giovedì 30 ottobre 2025

COMPULSED - "BRUTALITÀ INCONDIZIONATA"




I COMPULSED, PROVENIENTI DAL NEW JERSEY, HANNO SAPUTO CATTURARE LE ATTENZIONI DEI SEGUACI DEL BRUTAL DEATH METAL GRAZIE AL LORO DEBUTTO "AMALGAMATED ANGUISH", LAVORO CHE RAPPRESENTA UNA CONFERMA DELLA SOLIDITA' STILISTICA DELLA BAND STATUNITENSE, FRUTTO DI UNA PERSONALITA' DI NOTEVOLE SPESSORE ARTISTICO. DI TUTTO CIO' CHE HA CONDOTTO AL PRIMO FULL-LENGTH CI HA PARLATO IL CHITARRISTA MIKE MAYO.

Ciao Mike, e benvenuto su Son of Flies. Come ti sei avvicinato al mondo della musica, e quali sono stati gli eventi più significativi della tua vita che ti hanno spinto ad entrare in contatto con la scena metal?

- Grazie mille per l'intervista! La mia passione per il metal è nata quando ero bambino. I miei genitori erano appassionati di hard rock/hair metal anni '80 e ascoltavano continuamente band come Motley Crue e Def Leppard. Ascoltare quella musica mi ha fatto innamorare del suono della chitarra distorta. Quando ero alle elementari, a metà degli anni '90, ho iniziato a scoprire la mia musica. La mia prima band preferita sono stati gli Offspring, e devo dire che sono stato ossessionato dalla loro musica per alcuni anni. Successivamente ho scoperto roba nu metal come Korn e Slipknot. Grazie a questi gruppi mi sono avvicinato al suono delle chitarre abbassate di tono e a quello del contrabbasso. Da quel momento in poi, ho iniziato a cercare roba sempre più pesante.

Il vostro debutto "Amalgamated Anguish" è disponibile dall'agosto del 2025. Come si è svolta l'intera fase compositiva?

- L'idea di fondare la band è arrivata nell'estate del 2023. Il nostro obiettivo iniziale era quello di pubblicare un demo e successivamente scrivere un album completo. Abbiamo scritto l'intero album abbastanza velocemente. È stato un lavoro veloce e impegnativo. Ho scritto una manciata di canzoni con il nostro batterista Matt Crismond, poi si è unito il bassista Kyle Linderman che ha iniziato a contribuire anche con dei riff. Volevamo scrivere delle canzoni che fossero completamente in linea con le nostre capacità e che potessimo facilmente eseguire dal vivo, quindi cercare di concepire delle parti elaborate senza risultare troppo cervellotici, riuscire a suonare pesanti senza risultare banali o scontati, utilizzando tutti gli elementi che si adattavano meglio ai nostri stili. Fortunatamente siamo riusciti nella nostra missione!

È passato un anno dal primo "Demo 2024". Com'è stata la sensazione di essere tornati a pubblicare nuova musica?

- Sì! Scrivere un album completo era l'obiettivo principale di questa band. La demo serviva solo a dare un'idea di cosa stessimo cercando. Non era nostra intenzione pubblicare un EP o uno Split prima del full-length.

L'elaborazione delle idee per lo sviluppo di un album completo può essere un lavoro difficile, ovviamente dipende dal processo creativo e dalle scelte utilizzate dai musicisti. "Amalgamated Anguish" è ineccepibile sul piano compositivo, dimostrando che la vostra intenzione era sicurameinte quella di elaborare delle canzoni dal forte impatto e allo stesso tempo ben equilibrate. Quali pensi siano le differenze sostanziali tra il demo e il primo full-length?

- I brani presenti nella demo sono stati ri-registrati e inseriti nella tracklist di "Amalgamated Anguish". Penso che le tracce della nostra demo del 2024 suonino abbastanza in linea con il resto del materiale presente nel disco.

La reazione al nuovo "Amalgamated Anguish" è stata positiva?

- Sembra che piaccia molto agli appassionati del genere! Siamo una band nuova e più underground, quindi non mi aspettavo assolutamente questo risultato positivo. Fortunatamente il disco è stato ascoltato da molte persone, più di quanto mi aspettassi. Tutto ciò è fantastico!

Il death metal odierno è estremamente diversificato, evolvendosi con l'aggiunta di elementi che aumentano complessità e virtuosismo ai riff e alle strutture delle canzoni. Tu cosa ne pensi al riguardo?

- Penso che il death metal di oggi sia in un momento piuttosto positivo! Amo tutte le forme di death metal, ma il brutal death metal è probabilmente il mio stile preferito e sento che ci sia una sorta di rinascita in corso per questo genere musicale. Molte band più giovani sono influenzate dall'età d'oro del brutal death metal, e preferisco questo a tutta la venerazione per l'old school death metal che ci ha martellato la testa nell'ultimo decennio.

Tenendo in considerazione il tuo spettro di esperienze, quali band sono state veramente importanti per il tuo background?

- Le mie due band preferite sono i Napalm Death e i Cryptopsy. I Napalm Death sono stati il primo gruppo death metal che ho ascoltato e "Fear, Emptiness, Despair" è stato il primo CD death metal che ho acquistato. I Napalm Death mi hanno insegnato il death metal, i blast beat e, naturalmente, il grindcore. L'albero genealogico dei membri coinvolti in quella band mi ha anche avvicinato ad altri stili di musica estrema. Gruppi come Carcass, Godflesh e Terrorizer sono stati fondamentali nel plasmare i miei gusti musicali. Ho scoperto i Cryptopsy nel periodo del liceo e sono rimasto assolutamente sbalordito dal loro stile di scrittura, soprattutto durante l'era con il cantante Mike DiSalvo. Jon Levasseur è il mio chitarrista preferito in assoluto. Quell'uomo ha scritto alcune delle canzoni più selvagge e originali della musica estrema. Vorrei che scrivesse ancora musica!

Pensi che il New Jersey sia tutt'oggi un punto di riferimento per il metal estremo?


- Il New Jersey ha sempre avuto un suo fascino particolare. Qui ci sono tante band estreme, originali e iconiche. Gruppi come The Dillinger Escape Plan, Deadguy, Ripping Corpse e Human Remains sono diventati dei classici, e sul versante più brutale posso citare i Mortal Decay, Dripping e Digested Flesh. Queste formazioni hanno avuto un impatto significativo sulla scena brutal death metal. Non riesco a pensare a nessun’altra band più contemporanea proveniente dal New Jersey che abbia avuto un impatto paragonabile a quello dei gruppi sopracitati.

Grazie per l'intervista. Ti auguro il meglio.

- Grazie per l'opportunità! Abbi cura di te!

Pagine Ufficiali: 

COMPULSED line-up:
Ken England - Voce
Mike Mayo - Chitarra
Kyle Linderman - Basso
Matt Crismond - Batteria

Recensione: 


sabato 25 ottobre 2025

NN - "LIBERI DI PERSEVERARE"






I VICENTINI NN SONO LO SPECCHIO IN CUI SI RIFRANGE E SI AMPLIFICA LA "VERA" ESSENZA DELL'HARDCORE, CON I SUOI MESSAGGI RUVIDI, DIRETTI E LACERANTI. IL LORO ALBUM DI DEBUTTO "PECCATO", USCITO NEL 2023, NE E' STATO LA PROVA. UN LAVORO DAL FORTE IMPATTO, CARICO DI ENERGIA AGGRESSIVA, CARATTERIZZATO DALL'ESPRESSIVITA' DISARMANTE DELLE LIRICHE, DALLA SECCHEZZA CAPTANTE DEI SUONI, ED ANCORA DALLA RIFLESSIONE, DALL'INTEGRITA', DALLA PROTESTA. PERCHE' PER ALCUNI MUSICISTI L'UNICA PRIORITA' RIMANE QUELLA DI VOLER GUARDARE ALLA REALTA' PER SQUARCIARLA CON LA FORZA DELLA PASSIONE E DETERMINAZIONE. ALEX E NICOLA, RISPETTIVAMENTE VOCE E CHITARRA DELLA BAND, HANNO RISPOSTO ALLE MIE DOMANDE.

Partiamo dall’inizio: cosa vi ha spinto a formare gli NN? Ovviamente, tenendo sempre in considerazione le vostre esperienze musicali in gruppi come Carlito, Csch, The Nutries, IxGOTxI, Armenta. Cosa c’è da sapere sulla vostra storia?

Nicola: Il tutto è partito da me e Nicola, chitarra e batteria negli NN, che dopo aver suonato per molto tempo assieme con band come Csch, Carlito e IxGOTxI, avevamo voglia di continuare a suonare proponendo qualcosa di tendenzialmente HC. Poco dopo si sono aggiunti Alex e Giulio, rispettivamente voce e basso negli NN. In prima cosa sono due vecchi amici ed inoltre con loro si erano già condivise varie esperienze musicali. In questo caso amicizia e HC sono un connubio più che reale.

Perché il nome NN? Ha un significato specifico in relazione alla band?

Alex: Dopo svariate proposte abbiamo scelto N.N., un acronimo che deriva dal latino Nomen Nescio (letteralmente: 'non conosco il nome'). Storicamente, questa sigla era usata per indicare la non completa identificazione di una persona e, in particolare, per identificare i cosiddetti 'figli di N.N.' – cioè di nessuno, di genitore non conosciuto."

Sono trascorsi quasi due anni dall’uscita del vostro album “Peccato”, pubblicato nel novembre del 2023, quindi immagino sia stato importante cercare di promuoverlo adeguatamente suonando il più possibile in giro per l’Italia. Che reazioni ha portato quel disco di debutto e che tipo di esperienze avete raccolto suonando dal vivo?

Nicola:
La nostra aspirazione è suonare in giro, ci divertiamo. Conosciamo altre persone con cui magari si condividono tendenze, gusti, passioni. Non è facile però suonare live oggigiorno, almeno per quanto ci riguarda. Pochi spazi e soprattutto poche persone disposte a darti un occasione se non suoni qualcosa di più tranquillo o se non hai già un “nome” o peggio se non sei una cover band. Poi è ancor più difficile se ti muovi DIY e non hai qualcuno che ti promuove, qualcuno che sa come meglio farlo, credo. Comunque tengo ad informarvi che siamo disponibili, molto economici e con pochissime pretese!

La scelta del titolo per il vostro primo album si rivela essere molto intensa e diretta, a tal proposito vi chiedo cosa volevate comunicare ai seguaci dell’hardcore o, più in generale, ai vostri ascoltatori. A quale “peccato” si riferisce il titolo?

Nicola: La scelta del titolo nasce per caso, da un brano che per strane ragioni non siamo mai riusciti a finire e a farci piacere molto, che è rimasto in sala prove e si chiamava “peccato” appunto. Il testo affrontava la problematica del concetto che molti individui credenti o meno hanno di peccato, forse più critica visto che siamo tendenzialmente atei ed agnostici. Ci piaceva come titolo per il disco. Magari il brano un giorno risorgerà!

Come gestite in generale il processo di composizione? E’ cambiato qualcosa nel corso degli anni? Approfittando del momento vorrei sapere se la band è attualmente al lavoro su nuovo materiale. Quando dovrebbe vedere la luce?

Nicola: Dipende, alle volte partiamo da un concetto di base, da qualcosa che vogliamo dire o raccontare, e di conseguenza la parte musicale. Altre volte al contrario il brano nasce da un riff strumentale e poi il testo. Stiamo creando nuovi pezzi, ne abbiamo già qualcuno, ma abbiamo sempre poco tempo a disposizione, speriamo di produrli fisicamente ad inizio anno nuovo.

Musicalmente quali sono le vostre più grandi fonti di ispirazione? Quali sono stati i criteri di scelta per definire il vostro approccio all’hardcore, e cosa rappresenta per voi questo genere musicale?

Alex: Ascoltiamo molte band differenti spaziando fra generi come punk rock, HC, grind, noise, noisecore, elettronica di vario genere, metal e hard rock.

Nicola: Le influenze sono probabilmente più concentrate sugli anni '90 e inizi 2000, poiché veniamo dalla generazione analogica, quella pre-telefonino. Per noi, HC significa passione, cuore, energia, sangue che pulsa nelle orecchie.

Parlando sempre del vostro sound, c’è anche un certo groove tipico dell’hardcore più possente, seppur tradizionalista. Mi sbaglio?

Nicola:
Molto probabile, veniamo per lo più dalla vecchia scuola, ma non guardiamo ad un genere preciso nel produrre la nostra musica, ma semplicemente da quello che ci riesce fare al meglio, il retaggio non si cancella credo.

Alex: Si esatto, è una cosa che ci esce spontanea. Alla fine siamo cresciuti con l’HC e questo si riflette nelle nostre composizioni.

Quando avete capito che la musica poteva essere un punto di riferimento importante per la vostra crescita personale?


Nicola: Alle medie credo. Quando è iniziata la condivisione fisica di materiale musicale e si è deciso di formare una band con i pochi conoscenti che sapevano armeggiare alla meglio uno strumento, o meglio che ne possedevano uno o riuscivano a procurarselo in qualche modo. Per noi la musica è vita, aggregazione, condivisione.

Alex:
Come Nicola e molti altri, durante il periodo delle scuole medie ho scoperto generi musicali che prima non sapevo nemmeno esistessero, però in quel periodo ero solo affamato di ascoltare tante cose diverse. Molti anni dopo con un gruppo di amici decidemmo di provare a tirar su una band e, tra una birra e l’altra, ho preso in mano un microfono e da li non ho più smesso di urlare .

La musica è anche un potente veicolo di messaggi, e questo fattore è molto importante nel circuito musicale che vede coinvolti gli NN. Quale messaggio vuole comunicare la vostra band attraverso il potere delle parole e del suono?

Nicola: Per noi il messaggio è molto importante, non solo politico, ma anche riguardante la sfera personale. In pratica come testi trattiamo quello di cui di solito discutiamo fra noi. Resta il punto fermo che per noi è intollerabile l’essere intolleranti. Siamo antifascisti, antirazzisti, solidali …a volte antisociali.

Quali sono le storie raccontate nei testi dei brani? Su che cosa vertono i vostri concetti? Inoltre, quanto c’è del vostro vissuto nelle liriche scritte da Alex?


Nicola: Come detto prima, raccontiamo ciò che viviamo personalmente, quello che vediamo nella società, quello che vediamo fra e dentro di noi. Fa tutto parte del nostro vissuto.

Alex: Tra di noi si parla molto, si discute di qualsiasi cosa ed è da li che parte tutto. Da una giornata no, da ciò che il mondo ci dà e ci toglie.

Secondo voi cosa lega la musica degli NN alla vostra Provincia, al luogo in cui siete nati e cresciuti? C’è un bel fermento a Vicenza e Provincia? Mi riferisco al circuito musicale, agli spazi culturali, etc…

Nicola: Per forza di cose la nostra musica si lega a dove viviamo, a dove siamo cresciuti, a tutti gli amici musicisti, tecnici, artisti, tifosi, antagonisti. Nasciamo negli spazi sociali che abbiamo occupato e gestito, non solo visto, nelle lotte dalla provincia alla città. Gli spazi ce li siamo inizialmente creati e difesi. E’ sempre tutto in salita, ma ora come molti anni fa Vicenza è attiva musicalmente e politicamente, anche se la vogliono far passare solo come una delle troppe città vetrina, ma molte persone vivono davvero, purtroppo la maggior parte no. Maledetto nordest?

Siete impegnati in altre forme d’arte? Parlando con Alex sono venuto a conoscenza che è un grande appassionato di pittura, come me.


Alex:
Oltre alla musica adoro l’arte pittorica, è la mia valvola di sfogo. Anche il nostro bassista è appassionato di pittura e illustrazione.

Grazie ai numerosi eventi storici impariamo a conoscere il bene e il male, e spesso si usa dire che "la storia non ci insegna niente". Questa frase esprime la constatazione che alcuni esseri umani (se così possiamo chiamarli) tendono a ripetere gli stessi errori e, molto spesso, sono artefici dei medesimi orrori già vissuti in passato. Tutto questo si collega inevitabilmente alla tragica situazione a Gaza, e non solo. Lascio a voi qualche considerazione in merito.

Nicola: La storia non insegna e l’uomo non impara, anzì è recidivo e rievoca le peggio azioni, la supremazia sull’individuo più debole. Per questo la memoria è importante. Siamo antifascisti e antisionisti da sempre. Il fascismo non è mai morto purtroppo, soprattutto in Italia. Il sionismo crea stragi e occupazioni militari dal ’47 nel medio oriente. A Gaza ora è in corso un genocidio, chiamiamolo per nome.

Cosa dobbiamo aspettarci dagli NN per i prossimi mesi?

Nicola: Pochi concerti già calendarizzati e la speranza di vedere alla luce il pima possibile il secondo LP.

Alex: Pochi live e molte prove. Stiamo lavorando al nuovo album.

Grazie per l’intervista. Avanti così NN.

Nicola & Alex: Grazie!

Pagine Ufficiali: 
youtube.com/@NN-hcpunk

NN line-up:
Alex - Voce
Nicola - Chitarra
Nicola - Batteria
Giulio - Basso


mercoledì 1 ottobre 2025

CAOS MANIFESTO "Nulla è come prima" - Duff Records / Poison Hearts




A distanza di un anno dalla loro nascita, i tarantini CAOS MANIFESTO esordiscono con l’EP “Nulla è come prima”, lavoro di grandissima intensità che riesce a coniugare aggressività, melodia, introspezione e critica sociale. Se da una parte ritroviamo le personali melodie e dinamiche tipiche della Taranto HC, dall’altra non possiamo non plaudire come il tutto sia veicolato tramite un songwriting “evoluto”, in cui l'espressività delle due chitarre si sposa alla perfezione con l’emotività vocale del cantante Yuri (Ex Le Braccia di Kali, Quad Sun). Qui la sezione ritmica, composta da Diego (Inganno HC) e Pierello (Ex Il Libro di Ruth), fornisce una base resistente e coerente su cui gli altri strumenti possono basarsi per esprimersi in modo onesto e complementare. La title-track, con i suoi continui sali e scendi, penetranti come frecce lanciate al cuore, ne è un chiaro esempio. Le aperture melodiche sono dosate intelligentemente allo scopo di trovare la giusta via di fuga per liberare la mente e il corpo da qualsiasi limitazione (reale o apparente). Ciò significa che a essere evocato, in “Nulla è come prima”, è un modo intenso e diretto di fare esperienza delle cose, ma anche del rapporto con gli altri e degli ambienti vissuti, che spesso si fonde con la condivisione di alcune specifiche emozioni: la compartecipazione della sofferenza e del dolore. Si deve riconoscere che a essere chiamata in causa è un’esigenza di redenzione che coincide con l’oltrepassamento della “volontà individuale” in nome di una “volontà universale”. Stiamo parlando di una ricerca musicale che ha come obiettivo principale il raggiungimento della libertà interiore, l'unica vera libertà che permette di agire e pensare secondo i propri valori e ideali, anche in presenza di contrasti esterni. Un sound fresco, autentico e corale, che mette insieme hardcore, post-hardcore e post-rock, un mix accattivante che va a potenziare l'importanza di questa band in riferimento al circuito musicale underground contemporaneo. Le varie formule adoperate dai chitarristi Giggomma (ex-Sud Disorder, Hobophobic) e Carlo (Inganno HC) sono da incorniciare, due musicisti capaci di sublimare un linguaggio musicale già ad alti livelli, mostrando come anche nei cambiamenti improvvisi della vita ci si possa rinnovare. La maturità e la padronanza stilistica dei CAOS MANIFESTO meritano di essere ascoltate senza condizionamenti, vissute appieno con le lacrime agli occhi e supportate con la massima fedeltà. Perché dalle crepe si può rinascere, trasformando le proprie ferite ed esperienze dolorose in punti di forza, bellezza e crescita interiore. “Nulla è come prima” è la prima metà di un concept album che vedrà la luce nella primavera del 2026 sotto il titolo “Liberati dal male”. Disponibile dal 10 ottobre 2025 in formato digitale e CD digipack.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Quadrivio, Nulla è come prima, Verboten, Fulmini

lunedì 29 settembre 2025

AMNESIAK “Arkfiend” - Autoproduzione




Il suono criptico e visionario del doom/gothic rock, in maniera costante e inesorabile, è riuscito a generare un’intera scena di adepti, profeti ed esegeti che continuano a definirlo in vari modi nello scopo di rafforzare la sua essenza intima e accattivante. Gli AMNESIAK con il debutto “Arkfiend” si muovono sullo stesso asse italo/inglese, infatti accanto alla suadente e carismatica Grace Wilson c’è Francesco Fonte, musicista di grande talento fondamentale per lo sviluppo di certe sonorità connesse con gli spazi più reconditi dell’animo umano. In questo disco la creatività musicale trova magicamente la sua strada in un laboratorio a cielo aperto dove l’incedere degli strumenti si interseca con la voce ipnotica della bravissima cantante londinese, una narrazione tragicamente intima che evoca la contrapposizione tra luce e tenebre. Il cono d’ombra non può certo dirsi cambiato se paragonato a quello intravisto nella dimensione in cui fluttuava l’omonimo EP del 2023, e così anche stavolta i brani si snodano attraverso strutture sonore ben assestate e costellate dalla giusta dose di magnificenza, indispensabile per poter allineare la nostra sensibilità alla visione del gruppo britannico, sottolineando quindi la particolarità dell'intero lavoro, che apparentemente sembra formato da canzoni lineari sul piano compositivo, mentre ad un ascolto più attento si rivelano ottimamente costruite e per niente semplici o prevedibili. La proverbiale teatralità degli Amnesiak è vivida ed appassionata più che mai, ad alimentare un poetismo d’avanguardia infinitamente decadente, spesso vicino alle piangenti vibrazioni scatenate dalla prima generazione new wave d'oltremanica, che rende il tutto ancora più affascinate ed efficace. Il duo sa quali sono le sue armi vincenti per catalizzare maggiore attenzione: una musica ricercata e arrangiata con maestria, fatta di contrasti illusori ed emozionanti, una voce resistente alla sofferenza, un timbro inquieto e persuasivo destinato a scuotere e disturbare l’anima dei più dannati, mostrando le sue provocanti sfumature di nero. Il filo conduttore è dato sempre dal sapiente utilizzo degli strumenti, evocando un tocco ricco di enfasi e dinamismo, e pregno di quel “mal de vivre” che permea ogni singola traccia. Gli Amnesiak valorizzano appieno il proprio modo di intendere e concepire le cose riuscendo, cosa non trascurabile per una realtà attiva dal 2020, a non essere succubi delle influenze musicali più dirette. Un brano come la conclusiva “The Last Rattle” testimonia la sincera e sentita vicinanza a quell’alone di mistero di cui è intriso l'intero album. A questo punto il gruppo è davvero pronto per spiccare il salto di qualità decisivo, confidando nell’apertura mentale del pubblico e ottenere così il giusto riconoscimento. “Arkfiend” è stato registrato e mixato dal polistrumentista Francesco Fonte nel suo studio personale. Masterizzato da Tim Turan (Turan Studio Ltd): rinomato ingegnere del suono che ha lavorato per Roger Waters, David Bowie, Killing Joke, Marilyn Manson, Duran Duran, Patty Smith, Rush, Foo Fighters, Cypress Hill, Motörhead, Emperor, Obituary, Pestilence, Cryptopsy, Cynic e tansissimi altri.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Deamoniacus, Archfiend, Flamed In Solitude, Pillory Of Victory, White Rabbit, Bootlicker, The Last Rattle



venerdì 26 settembre 2025

THE HAUNTED "Songs of Last Resort" - Century Media Records




I THE HAUNTED danno sfogo in pieno alla loro grande passione per il thrash-death metal, non che ci sia un'ulteriore necessità di ribadirlo. È sempre stato così e continuerà ad esserlo anche in futuro, ne sono certo, a prescindere da quanto fatto nei dischi più controversi e opinabili del passato. Qui la coerenza è sinonimo di compattezza, di coesione. Chi conosce il gruppo svedese sa bene cosa aspettarsi, e sarà altrettanto consapevole che questi musicisti sono legati insieme da preferenze stilistiche ossessivamente espresse e ripetute nel tempo, a dispetto dei detrattori. Pensate che la natura di una band, con la sua storia e il suo gusto musicale, possa limitare la sua potenzialità che la rende specializzata in un determinato genere? Dico basta a chi predica e agisce in un modo, ma poi si comporta in maniera opposta, mostrando una mancanza di coerenza tra parole e fatti. Siete in grado di riconoscere la qualità di un album? Troppo spesso si giudica negativamente solo per il gusto di farlo, ed è palesemente dimostrato. Si decide di penalizzare un disco come “Songs Of Last Resort”, però si continua a confermare il voto “7,5” o “8” per altre pubblicazioni thrash-death metal che, secondo il mio modesto parere, non meritano particolare attenzione. Quindi fatemi capire come funziona: le vostre recensioni “positive” sono ancorate ai gusti personali? Diversamente, non si spiegherebbe perché si continua ad agire in un certo modo. E sempre la stessa storia. Per come la vedo io i The Haunted sono tornati a picchiare duro con un decimo full-length che spacca il culo, dimostrando un affiatamento che traspare con decisione. La cascata di note che fuoriesce dagli amplificatori è il riflesso di una passione sincera e travolgente che va a potenziare il trasporto che caratterizza l’operato dei Nostri. Al di là delle scelte messe al servizio del songwriting, “Songs Of Last Resort” evidenzia una precisa identità, energica e incalzante, come da manuale. Non siamo di certo di fronte a qualcosa di diverso rispetto a quanto proposto nei precedenti due lavori in studio, ma il quintetto riesce comunque a prendere le distanze da tutto ciò che potrebbe sembrare “superfluo”, e lo fa con audace abilità e competenza, soprattutto nei brani più cadenzati. La produzione pulita, ma anche dinamica e dominante, è il punto di forza del disco, d’altronde la perizia in gioco lascia poco spazio a dubbi. La frenesia della sezione ritmica, con un chirurgico Jonas Björler al basso e un Adrian Erlandsson dietro le pelli impareggiabile per precisione e padronanza dello strumento, costituisce il binario perfetto su cui viaggiano le scorribande dei chitarristi Patrik Jensen e Ola Englund, autentiche fucine di riff violenti e vorticosi. In parallelo alle consuete sfuriate chitarristiche, da sempre elemento cardine del trademark agguerrito dei The Haunted, si muovono le dense e stratificate melodie che in certi passaggi smorzano l’impatto animalesco delle tracce. E che dire della prova vocale di Marco Aro? Una garanzia, una goduria assoluta: la sua timbrica, nervosa e ringhiante, soddisfa appieno e senza riserve. Dopo ventinove anni di onorata carriera, i The Haunted non mostrano segni di stanchezza o di cedimento nella vena artistica, grazie anche alla solidità della line-up, invariata negli ultimi dodici anni. “Songs Of Last Resort” è un capitolo ricco di spunti e soluzioni musicali davvero interessanti. Gli ascoltatori più attenti e meno esigenti troveranno pane per i loro denti.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Warhead, In Fire Reborn, Death To The Crown, To Bleed Out, Unbound, Hell is Wasted On The Dead, Through The Fire, Collateral Carnage, Blood Clots, Salvation Recalled, Labyrinth Of Lies, Letters Of Last Resort





mercoledì 24 settembre 2025

SOULREAPERS - "UN NUOVO INIZIO"




FORTI DI UN PRIMO ALBUM INTITOLATO "MELODY OF CHAOS", I SOULREAPERS LASCIANO IL SEGNO IN TERMINI DI AUTENTICITA', PASSIONE E ATTITUDINE. MIKE TARANTINO (EX-NATRON, EX-PENIS LEECH) E GIUSEPPE "BUZZ" NICOLO' (LOSTSOUL STUDIOS, MEMORIES OF A LOST SOUL, DEGENERATED, TRAUMAGAIN, etc.), GLI UNICI DUE MEMBRI COINVOLTI NEL PROGETTO, SI DIMOSTRANO MUSICISTI DI TUTTO RISPETTO, CAPACI DI ELEVARSI AD UN LIVELLO SUPERIORE GRAZIE AD UN'ESPERIENZA ORMAI CONSOLIDATA IN TANTI ANNI DI ATTIVITA', DANDO COSI' PROVA DELLE LORO IMPRESCINDIBILI POTENZIALITA'. IL SUCCITATO DEBUTTO, PUBBLICATO DALLA GREAT DANE RECORDS, GARANTISCE A QUESTA BAND UN POSTO DI RILIEVO NEL CIRCUITO DEL MELODIC DEATH METAL NAZIONALE ED INTERNZIONALE. E' STATO UN VERO PIACERE INTERVISTARE MIKE E GIUSEPPE.

Come siete entrati in contatto e quali sono le ragioni che vi hanno spinto a dare vita al progetto SoulReapers? La creazione di questa band ha avuto una lunga gestazione?


Mike: La storia dei SoulReapers è stata un po' un 'divenire' piuttosto che una lunga gestazione. Io e Giuseppe ci conosciamo e ci stimiamo da tempo, e ci tenevamo in contatto sporadicamente sui social. La scintilla è scoccata quando ho registrato un paio di pezzi per l'ultimo album degli amici Stige. Appena è uscito il videoclip, Giuseppe mi ha contattato per propormi di cantare su un suo brano. Le affinità musicali erano così evidenti che ho accettato subito la sfida. Ho allestito con il suo supporto una piccola postazione di registrazione in casa e, quello che doveva essere un singolo pezzo, si è moltiplicato rapidamente, fino a diventare un intero album. È stata una progressione naturale, un flusso creativo alimentato dall'entusiasmo e dall'amore per la musica.

Come avete lavorato per preparare tutto il materiale racchiuso nel vostro album di debutto “Melody of Chaos”, oltre che per arrangiare ogni singola traccia. Immagino non sia stato facile collaborare a distanza.

Mike: Facile, no, ma incredibilmente divertente. Giuseppe, il 'Buzz', è una vera e propria fucina di idee, un produttore instancabile di melodie potenti e intriganti. Il nostro processo creativo è stato una continua staffetta: lui registrava le basi e le condivideva, e io davo i miei input mentre lui le riarrangiava e le perfezionava. Una volta che la struttura del pezzo era solida, mi dedicavo a immaginare le linee vocali, scrivere i testi e registrarli. La nostra sinergia era talmente forte che la distanza non è mai stata un ostacolo. Ogni passaggio era una condivisione costante di idee e feedback, basata su un rispetto reciproco totale. È proprio grazie a questo flusso di lavoro che il risultato finale, "Melody of Chaos", ha superato ogni nostra aspettativa.

Quanto è stato difficile adeguare il vostro stile (come musicisti) alle esigenze del progetto SoulReapers?

Mike: La cosa incredibile è che non abbiamo incontrato alcuna difficoltà, al contrario. Io e Buzz abbiamo gusti musicali molto ampi e non ci piace vincolarci a un solo genere. Questo approccio aperto è stato fondamentale, perché ci ha permesso di creare musica senza sentirci costretti in schemi predefiniti. Il nostro denominatore comune è la passione per il death metal melodico, e da lì siamo partiti. Buzz, in quanto autore della musica, ha seguito il suo istinto creativo, componendo pezzi che sapeva si sarebbero adattati al mio stile vocale. Io, dal mio punto di vista, ho arricchito il mio growl con nuovi esperimenti, trovando il modo di fonderlo perfettamente con la musica. Il risultato è un sound autentico e originale, che riflette pienamente chi siamo come musicisti.

Molto spesso si dice che le differenze possono creare cose speciali, poiché la valorizzazione della diversità porta a una maggiore creatività. Sei d’accordo con me?

Mike: Assolutamente. Crediamo che le differenze, se gestite con maturità ed elasticità mentale, siano la più grande risorsa creativa. Ci si può chiudere nella propria opinione, rimanendo immobili e bloccando ogni possibilità di crescita. Oppure, si può scegliere la strada del confronto costruttivo. Quando si valorizzano i punti di vista diversi, si innesca un processo che porta non solo alla crescita personale di ogni individuo, ma anche a un risultato finale che va ben oltre ciò che una singola persona avrebbe potuto concepire. Nel nostro caso, questo processo ci ha permesso di creare qualcosa che non avremmo mai potuto realizzare lavorando da soli. "Melody of Chaos" è il risultato di questa sinergia, una fusione di idee e prospettive che ha dato vita a un suono unico, più grande della somma delle singole parti. Questo principio, del resto, vale in ogni ambito: nella musica, come nella vita e nel lavoro.

Quale funzione assumono le voci femminili nell’atmosfera del disco?

Giuseppe: Abbiamo voluto che le voci femminili avessero un ruolo ben preciso, quasi teatrale. La loro funzione è quella di un richiamo angelico che si contrappone al nostro growl, un contrasto tra bene e male, tra ragione e caos. Sono una voce narrante, un'eco che guida l'ascoltatore attraverso i nostri testi, un consigliere che si rivolge all'umanità. Per questo ruolo, abbiamo scelto di collaborare con Annalisa Logoteta, conosciuta come Dysphoria, un'artista dark emergente che ha già dato prova del suo talento con i M.O.A.L.S e nel progetto G.A.E.A. La sua performance ha aggiunto un'ulteriore profondità all'atmosfera del disco.

Qual è il vostro personale background musicale? Presumo che abbiate influenze differenti, a prescindere dalla passione per la musica metal.

Mike: Il mio background affonda le radici nel rock e nel metal, in tutte le loro sfumature. Il primo amore sono stati i Queen, per poi passare al rock melodico di band come gli Europe e i Bon Jovi. Ma la vera svolta è arrivata con 'Keeper of the Seven Keys Part II' degli Helloween, l'album che mi ha 'battezzato' al metal. Da quel momento, ho esplorato ogni sottogenere: dal power all'epic, fino al death, black e symphonic. Nelle mie playlist attuali si possono trovare nomi diversissimi, dai Sentenced ai Cradle of Filth, dai Soen ai Septicflesh e Dark Tranquillity, dai Suffocation ai Falling in Reverse e The Gathering, dai Testament ai Witherfall. Questa vasta gamma di ascolti ci permette di spaziare e di integrare influenze differenti nel nostro sound, a prescindere dalla nostra comune passione per il metal.

Giuseppe: Le mie influenze vanno ben oltre il metal, spaziando dalle colonne sonore di Ryūichi Sakamoto all'elettronica. Credo che questo approccio aperto sia fondamentale per creare un sound originale. Nel death metal, io e Mike abbiamo un forte apprezzamento comune per band come i Carach Angren, i Septicflesh e i Dark Tranquillity. Ma il mio gusto è eclettico, ascolto molto power metal e anche il pop degli anni '80. La combinazione di queste diverse passioni crea una "miscela" unica, che si riflette nel nostro sound.

Mi incuriosisce pensare che tutto il lavoro compositivo sia stato sviluppato da due persone distanti geograficamente, e allo stesso tempo da due musicisti differenti nella propria sensibilità e personalità. In merito a questa considerazione, vi chiedo: quanto del vostro “lato umano” c’è all’interno di “Melody of Chaos”?

Mike: Una domanda fuori dagli schemi, mi piace. Il nostro 'lato umano' è probabilmente l'elemento più presente in "Melody of Chaos". Per me, l'album è stato un modo per rimettermi in gioco e superare una sfida personale che non pensavo di affrontare. Ho dovuto abbattere le barriere del tempo, della logistica e della mia stessa 'voce in pensione', e il confronto continuo con un professionista come Buzz è stato fondamentale. La parte più complessa è stata l'auto-giudizio. Sono estremamente competitivo con me stesso, e questo ha reso difficile ogni fase delle registrazioni. Ho rifatto diverse parti più volte, perché volevo che il risultato fosse il migliore possibile, e decidere di fermarsi nei ritocchi continui non è mai stato semplice. Ma è stata la stesura dei testi a liberare completamente le mie emozioni. Mi sono fatto trasportare dai miei pensieri e dalle mie sensazioni, scrivendo di argomenti che mi toccano profondamente: la famiglia, gli orrori della guerra visti con la sensibilità di un padre, la religione, la giovinezza e il tempo che scorre. È un album che parla di noi, delle nostre vite e dei nostri pensieri.

Giuseppe:
Credo che "Melody of Chaos" sia profondamente intriso del nostro lato umano. L'album racchiude le nostre esperienze più personali, come il pezzo che Mike ha dedicato a suo figlio, o le melodie che io ho composto in un periodo particolarmente buio della mia vita. In quei momenti, la musica è stata la mia ancora di salvezza e ha rappresentato una via d'uscita. È incredibile come ci sia stata da subito una sintonia perfetta sulle tematiche e sulle sonorità. Ho sempre nutrito una profonda stima per Mike, che considero uno dei migliori cantanti delpanorama italiano. Anche io canto, e so bene che in questo ambiente in Italia spesso regnano invidie e rivalità. La sua decisione di fidarsi di me e di accettare di collaborare a un progetto mi ha riempito di orgoglio. È stata una fiducia non solo nel musicista, ma anche nel fonico e produttore emergente che sono. "Melody of Chaos" è il risultato di questa incredibile fiducia reciproca e di una passione che ci ha guidato in ogni fase.

Cosa può rendere speciale una qualsiasi sfida che affrontiamo? Non solo nella musica.

Mike: Quello che può rendere speciale qualsiasi sfida è la volontà di vincerla. L'ostinazione e la caparbietà, ma soprattutto l'amore che mettiamo in ogni singola azione per raggiungere l'obiettivo. Mentre ti rispondo, penso al tuo progetto "The Old Blood" (theoldblood.it) e a quante difficoltà avrai affrontato. Ma l'amore che hai per la musica, il tuo profondo attaccamento alla scena underground, ha reso il risultato finale qualcosa di eccezionale. È la passione a trasformare un ostacolo in un traguardo significativo.

Giuseppe, quali sono stati i tuoi punti di riferimento iniziali per poter partire con la composizione dei brani? Si deve sempre partire da qualcosa. Il tuo lavoro sul disco, come musicista e produttore, è stato incredibile.

Giuseppe: Grazie, Christian, per le tue parole. In realtà, i primi brani dei SoulReapers sono nati dai miei primi esperimenti come produttore, e da allora sono migliorato molto, tanto da lavorare con band internazionali. Il mio punto di partenza è stato un classico riff di death metal svedese, ma il sound ha preso forma in modo molto più chiaro e definito non appena ho sentito la voce di Mike. La sua timbrica e il suo stile sembravano provenire da un incubo, e ho capito che l'album doveva seguire quella stessa direzione. La musica doveva essere un riflesso di sensazioni oscure e inquietanti, ma allo stesso tempo doveva spingere l'ascoltatore a riflettere. Ecco perché il disco suona in questo modo.

In base a quali criteri avete selezionato l’ordine dei brani presenti nella tracklist?

Giuseppe: La tracklist è stata una scelta ponderata, e mi sono affidato a Mike, che ha una grande sensibilità per i testi e la narrazione. L'idea di base era quella di creare una sorta di percorso, strutturando l'album in blocchi tematici e intervallandoli con i brani strumentali di Annalisa. Il primo blocco, da "Terrifying Souls" a "Blood of My Blood", rappresenta il primo, violento impatto con l'orrore. In questa sezione dell'album, la nostra visione si manifesta attraverso brani che affrontano le ingiustizie del mondo, le anime tormentate e tutto ciò che, della nostra realtà, ci tormenta e ci rende inquieti. Vogliamo che l'ascoltatore si senta parte di questa inquietudine. Successivamente, da "Blank Slates" a "Useless Return", la critica alla società si fa ancora più tagliente. L'Outro finale chiude il cerchio, lasciando l'ascoltatore a riflettere su tutto il percorso.

Quali connessioni intercorrono tra la copertina, il titolo dell’album e i tuoi testi?

Mike: Il titolo "Melody of Chaos" racchiude perfettamente l'essenza dell'album. La copertina raffigura un mondo decadente, quasi in rovina, un luogo in cui il caos ha preso il sopravvento. Ma in questa disperazione c'è un elemento di speranza, una melodia armonica che rappresenta la capacità dell'uomo di trovare un senso nonostante tutto. I testi sono la lente d'ingrandimento su questa condizione. Esplorano le debolezze e i limiti dell'essere umano, ma anche la sua forza interiore. Affronto temi come la malinconia nell’accettare la caducità della vita, la ricerca di uno scopo, il ruolo della religione e la perseveranza di fronte alle difficoltà. È un percorso che descrive la vita in tutte le sue sfide, ma con un messaggio di fondo: anche nel caos più profondo, è possibile creare la propria melodia.

A livello lirico, mi è piaciuto molto il tuo approccio vocale. Il tuo modo di cantare ha sempre messo in luce delle doti incredibili, mi riferisco alla versatilità, all’estensione, alla potenza espressiva. Ma ascoltando attentamente la musica dei SoulReapers, ho anche notato una certa evoluzione nella tua performance, senza perdere la timbrica che ha sempre contraddistinto il tuo stile, assolutamente riconoscibile. Pensi che queste novità siano il frutto della tua esperienza accumulata nel tempo oppure è stato un desiderio per sperimentare qualcosa di leggermente diverso?

Mike: Credo che si tratti di un mix tra esperienza e la voglia di sperimentare. Il mio percorso musicale si è sempre sviluppato nel brutal death metal, dove sono cresciuto e mi sono fatto le ossa con musicisti eccezionali. Ho avuto modo di fare piccoli esperimenti, come nell'album "Bedtime for Mercy" con i Natron, ma sempre restando all'interno dei confini di quel genere, che continuo a stimare profondamente. Adattare la mia voce al death metal melodico non è stato semplice. L'approccio di base è rimasto 'brutal', ma ho potuto espandere le linee vocali, seguire le melodie e giocare con timbriche diverse. L'album è stato un vero e proprio laboratorio: ho sperimentato tanto, e molte prove sono state scartate perché le ritenevo ancora acerbe. Continuo a sondare le potenzialità della mia voce, e una delle sfide che ho ancora da superare è quella di bilanciare la quantità di testo con la performance vocale, senza che uno limiti l'altra.

Cosa ti ha spinto a tornare in attività con un nuovo progetto musicale? Te lo chiedo perché sono trascorsi più di vent’anni dall’esperienza come cantante nei Natron. Forse non tutti sanno che sono tre gli album dei Natron che ti hanno visto coinvolto alla voce, se non erro dal 1999 al 2004 (correggimi se sbaglio l’arco temporale), tenendo sempre in considerazione la tua primissima attività come frontman dei Penis Leech alla metà degli anni ’90. Sei stato fermo a lungo a parte qualche collaborazione saltuaria.

Mike: Mi permetto di correggerti sull'arco temporale: la mia esperienza con i Natron è andata dal 1997 al 2006, anno in cui ho ufficialmente messo da parte la vita da musicista. Hai ragione, a parte qualche piccola collaborazione, come un paio di live con i Mutala e alcune registrazioni con i Godyva e, più recentemente, con gli Stige, il silenzio è stato quasi totale. Il motivo di questo lungo stop è semplice: quel tipo di vita, con le prove continue e i tour, è molto difficile da conciliare con la vita lavorativa e, soprattutto, con una famiglia. Nonostante ciò, non ho mai perso il contatto con la scena e con il pubblico, e ricevere ancora a distanza di anni messaggi di stima e affetto mi ha sempre scaldato il cuore e mi ha lasciato una forte nostalgia di quel periodo. La vera svolta è arrivata quando Buzz mi ha contattato. Mi ha fatto riflettere su come la tecnologia abbia cambiato le regole del gioco negli ultimi vent'anni. Ho capito che non era più necessario vivere in sala prove o in studio per ore e ore, ma che con un piccolo investimento e una postazione casalinga si potevano ottenere risultati professionali. Per me si è aperto un mondo completamente nuovo, che mi permetteva di conciliare la passione per la musica con i miei impegni familiari e lavorativi. E poi c'è stata l'incredibile affinità artistica con lui. Ho subito capito che non si trattava solo di un progetto, ma di una vera e propria collaborazione creativa. Ti faccio un esempio: quando gli ho chiesto di scrivere una sorta di "ballad death metal" (un'idea che avevo da tempo) lui ha accolto la proposta con entusiasmo e ha esaudito il mio desiderio, creando quella che poi sarebbe diventata "Testament of Madness". È proprio questa sintonia che ha reso possibile il mio ritorno e che ha dato vita ai SoulReaperS.

In cosa ti ha cambiato il fatto di essere diventato padre? Pensi che l’amore e l’energia della tua famiglia ti abbia influenzato in qualche modo per quanto fatto per i SoulReapers? Musicalmente, liricamente e umanamente.


Mike: Diventare padre è stata l'esperienza più bella della mia vita, e l'energia che la mia famiglia mi dà è stata fondamentale per questo progetto. Pensa solo alla soddisfazione di condividere la passione per la musica con mio figlio: guardare film, ascoltare band, e vederlo entusiasta al concerto degli Iron Maiden a Padova. E la cosa non finisce qui, visto che a novembre andremo insieme al concerto degli Helloween. Avere una moglie che mi supporta e mi incoraggia in questa avventura è altrettanto stimolante. Tutto questo affetto e questo supporto mi hanno dato la spinta per immergermi completamente nella creazione dell'album. L'influenza più profonda, però, è stata a livello lirico e umano. Ho voluto scrivere un brano, "Blood of My Blood", interamente dedicato a mio figlio, e questo dimostra quanto la mia vita personale sia intrecciata con la musica dei SoulReapers. Nel testo ho voluto esprimere l'amore incondizionato che provo per lui, e il desiderio di essere una guida, una presenza stabile che lo protegga dalle inevitabili difficoltà della vita. Ma so anche che il mio ruolo non durerà per sempre. Arriverà il momento in cui dovrà camminare da solo e affrontare il mondo, con le sue cadute e le sue vittorie. Scrivere di questi sentimenti, così intimi e potenti, ha dato una profondità completamente nuova ai miei testi e alla mia performance vocale.

I gruppi underground italiani faticano tantissimo per trovare spazio sulle maggiori riviste o webzine del settore, mi riferisco soprattutto al circuito metal, il settore musicale che vede coinvolti anche i SoulReapers. Pensi che questo sia penalizzante? Cosa dovrebbe cambiare per il futuro?

Mike: La cosa che mi ha sempre affascinato del metal è la sua libertà e spontaneità, un legame implicito che unisce i suoi 'adepti' in tutto il mondo. Il metal che ho conosciuto io, quello dei flyers e delle zine stampate con amore, era un mondo libero e autentico. E la bellezza di questa cultura, fatta di condivisione e supporto reciproco, la vedo ancora oggi, ad esempio quando ti scambi un cenno di intesa con un altro fan solo per la maglietta che indossi. Tuttavia, ho notato che questa spontaneità si è persa a livello mediatico. Ho avuto la delusione di constatare che, pur con la facilità di comunicazione offerta dalla tecnologia, il supporto all'underground sembra essere svanito. Non si tratta di mancanza di tempo, dato che ora è tutto più veloce e meno costoso, ma di una diversa filosofia. Recensioni e interviste sembrano essere riservate quasi esclusivamente a band con un'etichetta importante alle spalle. Non ho elementi per parlare di business o speculazione, ma la mia esperienza personale mi porta a riflettere su questa tendenza. Ne ho avuto la prova diretta con i SoulReaperS. Visto che la nostra etichetta si occupa principalmente della distribuzione europea, ho voluto cercare dei feedback anche in Italia. Ho inviato il nostro kit a una ventina di webzine e testate, ma il risultato è stato un silenzio assoluto. Non un 'grazie, siamo pieni', né un 'ci vorranno mesi per la recensione'. Niente. Zero. Un tempo, la passione per la musica spingeva chiunque a recensire il più possibile. Ora, sembra che quell'approccio sia stato sostituito da un'attenzione selettiva che esclude a priori chi non ha un certo tipo di supporto. Per il futuro, non so cosa debba cambiare. Forse, come ho dovuto fare io, anche chi lavora nei media ha le proprie sfide e una vita da portare avanti, e magari si dedica alla musica solo se c'è un ritorno economico. Ma ho la sensazione che la vera passione, quella che muoveva le zine di un tempo, sia un'eccezione, e non la regola. E in questo senso, ti dico che tu, con il tuo lavoro e il tuo progetto 'Son of Flies', sei una mosca bianca.

La vostra intenzione è di andare avanti come duo?

Mike:
Sì, siamo già al lavoro. Neanche il tempo di finire di registrare “Melody of Chaos”, che Giuseppe ha già iniziato ad inviare del nuovo materiale. Siamo già a quota quattro brani.

Quali sono i 10 dischi che portereste con voi su un'isola deserta?


Mike: Queen "Queen II" (1974), Queen "Innuendo" (1991), Death "Symbolic" (1995), Sentenced "The Funeral Album" (2005), Dark Tranquillity "The Gallery" (1995), Cradle of Filth "Cruelty and the Beast" (1998), Helloween "Keeper of the Seven Keys II" (1988), Natron "Bedtime for Mercy" (2000), The Gathering "Nighttime Birds" (1997), Suffocation "Pierced From Within" (1995).

Giuseppe:
At the Gates "Slaughter of the Soul" (1995), Dark Tranquillity "The Gallery" (1995), Paradise Lost "Icon" (1993), Fear Factory "Demanufacture" (1995), The Cure "Disintegration" (1989), Natron "Negative Prevails" (1999), Memories of a Lost Soul "Empty Sphere Requiem" (2014), Opeth "Ghost Reveries" (2005), Amorphis "Elegy" (1996), Naglfar "Diabolical" (1998).

Bellissima intervista. Grazie per la disponibilità. Lascio a voi le conclusioni.

Mike: Grazie mille per l’opportunità. Può sembrare banale e scontata come frase, ma lo penso veramente. Grazie anche per il tuo prezioso contributo che dai da decenni all’underground: servirebbe molta più gente come te nel circuito! Inoltre un invito a chi sta leggendo questa intervista: se non ci avete mai sentiti prima ma il melodic death metal è la vostra passione, vi invitiamo a scoprire il nostro album "Melody of Chaos". Ascoltatelo attentamente, cogliete ogni sfumatura, leggete i testi e lasciatevi trasportare nel nostro mondo. Dopodiché, fateci sapere la vostra opinione. Per noi ogni feedback sincero è un'occasione di crescita.

Pagine Ufficiali: 

SOULREAPERS line-up:
Mike Tarantino - Voce, testi
Giuseppe "Buzz" Nicolò - Polistrumentista

Recensione: 



lunedì 22 settembre 2025

VIOLATOR "Unholy Retribution" - Kill Again Records




Ritorno al fulmicotone per questa band proveniente da Brasília, che ci ha fatto attendere dodici anni dal precedente “Scenarios of Brutality”, escludendo le pubblicazioni successive a quel secondo validissimo full-length, ma ogni attimo in più passato ad aspettare è stato pienamente ripagato grazie ad una prova ben al di sopra della media delle attuali uscite in ambito thrash metal. Saper aspettare è anche una virtù importante da preservare. “Unholy Retribution” presenta un ulteriore irrobustimento del sound dei Nostri, e questo non può che far bene ad una scena, quella brasiliana, che ha sempre potuto vantare una storia caratterizzata dalla presenza di gruppi metal di alta qualità, e i VIOLATOR non fanno eccezione. L’aggressività sprigionata dal disco fa terra bruciata intorno a sé ed incarna alla perfezione una imprescindibile tradizione, conservando l'urgenza che ha cementato il trademark thrash del passato, intarsiato di fervore e mordacità. Qui ogni nota è il frutto di una sincera dedizione alla causa che non sembra conoscere ostacoli. L’assalto del quartetto non è solo sonoro ma anche verbale. Il nuovo capitolo della formazione carioca ha davvero del fenomenale, a partire da una produzione a dir poco azzeccata, specie nel suono delle chitarre: incisive e penetranti come lame affilate. Quello che più mi ha colpito sono state le prestazioni individuali dei ragazzi, talmente coese da rispondere perfettamente alla regola “l’una al servizio dell’altra”. E’ da applausi la versatilità di Pedro "Poney Ret" Arcanjo alla voce e basso, capace di imprimere il suo marchio infervorato ad ogni singola traccia, così come eccellente è la prestazione dell’accoppiata Pedro Augusto “Capaça” Diaz e Marcio Cambito alle chitarre (dimostrandosi anche dei solisti d’eccezione, quando decidono di lanciarsi in assoli fulminanti e centratissimi), e quella del batterista David “Batera” Araya, quest’ultimo artefice di un drumming efficace e allo stesso tempo articolato e fantasioso, sempre al servizio del genere proposto. Tenendo in considerazione tutte queste importanti caratteristiche, non poteva che venire fuori un lavoro sensazionale, dove gli attacchi frontali dei Violator abbracciano alla perfezione le linee guida dettate da alcuni maestri indiscussi del genere: primi Slayer, Sepultura, Possessed, ma anche gli Hellhammer di “Apocalyptic Raids” (1984). In quest’ottica “Unholy Retribution” si colloca come una rievocazione imperdibile per gli irriducibili e i nostalgici, proprio perché i suoni tornano alle origini del thrash metal. Tutto è dannatamente intenso e fulmineo, richiamando il mai dimenticato impatto degli anni ’80. L’intero album risuona di un clima drammatico e nichilista per rappresentare un presente di grande sofferenza (il video della traccia “Chapel of the Sick,” dedicato all’infinita tragedia del popolo palestinese, ne è la riprova). Il glorioso circuito thrash metal brasiliano è più che mai in fermento e da diversi anni ha trovato nei Violator dei validi e affermati protagonisti. Se dalla musica cercate certezze e coinvolgimento, fatelo vostro.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Hang the Merchants of Illusion, Cult of Death, Persecution Personality, Destroy the Altar, The Evill Order, Chapel of the Sick, Rot in Hell, Vengeance Storm

sabato 20 settembre 2025

AJNA "New Revelations of Being" - Cyclic Law




Il nuovo album del compositore americano Chris F. aka AJNA è un viaggio allucinato e destabilizzante. Il lavoro trae ispirazione dalla visione apocalittica di Antonin Artaud (1896-1948), riportata in alcuni suoi scritti del 1937. Ad irrorare la fitta trama di “New Revelations of Being” provvede un'atmosfera completamente distacca dalla realtà conosciuta, capace di vivere di vita propria su un livello parallelo in cui il battito del tempo cambia costantemente. Questa è musica che sa indagare nelle zone buie dell’animo umano, musica da smarrimento che si cala nella forma mentis di chi sa vedere "oltre", di chi è in grado di vibrare ad una certa sintonia. Durante il percorso risultano fondamentali l’alterità (come arricchimento dell'identità) e l’intensità del sound. Chris F. è un artista esperto in materia dark drone ambient, e questo gli permette di non lasciarsi afferrare all’interno della sua oscurità, divenendo un tutt’uno con essa, attraverso la potenza intrinseca dell'inconscio che assurge alla grandezza dell'esperienza sensoriale. “New Revelations of Being” si trasforma molto lentamente portando l'esistenza in uno stato sconosciuto, rafforzando così il concetto di instabilità emotiva. E’ un disco evocativo e soprattutto dotato di una notevole personalità, che può essere interpretato in diversi modi, ma è comunque connesso alla dimensione spirituale. E' difficile rimanere indifferenti di fronte a lavori di tale portata. Una prova di alta qualità che conferma AJNA come uno dei principali esponenti della tradizione dark ambient, e ve lo dice uno che ascolta questo genere fin dalla metà degli anni '90. Da assorbire nel buio di una stanza, l'unico modo per poter vivere un'esperienza totalizzante.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Apocalyptic Prophecies I, Rodez Asylum, Letters to Andre Breton, I am not dead, but I am separated, New Revelations of Being, Void Inside of Me, The Departure to Ireland, A Lonely Void, Apocalyptic Prophecies II, The Revealed One, Now Know That Demons Exist...




mercoledì 17 settembre 2025

COMPULSED "Amalgamated Anguish" - Hibernation Release / Iron Fortress Records / P2




I COMPULSED non sono in giro da moltissimo tempo, ma sono già arrivati a dare alle stampe un debutto di tutto rispetto. “Amalgamated Anguish” è un disco che merita molta attenzione e da subito si impone come uno dei più interessanti pubblicati nel periodo estivo, grazie al suo altissimo livello qualitativo. Il flusso di sonorità travolgenti sgorga in maniera incessante, ma questo continuo versamento va vissuto in un contesto più ampio, ciò per cui l’alternanza tra parti tirate e passaggi rallentati e cavernosi contribuisce ad una esaltazione vicendevole delle diverse atmosfere. Il sound della band americana fa emergere il giusto punto d’incontro tra il classico brutal death metal sanguinolento che in tanti avranno avuto modo di gustare e assimilare grazie ad entità come Mortal Decay, Disgorge (USA), Defeated Sanity, Pyaemia, Skinless (solo per citarne alcuni), e lo slam death metal reso celebre dai Suffocation, Dehumanized, Pyrexia, Visceral Disgorge (questi alcuni nomi tra i più venerati). Nella penultima traccia “Anhedonic Vessel” sono udibili degli accenti uncinati presi in prestito dai Cannibal Corpse del capolavoro “Tomb of the Mutilated” (1992). I ventotto minuti dell’album sono dominio del vocalist Ken England, personaggio che esprime tutte le sue indiscutibili capacità, rimanendo fedele a quella timbrica iper-gutturale priva di influenze esterne indesiderate; d'altronde, chi ama queste sonorità non dovrebbe pretendere altro da un qualsiasi frontman. La sua performance, quindi, si staglia alla perfezione sui ribollenti martellamenti ritmici, e agisce da propellente per l'ispessimento del tappeto sonoro. I Compulsed appaiono molto dotati sia sul piano compositivo che esecutivo, e sono in grado di imporsi come un gruppo in possesso di una certa dose di personalità, nonché capaci di intendere il brutal death metal con uno spiccato gusto creativo, rispolverando così quel metodo vorace e spietato già utilizzato dalle formazioni sopracitate. Fa da contraltare una produzione imponente e voluminosa, adatta a valorizzare la qualità del songwriting. Ecco perché si potrebbe tranquillamente dire che “Amalgamated Anguish” è un vero e proprio viaggio senza ritorno nella brutalità a 360°, in cui la trama non subisce mutamenti con il passare dei minuti, rendendo l'intera opera una garanzia per chi come il sottoscritto ama questo tipo di musica. In fin dei conti, chi è competente in un determinato circuito musicale non ha bisogno che gli vengano decantate le qualità di un prodotto che è oggetto di una specifica disamina, pertanto basterebbe "solo" ascoltare. Disponibile nei tre formati fisici classici: 12" (Hibernation Records), CD (P2), cassetta (Iron Fortress Records).

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Wound Dehiscence, Desolate Imprint, Dissociative Amnesia, Infernal Monologue, Terminal Secretions, Phantasmagoria, Foreboding, Anhedonic Vessel, Invasive

lunedì 15 settembre 2025

MuD "Iron Head" - THC DIY Productions / Change Your Life Crew




L’aspetto centrale va rimarcato fin da subito: “Iron Head” rappresenta un salto in avanti per i MuD. Qui la band rilegge con odierna freschezza l’originario legame tra hardcore e metal, spingendo la propria proposta verso una miscela sonora idonea a far progredire quanto di buono fatto durante i vent’anni di carriera, perché basta solo trovare la forza necessaria per reagire a qualsiasi difficoltà e così abbattere ogni forma di limite. A tal proposito, il frontman Mauro “AldoHc” Garbati (unico superstite della formazione originale), sa cosa vuole, e lo sa bene. Sorprende l’operato dei Nostri, sorprende perché, alla luce di “Iron Head”, i MuD sono oggi una delle più credibili compagini attive sul territorio Nazionale. Convincono sia le ardite tessiture metalcore che gli intrecci ritmici con lo sludge, mediati da una ricerca ben mirata votata all’espressione più totalizzante del groove a pallettoni. Riferimenti chiari per capire da dove il gruppo contina ad attingere aggressività e brutalità di esecuzione. La scelta di puntare su un attacco granitico che scava alla ricerca della mattanza definitiva è vincente, così come la voglia di proporsi con uno spirito ancora battagliero. La lezione principale viene dagli Hatebreed, dai Crowbar, ma anche da una certa ferocia alla Biohazard. Al tempo stesso, la musica dei Nostri ha molti punti in comune con il sound rovente dei modenesi Browbeat. Il loro linguaggio è come al solito spietato, violento, ma al tempo stesso ricco di energia positiva. L’urlo della formazione abruzzese assomma feeling, precisione, solidità e cattiveria, e questo mi basta per poter banchettare con quanto offerto in ogni brano. Chi segue i MuD dagli esordi di certo non troverà uno stile stravolto, eppure all’interno di “Iron Head” si dirama una vasta gamma di influenze (non mancano alcune sfuriate grindcore), il tutto valorizzato da una produzione eccellente. Ad impreziosire i contenuti del disco, la presenza del vocalist Milo Silvestro dei Fear Factory nella traccia “Turn Up the Main Knob”, per la quale è stato realizzato un video promozionale. In definitiva, una buona prova: acuta e piena di passione.

N.B. Nonostante il disco sia uscito nel 2024, ci tenevo a scrivere questa recensione, motivato a condividere un parere da appassionato del genere.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
The Nest, Lowlife, Heartbreaking Wait, Slow Death, Point Of No Return, Turn Up The Main Knob (feat. Milo Silvestro from Fear Factory), FreeDoom Blues, Bullshit Propaganda, Slaves Of An Idiot, Back To 90's, Weeding Days, The Tractor Never Stops (feat. Cerminator)



venerdì 12 settembre 2025

BASS DRUM OF DEATH "Six" - Cobraside Records




Senza svolte forzate rispetto al precedente “Say I Won't” (2023), il trio proveniente da Oxford (Mississippi) prosegue nel consolidamento della propria formula dell’indie rock incline alle varianti del garage più sfrenato. Un’inquietudine irreversibile incarnata in canzoni grumose e sfuggenti, libere da pastoie mentali e derivati tossici. In “Six” il programma continua sull’onda di una scrittura ben definita, trascinante nelle ribollenti declinazioni ed incalzante dal punto di vista strutturale. Se ci si avvicina al nuovo album partendo da un ascolto superficiale, appare chiaro che le coordinate dei BASS DRUM OF DEATH sono più o meno le stesse di sempre, ma dopo un attento approfondimento si può riscontrare una fertile varietà di altre contaminazioni. Si potrebbero tirare in ballo i Nirvana (quelli degli esordi), Sonic Youth, Jesus and Mary Chain, Black Rebel Motorcycle Club, così come i più giovani Fuzz, Frankie and the Witch Fingers, Cheap Time, Wine Lips. Il lavoro dei Bass Drum of Death è di integrare le loro influenze articolandole e cucendole con nervosa abilità alla cosiddetta forma canzone. “Six” mette in scena dieci tracce dal sapore vintage, che nella loro natura e nei frequenti cambi di tempo mantengono fermi e inamovibili i propri punti cardine, rendendo lo stile dei Nostri piacevole da ascoltare. In tutta questa frenesia, retaggio di una cultura street punk, se si scava attentamente sotto le liriche e le intenzioni, si troverà una sorta di romanticismo che, nonostante l’apparenza, ben si addice alla formazione americana. Un gruppo ben rodato che ha saputo costruirsi una bella identità disco dopo disco, arrivando oggi ad incidere uno dei migliori lavori della loro carriera. Per gli estimatori del genere, un ascolto a dir poco consigliato.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Intro, Phantom Drip, Never Gonna Drink About You, Do Nothing, Pick 'Em Up And Put 'Em Down, Got A Feeling, Like A Knife, Zeroed Out, Living In My Head, Day Late Dollar Short, Night Ride.





giovedì 11 settembre 2025

TRAGEDY KHADAFI & RECOGNIZE ALI "The Past The Present And The Future" - Greenfield Music




L’attesa era quella che precede i dischi destinati a rimanere nella memoria di molti, quelli che, grazie alla loro qualità espressiva, riescono a lasciare un'impronta indelebile in un qualsiasi genere e nella rispettiva cultura di appartenenza. Ed è indubbio che, sulla base di un album come “The Past the Present and the Future”, il lavoro di RECOGNIZE ALI e TRAGEDY KHADAFI giustificasse le definizioni iperboliche sul loro conto. Grazie a tale collaborazione il suono del rap ha preso davvero il largo e questi tredici brani confermano una visione musicale dal forte impatto, una sorta di fusione definitiva tra le sfumature tipiche della vecchia scuola degli anni '90 e lo spirito suburbano dell’era moderna. La presenza dello storico Tragedy Khadafi (classe 1971), attivo nella scena americana sin dalla metà degli anni '80, svolge un ruolo cruciale nel determinare la qualità finale dell’intero full-length, con tutto rispetto per il suo compagno di viaggio, capace di spiccare per la sua rilevanza nello stesso ambito. E’ importante ricordare che, per capire a quale cultura fa riferimento un genere musicale, è necessario analizzare gli elementi che lo definiscono, come lo stile, la tradizione, i testi, nonché il contesto sociale e storico in cui continua a svilupparsi, senza dimenticare la provenienza geografica. Ecco spiegato il motivo per cui, in pieno 2025, l’arrivo di un disco ispirato come questo non passa inosservato. La prova di forza del ghanese Recognize Ali e del newyorkese Tragedy Khadafi, proveniente dai quartieri popolari di Queensbridge (New York), funziona sin dalle prime battute di “The Past the Present and the Future”, elevando all’ennesima potenza tutti i punti di forza che stanno alla base del loro approccio alla scrittura. I due rapper si posizionano sul lato oscuro della barricata, con una scrittura visionaria ed evocativa, cinematografica in alcuni passaggi, che evita la superficialità delle apparenze. Neri e cattivi, come si potrebbe dire. “Select Few”, “The Most Real” (feat. Vinnie Paz), “Loot Thirsty”, “Black Coke” (feat. Trife Diesel & DJ Tray), “Cold” (feat. Swab), "Diplomats", “Elevation” e “King Kong”, "Kuwait Regulate" (feat. Flash of NBS) promuovono un intelligente e consapevole compenetrazione del rap crepuscolare, indispensabile per veicolare certi messaggi legati alla vita di strada e alle odierne tragedie sociali. Non mancano momenti dal carattere arioso ("Everything", "Gone Tomorrow" feat. Ransom). Bellissima la conclusiva e autocelebrativa "Old & New Legends" (feat. Lukey Cage). Tutte le voci femminili utilizzate in alcuni brani hanno calore ed empatia, aiutando a creare una efficace inclusività. Un album di spessore che fa capire qual è il prezzo da pagare nelle zone meno abbienti delle grandi metropoli, perfetto in ogni sua parte, perciò scorrevole e senza la benché minima sbavatura o caduta di tono. Ascoltare “The Past the Present and the Future” è un'ottima occasione per rivendicare il valore di due artisti di caratura internazionale. Se non lo avete ancora capito, uno dei migliori album rap dell’anno in corso.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Will Be Free (Prod By El Maryacho), Select Few (Prod By K Sluggah), The Most Real Feat Vinnie Paz (Prod By Hobgoblin), Loot Thirsty (Prod By Twelvebit), Black Coke Feat Trife Diesel (Prod By K Sluggah) Cuts By DJ Tray, Everything (Prod By Hobgoblin), Cold (Prod By Hobgolblin) Cuts By Swab, Gone Tomorrow Feat Ransom (Prod By Vago), Diplomats (Prod By K Sluggah), Elevation (Prod By Hobgoblin), King Kong (Prod By Hobgoblin), Kuwait Regulate Feat Flash Of NBS (Prod By Twelvebit), Old And New Legends Feat Lukey Cage (Prod By Dredi Beats)