lunedì 1 giugno 2020

STEVE VON TILL - "OMBRE IN FUGA"






QUELLO DELLO STORICO MUSICISTA AMERICANO STEVE VON TILL SI PREANNUNCIA COME UNO DEI DISCHI SOLISTI PIU' "ATTESI" DELL'ANNO IN CORSO: SONO INFATTI TRASCORSI CINQUE ANNI DALL'USCITA DEL PRECEDENTE "A LIFE UNTO ITSELF" E TUTTO E' PRONTO PER IL RITORNO IN GRANDE STILE DI UNO DEGLI ARTISTI PIU' STIMATI NEL PANORAMA MUSICALE MONDIALE, CONOSCIUTO PER IL SUO RUOLO DI CANTANTE/CHITARRISTA DEI LEGGENDARI NEUROSIS. LA SUA MUSICA INTIMISTA HA DA SEMPRE SUSCITATO L'ATTENZIONE DI UN PUBBLICO ETEROGENEO CHE VA BEN OLTRE I CONFINI DELLA SCENA METAL, GRAZIE AD UN APPROCCIO STILISTICO TRA FOLK E ATMOSFERE TIPICHE DELLE SONORITA' ACUSTICHE PIU' RIFLESSIVE. QUELLA CHE SEGUE E' LA PRIMA INTERVISTA ITALIANA IN ESCLUSIVA (DEL 2020) RILASCIATA A SON OF FLIES. STEVE SI E' RIVELATO UN INTERLOCUTORE AFFABILE E DISPONIBILE, LIETO DI PRESENTARE IL NUOVO "NO WILDERNESS DEEP ENOUGH", IN USCITA AD AGOSTO.

Ciao Steve, grazie per la tua disponibilità. Oggi non posso assolutamente nascondere l'emozione che provo a parlare con te. È veramente un grandissimo onore. Come va la tua vita a Coeur d'Alene?

- Tutto procede al meglio. La mia famiglia sta bene. Fortunatamente la nostra zona ha avuto un numero molto basso di contagi da Covid-19. Sotto molti aspetti, qui nei boschi nulla è cambiato e la stessa cosa potrei dire del mio lavoro. Sono un insegnante di scuola e amo quello che faccio, perciò posso dire di essere veramente felice per avere un'occupazione. Certo, cercare di insegnare a 28 bambini di 9 anni utilizzando internet è semplicemente impossibile, soprattutto in una zona rurale e senza tempo come questa, ma stiamo facendo quello che possiamo.

In questo momento sei impegnato con il tuo nuovo album solista che dovrebbe uscire il 7 agosto 2020, quindi immagino tu sia completamente assorbito dal processo creativo. Sei soddisfatto delle canzoni di "No Wilderness Deep Enough"? È cambiato qualcosa nel tuo modo di comporre e nell'approccio alla registrazione?

- In realtà non ho deciso di creare questo album. Diciamo che è stato “un caso fortuito”. Tutto è iniziato nella casa d'infanzia di mia moglie nel Nord della Germania, dove la sua famiglia ha vissuto nella stessa fattoria per oltre 500 anni. In quel particolare periodo non riuscivo a dormire a causa del jet lag, quindi per combattere l'insonnia ho posizionato una piccola installazione elettronica nell'angolo della sua camera da letto con l'intenzione di imparare il funzionamento di un nuovo software audio. Non sono mai riuscito a capire quel programma, ma mi sono imbattuto in un bel pianoforte campionato da cui provenivano tante semplici progressioni di accordi melodici. Nelle notti successive le ho abbellite utilizzando un Mellotron e alcuni campionamenti di strumenti orchestrali. In quei giorni stavo solo improvvisando, senza nessuna pretesa. Poi, quando sono tornato nella mia casa, ho aperto i file nel mio studio personale e da quel momento ho deciso ad aggiungere dei sintetizzatori, cercando poi di trattare gli strumenti musicali con vari filtri, delays e riverberi. Ecco come ha iniziato a prendere forma il nuovo materiale. Ho cercato di ottenere dei movimenti sonori che potessero avere un senso, arrivando così al punto centrale del processo compositivo. Ma valutando attentamente tutti gli elementi, mi sono reso conto che non erano dei suoni adatti al cantautorato e nemmeno qualcosa che potesse ricordare la chitarra psichedelica del mio progetto Harvestman, quindi ho iniziato a chiedermi se avessi creato un nuovo progetto ambient/neoclassico. Successivamente ho inviato le tracce audio al mio amico Randall Dunn, colui che ha registrato il mio precedente album solista, per chiedere se fosse stato possibile condividere del tempo in studio per sostituire il piano con un vero e proprio pianoforte, e aggiungere un violoncello e un corno francese per cambiare alcune delle parti che avevo composto elettronicamente. Gli piaceva l'idea, ma mi ha anche sfidato. Mi ha detto che avrei dovuto cantare su quel materiale per farlo diventare il mio nuovo album da solista. Non ero molto d'accordo, però ho pensato che non sarebbe stato così male passare una settimana insieme a lui per provare a concretizzare la sua idea. Ai tempi mi trovavo da solo qui in casa durante una mia pausa invernale, ho installato un microfono, ho preso un quaderno e una penna, e ogni mattina mi sono svegliato per lavorare su dei nuovi approcci vocali e su delle parole che potessero funzionare. Alla fine di quella settimana ero d'accordo con lui. Abbiamo prenotato alcuni giorni di studio all'inizio dell'estate 2019 e questo album è il risultato.

Quando scrivi una canzone su una particolare sensazione della tua vita, come per esempio il nuovo singolo intitolato "Dreams of Trees", senti il desiderio di trovare un senso alla concreta esperienza compositiva? Le tue canzoni iniziano dalle parole?

- Le mie canzoni non iniziano mai con le parole ma prendono forma solo con dei suoni, e quando il processo creativo inizia a manifestarsi, cerco solo le parole adatte per i testi. Inizialmente faccio affidamento su diverse riviste di poesie, su parole, frasi e pensieri che, solo in un secondo momento diventeranno idee per le mie liriche, concetti che dovranno adattarsi ad ogni singola canzone. Il principio è non forzare mai la scrittura. Io cerco solo di ascoltare attentamente un certo suono vocale, un determinato numero di sillabe, un ritmo o una cadenza, e da lì cercare di trovare delle parole che suonano bene sulla musica, e che, ovviamente, abbiano un senso logico nell'insieme. Per me non è importante se le parole hanno un senso letterale o meno. Quello che conta è l'energia.

Cosa provi riguardo i testi che hai scritto per "No Wilderness Deep Enough"?

- Penso che siano alcuni dei miei migliori testi scritti fino ad oggi. Gli argomenti delle mie poesie sono stati trattati con serietà, e ciò ha donato ai miei testi la libertà di muoversi con lo spirito sonoro del disco. Sono come tanti pezzi di un collage, in cui ogni linea conduce a quella successiva seguendo un flusso, ma spesso i riferimenti reali possono anche essere esperienze, pensieri, oppure domande completamente diverse e incollate insieme. Ma dal momento che tutto dipende da come io vivo e interpreto la mia realtà, posso dire che funzionano bene.

Devi sapere che alcune delle tue canzoni sono sempre state parte della mia vita, delle mie esperienze vissute, quindi rappresentano una sorta di colonna sonora da circa 20 anni. I brani che hanno segnato la mia anima sono "We All Fall", "Twice Born", "Breathe", "To The Field", "My Work Is Done", "The Wild Hunt ", poi "A Grave Is A Grim Horse", "Clothes of Sand" (Nick Drake cover), "The Acre", "Gravity", "In Your Wings", "A Life Unto Itself", "A Language Of Blood", "Chasing Ghosts". Le tue sonorità mi ricordano tanti eventi positivi e negativi, momenti assolutamente indelebili. Molto spesso una canzone può essere un binario indispensabile a veicolare il dolore interiore o un canale per poter sentire e far emergere qualcosa di profondo, perciò immagino che per te debba essere una bellissima sensazione poter sfogare immediatamente le tue emozioni. Ti va di approfondire questo concetto?

- Raramente riesco a dare un significato alle mie canzoni. Ci sono momenti in cui mi ritrovo a riconoscere un determinato punto di partenza, altre volte i significati o i riferimenti non si rivelano per anni, e questo perché certe cose non sono ancora accadute. Ma devo anche dire che alcuni significati possono rimanere un mistero e manifestarsi solo attraverso un segnale emotivo. Diciamo che hanno una vita propria.

Nel mese scorso il tuo album di debutto "As The Crow Flies" ha festeggiato il ventesimio anniversario dalla sua pubblicazione (usciva il 23 maggio 2000). Che percezione hai oggi di quel lavoro?

- Sono fortunato ad essermi imbattuto in questa forma di espressione. L’intero processo di composizione e registrazione da solista è un caso fortuito. Ai tempi non sono partito con l’intenzione di scrivere un vero e proprio album solista. Devo dire che ho sempre avuto un'apparecchiatura utile per registrare la mia musica in casa. Ecco spiegato il motivo per cui tra il 1994 e il 1999 ho messo insieme un po’ di canzoni che non avevo utilizzato in nessun altro progetto, ed è stato un modo per dare luce alla mia voce interiore mentre lì fuori il mondo dormiva. Infatti, quei brani, calmi e riflessivi, sono stati composti in totale solitudine all’interno di una stanza e, soprattutto, durante le ore serali. Quel disco ha aperto le porte ad un nuovo percorso da esplorare.

Per molti anni sei stato in tournée con i Neurosis, e tutto questo succede ancora nel tuo presente. Ed è proprio a tal proposito che vorrei chiederti quali sensazioni provi oggi a girare il mondo con i tuoi compagni di band rispetto a quando eravate in giro trent'anni fa?

- Ora stiamo molto meglio e andiamo in tournée più comodamente, inoltre oggi ci sono tante persone che vengono ai nostri live. Nei primi periodi era una lotta, ma è stata comunque un'avventura indimenticabile. Non potevamo immaginare che un giorno la nostra musica strana e ostile sarebbe piaciuta così tanto.

Steve, perché sei diventato un musicista?

- I miei genitori ascoltavano tanta musica mentre iniziavo a crescere. Mio padre suonava la chitarra acustica e cantava canzoni folk, e aveva un gruppo al Liceo. Mia madre ascoltava il rock anni '70 e quello è stato il punto di accesso per la ricerca di musica più dura e pesante, fino a quando ho finalmente scoperto il punk rock. In quel momento ho capito che anch'io potevo iniziare ad esprimermi.

Che cos'è per te la passione e cosa significa avere passione?

- La passione è fare delle cose che non hanno un senso pratico perché sei spinto a farle, e quindi senti di doverle fare. Passione è anche quando capisci che stai lavorando duramente a qualcosa che ami e perciò non ti sembrerà mai un lavoro. In qualche modo è come essere posseduti da strane idee e, per questo motivo, bisogna sempre avere il coraggio per farle manifestare nel mondo.

Grazie per la tua gentilezza, Steve. Buona fortuna.

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