa, cinematografica in alcuni passaggi, che evita la superficialità delle apparenze. Neri e cattivi, come si potrebbe dire. “Select Few”, “The Most Real” (feat. Vinnie Paz), “Loot Thirsty”, “Black Coke” (feat. Trife Diesel & DJ Tray), “Cold” (feat. Swab), "Diplomats", “Elevation” e “King Kong”, "Kuwait Regulate" (feat. Flash of NBS) promuovono un intelligente e consapevole compenetrazione del rap crepuscolare, indispensabile per veicolare certi messaggi legati alla vita di strada e alle odierne tragedie sociali. Non mancano momenti dal carattere arioso ("Everything", "Gone Tomorrow" feat. Ransom). Bellissima la conclusiva e autocelebrativa "Old & New Legends" (feat. Lukey Cage). Tutte le voci femminili utilizzate in alcuni brani hanno calore ed empatia, aiutando a creare una efficace inclusività. Un album di spessore che fa capire qual è il prezzo da pagare nelle zone meno abbienti delle grandi metropoli, perfetto in ogni sua parte, perciò scorrevole e senza la benché minima sbavatura o caduta di tono. Ascoltare “The Past the Present and the Future” è un'ottima occasione per rivendicare il valore di due artisti di caratura internazionale. Se non lo avete ancora capito, uno dei migliori album rap dell’anno in corso.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Will Be Free (Prod By El Maryacho), Select Few (Prod By K Sluggah), The Most Real Feat Vinnie Paz (Prod By Hobgoblin), Loot Thirsty (Prod By Twelvebit), Black Coke Feat Trife Diesel (Prod By K Sluggah) Cuts By DJ Tray, Everything (Prod By Hobgoblin), Cold (Prod By Hobgolblin) Cuts By Swab, Gone Tomorrow Feat Ransom (Prod By Vago), Diplomats (Prod By K Sluggah), Elevation (Prod By Hobgoblin), King Kong (Prod By Hobgoblin), Kuwait Regulate Feat Flash Of NBS (Prod By Twelvebit), Old And New Legends Feat Lukey Cage (Prod By Dredi Beats)





martedì 9 settembre 2025

VINNIE PAZ “God Sent Vengeance” - Iron Tusk Music, LLC




VINNIE PAZ pseudonimo di Vincenzo Luvineri, nato ad Agrigento nel 1977, dove ha vissuto con la famiglia per un breve periodo prima di trasferirsi a Philadelphia, è noto per essere uno dei rapper più riconosciuti nella scena musicale americana, e questo fin dai primi anni 2000. Vinnie ha consolidato una carriera di tutto rispetto, collaborando con artisti rinomati nel circuito della musica Rap, sia per i suoi lavori da solista che per i progetti paralleli che lo vedono coinvolto: Army of the Pharaohs, Jedi Mind Tricks, Heavy Metal Kings. Grazie al suo cammino professionale e alla sua musica è riuscito a raggiungere una posizione di grande notorietà, riconoscimento e ammirazione, diventando un punto di riferimento per un numero elevato di persone o anche per un'intera generazione. Ovviamente, tale stato non è riconducibile ad un successo commerciale fine a sé stesso, ma ad una forma di venerazione e rispetto nei confronti della sua inesauribile creatività e attitudine sincera, figlie di una mentalità hardcore underground. Spesso le sue opere sono considerate imprescindibili, oggetto di studio sia da parte degli appassionati che della critica specializzata. L’Artista italo-americano trascende i limiti del mondo musicale, entrando nella vita di moltissime persone, e questo deve essere qualcosa su cui riflettere. Il risultato di tanti anni di attività si annida nel nuovo album “God Sent Vengeance”, un misto di violenza verbale/sonora, esperienza e innovazione, come da sua tradizione. Vinnie non è quel tipo di MC che si volta per vedere ciò che è stato fatto in passato, magari riprendendolo, oppure manipolandolo. Perché la conoscenza delle proprie esperienze passate è fondamentale per agire adeguatamente nel presente. I suoi testi con riferimenti alla religione, alla guerra, alla politica, alle teorie del complotto e al paranormale possiedono un’energia capace di trasmettere vitalità, passione, e un forte impatto emotivo; elementi cardine che lo rendono qualcosa di unico nel suo genere, qualcosa di non comune alle regole del music business, soprattutto in un circuito dove “il passo in avanti” di ogni artista funge spesso da “cifra” da monitorare sul conto in banca. Vinnie Paz è un vero talento, un fenomeno da studio e da palco, un uomo che vive la musica per dare rilievo alla sua versatilità, alla sua profondità artistica, alla maestria nel flow. La sua è una visione precisa (non strategica), e questa si trasforma in un valore aggiunto che si spinge al di là del dio denaro. Ogni singolo beat di ogni singola traccia si differenzia dal già sentito, perciò diventa una variante del déjà vu, ma anche un ingrediente fondamentale che valorizza le sue inarrestabili metriche vocali. Nei solchi di “God Sent Vengeance” il bello vive nella tragedia, ed è proprio nel cuore della sofferenza, del conflitto e della catarsi che si possono esplorare le dimensioni più profonde dell'esperienza umana. Il Rap, quello vero e viscerale, è anche questo. Il testo e il video della canzone “Perfect Enemy” ne è l'esempio: sono chiari i riferimenti a ciò che sta succedendo in Medio Oriente. Tra gli ospiti figurano Young Buck (ex G-Unit), Army of the Pharaohs, Cappadonna (affiliato al collettivo Wu-Tang Clan), Ill Bill, Onyx, Recognize Ali, Sick Jacken, Lord Goat (conosciuto in passato come Goretex e Gore Elohim) e altri ancora. Mentre tra i produttori spiccano i nomi di C-Lance, Hobgoblin, Evidence, Stu Bangas, Peter Punch, senza nulla togliere a tutti gli altri presenti nel disco. Insomma, Vinnie Paz chiude la God Trilogy con “God Sent Vengeance”, confermandosi ancora una volta come una figura socialmente consapevole, necessaria, rispettata e degna di ammirazione artistica. La coerenza non è un atto dovuto, ma voluto.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Abudadein (Intro), Shepherd’s Rod, Two Knights Forced, Bulldozer [Feat. Young Buck], Head Of David, Acid Teeth [Feat. Lord Goat and Ill Bill], Timetravel_0, Megaton Swords [Feat. Cappadonna], Rafiki Books, Perfect Enemy, Battle Scars (Pharaoh Overlords) [Feat. Army Of The Pharaohs], Chico’s Bail Bonds, All Guns Full Ammo [Feat. Onyx], Sacrificio (De Muerte) [Feat. Sick Jacken], Heavy Chains, Wings Of Azrael [Feat. Napoleon Da Legend], Mao’s War On Sparrows, Noise Drug [Feat. Boob Bronx and Recognize Ali]





sabato 6 settembre 2025

VIBRATACORE "Nova" - Mondo Chaos / Malammòre DIY / Rabid Dog Records / Rumori in Cantina Records / THC DIY Prod / Wrong Disk Records




Generalmente associati alla scena estrema che fonde crust e death metal, i VIBRATACORE possono contare e vantare un retroterra ben più ampio ed eterogeneo, e questo non può che giovare alla varietà della loro proposta. Il monicker stesso della formazione abruzzese assume un significato particolare nel contesto della musica proposta; come riportato nella biografia, il gruppo prende il nome da un gioco di parole costituite dal luogo di provenienza Val Vibrata/Teramo e "core" che nel dialetto teramano significa "cuore", quindi, si legge come è scritto in italiano. Nel nuovo album “Nova” la matrice hardcore, comunque presente alla base del sound, trascende i canoni più stereotipati del genere e si intreccia con elementi provenienti dal post core, dal grind e dal death metal, soprattutto di derivazione scandinava. I Nostri raccolgono e amalgamano soluzioni tra le più disparate: riff davvero sferzanti, sezione ritmica dinamica e avvolgente, accelerazioni travolgenti, rallentamenti ammorbanti, e quant’altro possa aver influenzato il background del terzetto. La voce del chitarrista e cantante Fango è un uragano in piena, e grazie alla sua timbrica assassina, riesce ad infondere ad ogni traccia una profonda malignità. Gli spunti d’interesse di “Nova” vanno colti minuto dopo minuto, brano dopo brano. La loro visione è distorta, corrotta e altamente attrattiva. I Vibratacore non hanno fatto altro che mettere insieme i migliori arrangiamenti sfruttando a regola d’arte la propria inventiva all’interno del processo creativo. Vi sembra poco? La band fa sul serio anche questa volta, svolgendo un lavoro eccellente: una macchina da guerra infallibile. Per comprendere la portata delle mie parole dovreste ascoltare attentamente l’intero album. La recensione è dedicata col cuore al batterista Sandro. La vita è un bene prezioso da custodire, preservare e difendere.

Di seguito un comunicato della band + un documento legato ad una Campagna Crowdfunding:

Nova, pubblicato nel 2025, è l’ultimo album dei Vibratacore ed è dedicato a Sandro NOVA Novelli il batterista del gruppo rimasto paralizzato a seguito di un incidente nell’estate del 2023. Il lavoro, registrato con l’aiuto di Stefano Rutolini (Stormo) alla batteria, raccoglie composizioni arrangiate insieme a Sandro fino all’epoca dell’incidente e definisce il sound a cui la band è giunta attraverso la propria evoluzione stilistica. All’interno dell’album ci sono anche due bonus tracks registrate proprio da Sandro prima del tragico evento. Al disco è legata una campagna crowdfunding volta a contribuire alle spese mediche e logistiche che Sandro deve e dovrà sostenere quotidianamente. Campagna Crowdfunding: https://gofund.me/7df2d453




Pagine Ufficiali: 

Songs:
Intro, Korrosive, Wretched, Martyr, End of Life, What Is Mine, Hate, No God, Martyr (Bonus Track), What Is Mine (Bonus Track)

venerdì 5 settembre 2025

GUM "Demo 2025" - Flennen Records




Il demo dei tedeschi GUM è un ascolto consigliato per chiunque voglia addentrarsi nel suono sgarbato dell’hardcore punk, quello che puzza di cantine degradate e ammuffite. Questo è il suono della ribellione, sempre energico, agitato, turbolento. Una dichiarazione d'intenti ferocemente arrogante. "Gum" è un calcio in culo sferrato al conformismo, alla pulizia sonora, ai buoni sentimenti. Tutta la rabbia, la frustrazione e la paranoia presenti nella testa di questi ragazzi sono rabbiosamente concentrate in sei brani al vetriolo. Musicisti spinti dal desiderio di preservare la loro libertà espressiva, qualcosa su cui non si può scendere a compromessi. Questo è un altro buon esempio dell'enorme impatto e influenza che i padri dell'HC hanno avuto nel corso del tempo, e il demo in questione dimostra che la vecchia scuola continua a far presa anche sulle nuove generazioni. Qui non c’è nulla di trascendentale, sia ben chiaro, ma non posso fare a meno di immergermi nell’atmosfera incredibilmente grezza e viscerale della loro musica. È come essere tornati negli anni '80. Tutto viene urlato in maniera "istintiva", e in questa urgenza c’è qualcosa di veramente unico ed efficace. La catramosa voce femminile rende tutto più intrigante e persuasivo. “Gum” non molla la presa nella sua intensità e diventa sempre più folle man mano che procede. Un bel ceffone in pieno volto a chi definisce questo genere una banalità. Chi vuol capire, capisca!

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Blown, Fast, Spiral, Thread, Great Conjunction, Fight & Flight

mercoledì 3 settembre 2025

SADIST - "QUANDO LA MUSICA SFIDA IL TEMPO"






PERCHE' PARLARE ANCORA DEI DEATHSTER GENOVESI SADIST? LA RISPOSTA E' SEMPLICE, PERCHE' HANNO SCRITTO PAGINE INDELEBILI NELLA STORIA DEL METAL ITALIANO, PERCHE' LA LORO INCREDIBILE MUSICA HA SEMPRE SUSCITATO GRANDE ENTUSIASMO TRA I FAN DEL PROGRESSIVE DEATH METAL. PERCHE' SONO PASSATI PIU' DI TRENT'ANNI DAL LORO PRIMO 7" INTITOLATO "BLACK SCREAMS" (OBSCURE PLASMA), MA ANCHE E SOPRATTUTTO PERCHE' CI TROVIAMO DI FRONTE AD UNA DELLE FORMAZIONI PIU' LONGEVE E RISPETTATE A LIVELLO INTERNAZIONALE. IL TEMPO SCORRE INESORABILE, MA I SADIST SONO ANCORA QUI, PIU' FORTI CHE MAI. OGGI L'ATTENZIONE E' RIVOLTA AL NUOVO CAPITOLO DISCOGRAFICO "SOMETHING TO PIERCE". DI SEGUITO L'INTERVISTA CON I SEMPRE GENTILI E DISPONIBILI TOMMY TALAMANCA (CHITARRA, TASTIERE) E TREVOR NADIR (VOCE).

Parliamo del vostro ultimo lavoro intitolato “Something To Pierce”. Cosa ci potete dire della nascita di questo lavoro? Mi piacerebbe sapere quali sono le vostre personali impressioni in merito alla creazione del disco, analizzandole da due differenti angolazioni.

Trevor: Il nostro obiettivo era scrivere un album che fosse il giusto seguito di “Firescorched”. Nonostante anagraficamente sia io che Tommy abbiamo raggiunto un’età importante, la voglia di picchiare duro è ancora tanta. Così è stato, “Something to Pierce” è un album più violento rispetto ad altri del passato, la brutalità è presente, tuttavia il trademark Sadist non è stato violentato.

Tommy: Anche se siamo molto soddisfatti di “Firescorched”, con l’ultimo album siamo tornati a lavorare come una volta, e cioè con tutta la band in studio, cosa che, per motivi logistici e pratici, non ci era riuiscito di fare con l’album precedente. Questo ha sicuramente giovato alla compattezza del disco e all’integrità del suono, che è molto vicino a quello che la band ha dal vivo.

Lo possiamo considerare un concept album? E come si colloca “Something To Pierce” rispetto alle vostre precedenti uscite discografiche? Non deve essere stato facile creare qualcosa che risultasse legato al passato ma fosse allo stesso tempo nuovo e fresco.

Tommy: Non è un concept in senso stretto, come lo sono al contrario “Hyaena” o “Spellbound” per esempio, ma c’è comunque un doppio filo conduttore che lega i brani. A livello concettuale tutti i testi ruotano intorno al tema della morte, visto come atto conclusivo della vita, inflitta o causata in qualche modo da un altro essere umano. A livello sonoro, questo elemento è accentuato dai numerosi respiri e sussurri inseriti nei brani e utilizzati come veri e propri strumenti, a volte ritmici, a volte melodici. “Something To Pierce” in un certo senso è il naturale sviluppo di “Firescorched”, entrambi gli album riprendono tutti gli elementi caratteristici del sound Sadist degli anni '90 e li proiettano in una nuova prospettiva coerente con il presente.

Cosa puoi raccontare dei testi racchiusi nelle atmosfere delle diverse tracce? C'è un filo conduttore che lega tutte le tematiche trattate? Penso sia sempre stimolante dipingere il significato delle parole utilizzando l’energia della voce. Il tuo atteggiamento e approccio al lavoro è cambiato rispetto al passato?


Trevor: Si tratta di un album che segue a perfezione quelle che sono le sensazioni dettate dalla musica e viceversa. Le liriche sono incentrate su vari aspetti legati alla morte, all’ultimo respiro, alle possibilità di vivere e morire. “Something to Pierce” rispecchia appieno quello che è il nome della band. Ci sono tanti modi di dire addio alla vita terrestre. Rispetto al passato credo che il mio modo di scrivere non si cambia molto, trovo ispirazione dai boschi che mi circondano, non mi sono mai nascosto, il mondo rurale ha per me un’importanza vitale e questo lo è per ogni attimo della mia vita, Sadist compreso. Posso solo dire grazie ai posti in cui vivo.

Molto interessante la prova vocale di Gloria Rossi. La sua performance ha sicuramente ampliato le prospettive evocative del nuovo album. Sei d’accordo con il mio punto di vista? E ne approfitto del momento per chiederti di spendere qualche parola riguardo l’operato di Davide Piccolo al basso e Giorgio Piva alla batteria, due musicisti davvero straordinari.

Trevor: Gloria è una grande professionista, molto preparata e dalla naturale predisposizione per lo strumento voce. Ci siamo avvalsi del suo talento per arricchire il disco, aggiungendo sfumature al mio cantato che per ovvi motivi è molto diretto e brutale. Quanto a Davide e Giorgio, non potevamo chiedere di più. Si tratta di due grandi musicisti, talentuosi e professionalmente molto seri e disponibili. Al nuovo album hanno aggiunto molto del loro bagaglio. A volte la vita ti preserva cose davvero belle e loro sono una di queste. C’è differenza di età tra di noi, ma da subito c’è stata una grande intesa, grade feeling, che si percepisce sul palco e nell'album. Stiamo vivendo questa fase nel migliore dei modi, e vogliamo goderci questo momento fino in fondo.

La magia della musica risiede nella sua capacità di toccare le corde emotive più profonde dell'anima umana, superando barriere linguistiche e culturali. La musica permette di connettersi con se stessi e con gli altri, creando un senso di empatia e comprensione, a prescindere dal genere musicale. Secondo il vostro punto di vista, qual è la vera magia custodita nella musica dei Sadist? La mia domanda non è casuale, considerando il fatto che i Sadist hanno sempre dimostrato grande apertura verso contaminazioni sonore provenienti da altri generi, come per esempio la musica etnica/tribale.

Trevor: La bellezza della musica è questa. Quello che dici è legge! La musica non conosce barriere, rappresenta un processo aggregativo e non divisivo. Non ci si ferma di fronte a culture diverse, stili di vita o altro. Per questo motivo trovo interessante sperimentare anche attraverso generi diversi, nonostante, con i miei ascolti mi sia fermato al death metal di vecchia scuola. Sadist da sempre ha fatto della sperimentazione il suo marchio di fabbrica, lasciando immaginare attraverso la musica lo stato d’animo.

Tommy: Credo che nel tempo siamo riusciti a creare un alchimia interessate tra il suono ed i temi trattati nei testi delle canzoni: alle volte più espliciti, altre volte più intimisti e riflessivi, anche se sempre in una chiave “sadica”, l’atmosfera è davvero l’elemento centrale di tutto il nostro lavoro, e quando scriviamo un brano, è l’unica cosa che ci importa.

La vostra band è ancora oggi molto apprezzata nel circuito del progressive death metal internazionale, e penso che tale riconoscimento sia una grandissima soddisfazione dopo tanti anni di attività. Oggigiorno, cosa ti rende più felice come musicista? Soprattutto se pensi a quanto fatto dagli esordi fino ad oggi.

Tommy: Sono una persona estremamente pragmatica e, come probabilmente nota bene chi mi sta vicino, poco incline ai facili romanticismi ed all’auto incensazione di se o del proprio lavoro. Quando mi giro ad analizzare il passato, lo faccio sempre in termini analitici per capire dove poter migliorare nel mio lavoro ed in generale nel lavoro della band nel suo complesso. Lo so, sono una persona orribile. :)

Non posso non chiederti qualcosa riguardo a quella che ritengo la traccia più particolare del disco, “Nove Strade“. Non è la prima volta in cui si possono ascoltare delle influenze etniche all’interno del sound dei Sadist. Questo discorso si ricollega a quanto chiesto nella mia quinta domanda.

Tommy: La passione per la musica etnica, o più in generale per la world music, anche se è un termine un po’ fighetto, è nata più o meno all’epoca di “Tribe”, e da quel momento la vena etnica è sempre stata presente nelle composizioni della band. Fa parte del nostro DNA di gente di mare, il melting pot per noi genovesi è praticamente l’essenza della nostra vita.

Sono rimasto colpito dall’artwork di “Something To Pierce”, più “epico” rispetto alle copertine dei precedenti dischi.

Trevor: Dopo aver preso coscienza delle linee guida di quello che volevamo, abbiamo suggerito le nostre intenzioni a un grande professionista/disegnatore russo, Andreas Christanetoff. Si tratta di un artista davvero incredibile. Già dalla prima bozza ha saputo soddisfare le nostre esigenze. Il brutale mostro a due teste è l’emblema di una morte violenta, con i poveri mortali ad affrontarlo, guidando la battaglia fino all’ultimo respiro. Musica, liriche, grafica hanno un filo conduttore. Una cover epica, non saprei, una cosa è certa, le grafiche tra loro sono sempre state molto differenti e anche a questo giro non c’erano assolutamente vincoli da tenere in considerazione. Siamo molto soddisfatti, specie al pensiero che il tutto è partito da un disegno.

Quello che costruisci per i Sadist è sufficiente a soddisfare la tua voglia di esprimerti artisticamente nel contesto della musica estrema? A parte ciò, volevo sapere da dove nasce l’esigenza di omaggiare gli AC/DC con l’altro tuo progetto musicale. Coincidenza vuole che gli AC/DC rimangono una delle mie band preferite di sempre.

Trevor: Sadist è la mia vita, oltre a soddisfarmi musicalmente. Con Tommy lavoriamo insieme da oltre trent’anni, c’è grande feeling, ci capiamo al volo e soprattutto ognuno ha piena fiducia dell’altro. Vero, ci sono delle linee guida da seguire ma queste seguono perfettamente quello che siamo noi in quel momento. Non potrei mai pensare di fare altro e non sarei nemmeno in grado. Non credo nell’avere mille progetti, quello che voglio, lo faccio con Sadist! Quanto all’omaggio AC/DC, è una band che amo follemente. Sono cresciuto con la loro musica, portare sul palco quei brani è un onore. Gli AC/DC sono la libertà, un viaggio senza pensieri, su strade polverose. E’ uno sfogo che me lo vivo davvero molto bene, per questo motivo ho messo in piedi un progetto con vecchi amici di sempre.

Com’è nata la possibilità di poter fare un tour di supporto agli Obscura?

Tommy: Steffen, oltre che un amico, è anche un estimatore della band, nonché un professionista capace che è stato in grado di dar vita ad un progetto artistico e portarlo ai vertici del metal mondiale in relativamente pochi anni. Quando ci ha contattato e ci ha proposto il tour con la band, di cui noi a nostra volta siamo grandi estimatori, non ci abbiamo pensato un attimo, e abbiamo accettato con entusiasmo.

Guardando ai giorni nostri, penso sia ormai illusorio credere che sia possibile ricostruire le fondamenta per una pace generale e offrire una risposta efficace alle preoccupazioni di milioni di persone. La coscienza di essere impotenti davanti a certe politiche del terrore fa vivere in una condizione di perenne paura. Avete qualcosa da dire per tutto ciò che sta succedendo in Palestina, e non solo?

Trevor: Forse l’errore è pensare che la guerra non faccia parte del mondo. Da sempre nel corso della storia ci sono conflitti, spesso per non dire sempre per futili motivi. L’uomo non riesce a vivere in pace, triste a dirsi ma è così. Dobbiamo imparare noi a farci pace con questa cosa. Proprio così, impotenti, di fronte a questo scempio, tuttavia credo sia doveroso continuare a denunciare certi atteggiamenti, non farlo sarebbe imperdonabile, l’indifferenza ci fa cadere in un limbo davvero pericoloso e letale.

Tommy: Credo esista un problema di fondo in occidente, decenni di cinema hollywoodiano ci ha portato ad annullare qualsiasi forma di pensiero critico, la nostra capacità di analisi è ridotta ai minimi termini: bianco/nero, cowboy/indiani, buono/cattivo, e purtroppo questa regressione è arrivata anche ai vertici politici di praticamente tutti i paesi così detti “occidentali”! Questo non può far altro che generare continue crisi politiche, se non peggio, con chiunque non si allinei a questa forma di pensiero primitivo: peccato che noi siamo in minoranza, ed il resto del mondo, circa 7 miliardi di persone, oramai non nasconda più l’insofferenza, spesso comprensibile, nei nostri confronti. Di fronte a noi abbiamo 2 scenari: catastrofe nucleare da una parte, scendere a patti col fatto che l’epoca coloniale europea è definitivamente conclusa e trovare una coesistenza pacifica con chi non è più disposto a stare alle nostre regole!

Grazie per l’intervista. Un grande abbraccio.

Trevor: Grazie a te Christian per questo spazio e per la tua dedizione, persone come te: passionali, competenti, contribuiscono e non poco a tenere viva la scena musicale. Un abbraccio a te e a tutti i lettori.

Tommy: Un saluto a te e a tutti i lettori, ed un invito a seguire la band dal vivo, è lì che Sadist esprime la sua vera essenza.

Pagine Ufficiali: 

SADIST line-up:
Tommy Talamanca - Chitarra, Tastiere
Trevor Nadir - Voce
Davide Piccolo - Basso
Giorgio Piva - Batteria

Recensione: