Siete ancora convinti che le migliori band underground provengano solo da oltreconfine? Ognuno di voi avrà una sua risposta, ma la mia opinione rimane la stessa di sempre: l’Italia può vantare dei gruppi ancora sconosciuti che hanno i requisiti necessari per competere con tante realtà provenienti da altri paesi. L'ho sempre pensato e oggi ne ho avuto un'altra conferma ascoltando gli abruzzesi RUPE. Parlare bene dei nostri musicisti è per me motivo di soddisfazione, soprattutto perché ho sempre combattuto caparbiamente per sostenere tutti quei gruppi nostrani capaci di mettere in evidenza le proprie qualità compositive, e chi mi conosce da tempo sa che in trent’anni di attività nel circuito musicale ho continuamente agito con coerenza e consapevolezza in merito al “supporto”, quella capacità di offrire un aiuto genuino e mirato a chi merita: dare senza chiedere nulla in cambio. Molti recensori dovrebbero imparare a difendere con i denti l'operato delle band italiane, invece di essere eccessivamente pignoli o di cercare difetti inesistenti o insignificanti ascoltando un qualsiasi disco. Non è necessario cercare il pelo nell'uovo, quindi, non è fondamentale che qualcosa sia originale, cioè unico o nuovo, per essere valido o apprezzato. Ciò detto e assodato, torno a focalizzarmi sulla proposta schietta e sincera dei Rupe. Il nuovo EP “Sirente”, pubblicato a distanza di quattro anni dal precedente “Big Stone”, si ascolta molto piacevolmente e senza interruzioni, perché è coinvolgente e ben fatto. Ad emergere è la capacità di fare leva sulle varie stratificazioni sonore, riuscendo a spostare un bel po’ di polvere dal proprio orizzonte, in modo da trovare il giusto equilibrio per sorvolare un vasto spazio immaginario fatto di chilometri di sabbie roventi. I Rupe hanno le idee chiare su cosa proporre e, nel loro modo di esprimersi, non vogliono assolutamente nascondere l’amore viscerale per formazioni più famose come Monster Magnet, Fu Manchu, Orange Goblin; questo è piuttosto evidente e non lascia spazio a dubbi. Il loro desiderio è piuttosto chiaro, senza troppi fronzoli: suonare al meglio ciò che realmente si ama, liberandosi dai pensieri incongrui, restando coerenti con la semplicità della propria spontaneità. “Blew”, la cover dei Nirvana, si sposa alla perfezione con i toni dell’EP. Un lavoro che attinge ad una memoria sonora collettiva, indissolubilmente legata ad una certa tradizione. Avanti così.
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Songs:
Iron Camel, Third Man, Jharia, White Noise, Blew (Nirvana cover)