MOLTE PAROLE MERITANO DI ESSERE SPESE PER LA NOSTRANA WHITE ZOO RECORDS CHE, SEBBENE AI PIU' POSSA RISULTARE SCONOSCIUTA, E' UNA DELLE ETICHETTE INDIPENDENTI PIU' PROLIFICHE NELL'UNDERGROUND MUSICALE INTERNAZIONALE. IL SALENTINO SERGIO CHIARI, COLUI CHE LA GESTISCE, PRESTA ENORME ATTENZIONE ALLA QUALITA' DELLA MUSICA, E NON E' UN CASO SE TUTTE LE SUE PRODUZIONI RIESCONO ANCHE A VARCARE IL NOSTRO CONFINE PER AFFERMARSI PREPOTENTEMENTE SUL MERCATO ESTERO. I SUOI OBIETTIVI SONO BEN PRECISI E MIRATI, E VENGONO CONCRETIZZATI CON UN GRANDE SPIRITO DI SACRIFICIO. QUI LA PASSIONE VIENE MESSA IN PRATICA! QUESTO IL RESOCONTO DELLA NOSTRA LUNGA E APPROFONDITA CHIACCHIERATA. NON TRASCURATE LE SUE PAROLE.
1. Ciao Sergio, parlami un po’ di te e di come ti sei avvicinato al mondo della musica.
- Ciao Christian! Sono nato a Tricase nel secolo scorso, da una ragazza di facili costumi. Sono finito in orfanotrofio e successivamente destinato a una splendida coppia che mi ha allevato. In casa c’erano pochi dischi, per quello che ricordo il mio primo contatto musicale è stato una cassetta con incisa la fiaba di Barbablù. Era accompagnata da un commento musicale e riascoltavo ossessivamente uno stacchetto centrale, molto cupo, che drammatizzava la scoperta dei cadaveri nel racconto. Dopo aver consumato avidamente quanto offriva la casa fra 45 giri ed LP, ho cominciato ad ascoltare le prime cassette comprate nelle stazioni di servizio, e ad ascoltare quelle che ci doppiava un caro amico di famiglia, a farmi regalare qualche vinile e qualche CD che riversavo rigorosamente su cassetta già in tenera età, per poterlo ascoltare anche in auto. Pura merda basica per un bambino fortemente eclettico, da Ray Charles a Jerry Lee Lewis, da Renato Zero a Lucio Dalla, dall’Oscar Peterson Trio a Paul McCartney, dai Fleetwood Mac agli Iron Maiden, Europe, Jon Bon Jovi, Michael Jackson, Prince, George Michael, Led Zeppelin, AC/DC, Alice Cooper, Ozzy Osbourne… Successivamente le cassettine e i dischi di qualche amico più grande sono state altrettanto fondamentali: Dead Kennedys, Nurse With Wound, Coil... Roba che ti frigge il cervello a 14/15 anni... e i dischi che riuscivo a reperire da Pick Up in quel di Lecce e a Bari in quel di New Record: God Machine, Scorn, Terrorizer, Type O Negative, Pigface... Non ne ho mai avuto abbastanza...
2. So che hai maturato una cultura musicale molto ampia, ma quali pensi siano stati i generi che ti hanno maggiormente influenzato nella vita?
- Sono sempre stato molto vorace, e ancora oggi non smetto di appassionarmi a nuove scene e fenomeni musicali. Se dovessi individuare però un genere musicale che filosoficamente mi ha formato più di altri ti dico il punk. Il punto di non ritorno è stata una cassettina registrata mentre in radio, mi pare fosse Planet Rock, passavano un concerto dei Ramones al Rolling Stone di Milano. La riascoltavo continuamente, ogni mattina, con il mio walkman, mentre andavo a scuola, avevo 13 o 14 anni. Anche Claudio Sorge con la sua rubrica “Rumore” in radio e l’omonimo giornale sono stati un punto di riferimento nelle mie settimane di noia adolescenziale, registravo ogni puntata di quel programma. I Ramones dal vivo erano pura elettricità, possono stare ore i critici e gli amici a farsi le pippe sul fatto che già esisteva il garage dei sixties, su cosa li ha influenzati, che tutto era già stato fatto. Falso. Quei tronconi dritti ed elettrici di pseudo-canzoni non avevano nulla di sixties, di boogie, di blues, ma pura attitudine e elettricità dritta alla corteccia cerebrale, tanta libertà. Il punk e la sua filosofia nello specifico da allora non hanno mai smesso di influenzarmi. In quel momento ho capito che non importa cosa suoni e a cosa si ispiri ma quanto riesca a trascendere le tue influenze musicali e il tuo punto di partenza e suonare libero, oltraggioso, irriverente. A differenza poi di altri generi musicali il punk non sembrava offrire certezze e risposte, bensì domande, provocazioni, ti sputava in faccia la verità su alcune cose aprendo una sfilza di domande e mettendo tutto in discussione. È curioso, ma recentemente ho letto un’intervista a Jon Savage che sostiene esattamente la stessa cosa. Vorrei aggiungere però che i valori trasmessi dal punk rock originale sono universali e mai vecchi. Laddove pare essere stato assorbito mediaticamente nel corso degli anni qui in provincia continua a essere un mistero anche per chi pensa di saperne qualcosa a proposito. Provate pure ad andare in giro nel vostro paesello vestiti come si vestivano quei ragazzi allora, a suonare, a pensare come loro. Universale e sempre valido.
3. Come nasce l’esigenza di fondare un’etichetta indipendente? Perché il nome White Zoo Records?
- Da piccolo ero uno di quelli che oltre al nome dell’artista sul disco acquistato aveva un occhio di riguardo per il numero di catalogo e la label per la quale era uscito. Sognavo già di fondare una mia etichetta. Tutto questo si è concretizzato quando alcune delle band che mi piacevano e che seguivo avevano bisogno di qualcuno che gli pubblicasse un disco. In particolare le band della scena romana che si ispiravano al punk più oscuro e minore: i Transex, in cui cantava il mio amico Pierpaolo De Julis, i Giuda, i Silver Cocks e gli Steaknives. Pierpaolo me l’ha proposto e ho pensato che fosse ora. Il nome della label è un omaggio a David Bowie, una notte avevo sognato di ritrovarmi catapultato nella sequenza di “Cristiana F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, quindi possiamo dire che è stato David Bowie a suggerirmelo mentre dormivo.
4. A quale tipo di pubblico si rivolge la tua etichetta?
- A chiunque. Per quanto si tratti in particolare di band punk, glam rock e affini, ho sempre cercato di produrre dei dischi che avessero un sound capace di raggiungere le orecchie di persone non necessariamente legate alla scena punk rock. Non sono difatti rari i casi in cui queste band sono riuscite a proporsi a un pubblico più trasversale e a ricevere da subito consensi positivi da parte di critici musicali, addetti ai lavori e veri e propri personaggi storici della storia del pop e del rock che con il punk come viene inteso oggi hanno ben poco a che fare.
5. In base a quali criteri scegli gli artisti da mettere sotto contratto? E’ stato difficile selezionare i gruppi da produrre? Immagino quanto oggi sia difficile selezionare una band su cui investire denaro, tempo e sacrifici...
- È molto importante per me che abbiano delle buone canzoni, è la base per la vera riuscita di qualunque progetto discografico, quello che ti garantisce che se quel disco non dovesse essere apprezzato da subito prima o poi qualcuno lo scoprirà, lo apprezzerà e lo comprerà. Nel mio caso, come ti dicevo, non è stato particolarmente difficile, il mio approccio alla produzione discografica è coadiuvato dalla mia passione musicale, sono un fan di tutte le band alle quali ho prodotto un disco. Sono quello che un tempo era un A&R o un talent scout nel suo significato più puro, un ruolo che nella maggior parte delle compagnie discografiche ha perso completamente di valore. Sull’investire tempo, denaro e sacrifici non posso darti torto, e non è mai scontato che anche dopo averlo fatto ci si guadagni in termini di prestigio, figuriamoci in termini economici, difatti la tua intervista è la prima da molto tempo a questa parte.
6. Quali sono gli artisti che ti hanno dato maggiore soddisfazione e visibilità? Se non erro i tanto chiacchierati Giuda sono stati tra i primi ad entrare a far parte del roster dell’etichetta.
- Lo sono stati, da subito. In effetti posso ammettere con eterna soddisfazione che il primo disco mai stampato ai Giuda è “Get It Over” con marchio White Zoo Records. Adesso la prima stampa di quel disco è piuttosto quotata. La versione in vinile (Dead Beat) e in CD (sempre White Zoo) di “Racey Roller” è uscita successivamente. Ero un grande fan dei Taxi, la loro band precedente, dove mescolavano il punk rock più oscuro alla NWOBHM più istintiva. Ho preso un treno da Lecce per andare a vederli in quel di Roma e quanto visto era la conferma di ciò che avevo ascoltato. Una band trasversale, che era destinata al successo. Mi dissi che semmai avessi aperto un’etichetta avrei voluto che fossero parte del roster, produrre un loro disco. Li ho spinti il più possibile e sono felice di averlo fatto. Ti racconto qualche aneddoto da produttore discografico in erba. Nel mondo della musica oggigiorno tutto si muove ancora più lentamente (non velocemente, come spesso si pensa, per via del digitale…), ma alcune cose sono rimaste più o meno uguali, devi spaccarti il culo e darti da fare. Non può che suscitare la mia ironia e al contempo il mio orgoglio vedere che adesso su certe riviste di settore particolarmente blasonate riportano la frase che Kim Fowley ben quattro anni fa mi scrisse durante una delle nostre numerose chiacchierate via chat: “Giuda is the new Gary Glitter! Glam rockers for the 21st century!”. Gli chiesi se avessi potuto utilizzare quelle parole a scopi promozionali, sapendo da buon figlio di puttana che qualche rivista importante qualche mese dopo l’avrebbe riportata. Ci sono voluti due lunghi anni, hahaha! L’ho incontrato successivamente a Madrid, un bel momento con un uomo che è stato una grande fonte di ispirazione per me, gli ho regalato una copia del disco dei Transex dove campeggio sulla front cover, travestito da donna, e mi ha autografato uno dei suoi dischi. “Sergio, U are the new me ! Enjoy!”, un bel passaggio di consegne, hahah. Ho spedito di mia spontanea volontà copie di “Racey Roller” a destra e a manca, al buon Kim, a Phil King (che adesso suona con i Jesus & Mary Chain e vestiva per l’occasione del concerto in quel di Ferrara una shirt della Giuda Horde), a Mojo, a chiunque potesse apprezzare ciò che già sapevo essere destinato a un grande successo. Quindi mi do una grande pacca sul culo complimentandomi con me stesso. Sarebbero arrivati comunque a fare grandi cose, l’ho sempre saputo che erano dei predestinati, ma l’idea di aver potuto contribuire a tanto successo mi riempie di soddisfazione. Lorenzo, Tenda, Danilo, Michele e Daniele hanno la mia stima incondizionata, sono amici e fratelli per me. Adesso bisogna lavorare sodo per riportarli alla casa madre perché nel frattempo sono diventati enormi, hahaha!
7. Anni fa ti sei trasferito a Madrid per poi ritornare a Lecce. Lo spostamento oltreconfine è avvenuto soprattutto per motivi professionali e musicali. Puoi parlarci di quella tua esperienza spagnola?
- La Spagna è da molti anni la mia seconda casa, sotto certi aspetti la prima, diciamolo pure. Mi ci sono trasferito per via di una borsa di studio della Warner affinché studiassi in una scuola privata. Inutile dire che la mia intenzione fosse quella di frequentare i bassifondi e gli ambienti più underground, cosa che ho fatto. Dalla scuola e dai corsi ho cercato di prelevare tutte le informazioni che mi interessavano per quanto riguarda il music business, per il resto ho bazzicato le strade e i concerti. Avevo già avuto un’esperienza universitaria in Spagna, ho vissuto a León, una città dove si gela, ma molto divertente. Che dire? Mi sento completamente a mio agio in Spagna. E poi è un popolo di festaioli e dalla mentalità aperta. E anch’io. Difatti in Spagna tutti pensavano fossi spagnolo, hehehe.
8. A Madrid sei entrato in contatto con musicisti e addetti ai lavori dell’ambiente musicale della città?
- Per via della scuola posso dirti di aver conosciuto svariati addetti ai lavori, tra cui consiglieri ed ex presidenti della Warner. Non è rimasto nulla di quello che pensavamo fosse l’industria discografica e sono i primi ad ammetterlo e a non avere scrupoli nel dirti come vanno le cose. L’industria discografica finanzia quelle porcate di talent show in televisione dai quali escono fuori “artisti” che cercano di spremere nel giro di pochi mesi dal loro lancio televisivo, gli A&R e i talent scout sono diventati invariabilmente una massa di ragazze e ragazzi carini che portano il caffè e si occupano dei banchetti ai concerti e di pubbliche relazioni, pagati una miseria anche loro. Non c’è spazio per persone come me al momento nell’industria discografica major, magari un domani potrei ricredermi dovesse cambiare qualcosa, ma in fin dei conti chi se ne fotte. Sono ovviamente entrato in contatto anche con molti musicisti locali e stranieri per via dei concerti, alcuni gig li ho organizzati io stesso. Un gruppo di ragazzini di Madrid che non avevano mai suonato o inciso una demo, ad esempio, i Teenage Mutant Trash, incontrati una sera per puro caso. Gli organizzai un concerto per la notte di Halloween, 160 persone in un posto che ne faceva 80 di capienza, tutti incastrati come il Tetris. Bella la Spagna. E poi ho avuto il piacere di lasciare tanti dischi come promo ad artisti che qui non avrei mai potuto incrociare, ad esempio Jerry A dei Poison Idea, che si è beccato gli LP di Silver Cocks e Steaknives, Ana Curra dei Paralisis Permanente, i Dictators... la lista sarebbe lunga...
9. Quanto è stato difficile riambientarti nella tua città natale (Lecce)? E quali i limiti da affrontare vivendo e lavorando nel profondo Sud dell'Italia?
- Per quanto le mie intenzioni fossero ottime e propositive fin dall’inizio è stato piuttosto difficile. Difficile organizzare concerti, il White Zoo Fest è rimasto un’esperienza isolata, sono già trascorsi due anni dalla prima edizione e non ce n’è stata ancora una seconda, difficile trovare spazi dove potersi esprimere con la musica che ami con una certa continuità. Quanto a Lecce, non ho molta voglia di parlare male di una città che amo e alla quale sono profondamente legato, ma l’ho trovata ancora più degradata, ignorante e decadente rispetto a quando l’avevo lasciata. Un vero peccato, considerando che ha un potenziale enorme. A tutt’oggi, 2016, in quel di Lecce non esiste un piccolo club di 150, 200 persone di capienza, dove poter vedere dei concerti di qualità che contemplano le più svariate subculture musicali giovanili. Devo aggiungere altro? Il quartiere dove ho vissuto la maggior parte della mia vita, il “Ferrovia”, era già un quartierino difficile, ma adesso è una specie di Bronx. Egoisticamente potrei dire, da una prospettiva “artistica”, che potrebbe essere un’inesauribile fonte di ispirazione, ma quando mancano gli spazi in cui esprimersi rimane solo il degrado. Molte delle migliori espressioni musicali sono nate e nascono in una situazione di instabilità, di decadenza e di degrado se esistono gli spazi in cui convogliare idee e progetti. Il mio ritorno qui mi ha confermato che la maggiore aspirazione di molti ragazzi è quella di diventare un tamarro con i soldi, come quelli che vedono in televisione, o scappare via per sempre se coltivano aspirazioni più grandi e più sane. Purtroppo negli ultimi anni hanno cercato di convincerci che il nostro folklore e le nostre radici fossero il massimo della vita, e riuscendo anche a venderle hanno convinto molte persone che è così. Ti ritrovi a vivere una situazione irreale, dove certi tic e modalità d’espressione “roots” sembrano essere diventati l’unica maniera “giusta” per esprimersi. Dove l’”alternativa” è sempre e comunque andare a mangiare e a bere qualcosa. Dove è rimasto un solo negozio di dischi in città e che Dio ce lo preservi. Dove i “compare mio” si sprecano anche nei pochi posti dove si dovrebbe fare tutt’altro. Da una parte deve esserci stata la convinzione da parte delle amministrazioni che si sono succedute nel corso degli anni che agevolare l’apertura di posti dove un certo tipo di musica potesse essere protagonista (e perché no, anche insonorizzarli e installare i doppi vetri al vicinato, come si fa in Spagna) e lasciarli lavorare avrebbe aumentato il bivacco, il consumo di droghe, che avrebbe messo in pericolo le nuove generazioni o infastidito qualcuno per la musica troppo alta. Risultato? La droga di pari passo con la noia circola che è un piacere anche nei pub della Lecce da bere, le nuove generazioni coltivano la subcultura del nulla, l’Università conta sempre meno iscritti per via degli alti costi, ma diciamoci la verità, anche perché la città non offre molto, le migliori teste in circolazione vivono una situazione di isolamento, di sconforto, tirano a campare o contemplano altri posti dove potersi trasferire. Ed è un peccato perché Lecce e provincia è piena di addetti ai lavori, gestori di locali, musicisti, dj che sono preparati e che hanno iniziativa, mi basta scorrere la mia rubrica telefonica per sapere che è così. Quando sento parlare di “Movida” a proposito dell’ambiente notturno leccese, avendo vissuto nel cuore della medesima (il termine “Movida” nasce in Spagna, a Madrid: un manipoli di artisti, musicisti, locali e addetti ai lavori grazie ai quali Madrid diventò uno dei posti più “in” d’Europa e del mondo) e sapendo che è strettamente legata a un certo tipo di espressioni artistiche, non posso non sorridere. Ma è un sorriso amaro, “compare mio”.
10. Oggigiorno, la produzione, promozione e fruizione della musica sono cambiate moltissimo rispetto agli anni '80/'90, ma sembra che nella dimensione della White Zoo Records si stia tornando ad una funzione più autentica, dove si tende a fare le cose alla vecchia maniera. Diversi i vinili da te prodotti...
- Diciamo che dopo sei anni di attività senza saperlo mi sono ritrovato gioco-forza a seguire la tendenza. Un tempo le label underground e persone come me erano il ponte fra le band poco conosciute e la distribuzione major. Da tempo non è più così, quindi siamo tornati a fare quello che facevano le label “DIY” sul finire degli anni ’70 e nei primi anni ’80. Con un’unica differenza, che allora i dischi vendevano sul serio. Adesso sembrano essere diventati, spiace dirlo, anche per molti artisti mera merce promozionale per poter suonare dal vivo, che è la vera fonte di guadagno. Si è tornati agli anni ’60, quando si smerciavano i dischi, in particolare i 45 giri, e i live. Internet offre una serie di potenzialità infinite in quanto a comunicazione e promozione, ma se poi quello che produci ha perso senso e valore per molti sedicenti appassionati di musica è difficile andare avanti. Del resto non saprei proprio fare altro, quindi perché crucciarsene? Il mio obiettivo non è mai stato farmi i milioni con questa musica. Come per il punk, è una questione di attitudine. Non sono un partigiano del vinile, anche se è un supporto che amo particolarmente e avrei comunque prodotto dischi in vinile. Semplicemente è il tipo di supporto più richiesto per chi segue queste sonorità, ma l’esperienza mi insegna che questo tipo di band, se ci credono, possono arrivare dove vogliono. Il CD di “Racey Roller” è stato ristampato per ben tre volte con il marchio White Zoo, per dire.
11. Ti senti di appartenere a un determinato genere o scena?
- Non proprio, il mondo è la mia ostrica e la musica la mia gelateria. Per quanto tu possa amare il cioccolato forse è ora che provi anche il pistacchio. Ogni qualvolta ho cercato di mischiarmi in una scena in particolare mi sono ritrovato a subirne tic e brutture. Preferisco dedicarmi solo alla musica, se è valida non importa il genere, se fa cagare meno ancora. Il punk originale mi ha insegnato questo, capire la necessità del cambiamento, il bruco che diventa farfalla. Non sono proprio il tipo che può ascoltare per 10 anni consecutivi solo crust e hc. Preferisco ascoltare il meglio di una scena, prendere tutto il buono, assimilarlo e passare avanti per poi ritornarci quando si producono nuovamente cose decenti.
12. Come vedi l’attuale stato di salute della musica underground italiana?
- In Italia non sono mai mancate le buone band e una buona musica underground, dal punk alla techno, dal metal al progressive rock, dalla disco alla musica industriale o qualunque altra cosa possa venire in mente. Anche oggi ci sono tantissime band e produttori validi. Quello che manca è che la maggior parte di questa musica, laddove non abbia un link diretto con qualcosa che ricordi la nostra tradizione cantautorale, difficilmente vive un’esposizione mediatica rilevante, ma deve sfruttare altri canali. Questo è un limite per quanto qualcuno possa dire che non gliene frega niente.
13. Cosa c’è da aspettarsi nel futuro dalla White Zoo Records?
- Anzitutto il booking, è molto importante per me a questo punto riuscire a garantire a band e dischi una circolazione maggiore, come ti dicevo prima è l’unico modo. Per quanto riguarda le nuove uscite, nell’immediato futuro l’LP d’esordio degli Alieni, una band romana fuori di testa, che canta in italiano, ma conoscendomi saprai che non sono esattamente dei cantautori, ahemmm. Sono fenomenali, un incrocio fra gli Aerobitch, i Poison Idea, il primo punk, certe suggestioni dell’hard rock italiano degli anni ’70 (in scaletta hanno “Confessione” dei Biglietto Per l’Inferno, ma la loro versione non è esattamente prog, hehe), una romanità viscerale (quindi in linea con quanto offerto da altri dischi da me prodotti). Da poco è uscito un singolo, “Toy Boy”, per Rave Up Records. Fantastici. Ho appena stampato il 7” d’esordio dei Bistouries, “Time To Have Fun”, band leccese fra power pop, punk ‘77 e jangle guitar pop, e sono veramente soddisfatto del risultato, ci tenevo molto considerando poi che proveniamo dallo stesso ambiente e fra mille difficoltà è venuto fuori un singolo bomba, prodotto da Danilo Silvestri, che è anche il produttore musicale dei Giuda e del 70% delle mie produzioni discografiche, una persona straordinaria. Ne sentirete parlare, grandissima band. Appena uscito anche il 7” dei Dr Boogie, una band di Los Angeles che mi ha contattato qualche mese fa, sono una band glam rock eccezionale, il cantante ha la voce di un giovane Rod Stewart, epoca Faces. Non posso far a meno di citare le mie due altre etichette, una più dedita a suoni elettronici, post-punk e minimal synth, Killed By Disco Records, e l’altra nata da poco, Ave Phoenix Records, con la quale mi occuperò soprattutto di ristampe, imminente quella dell’EP degli Scent Merci, band post-punk degli anni ’80 da Treviso, roba immarcescibile. Poi c’è il mio servizio di mailorder, Disconutshot, che mi tiene abbastanza occupato.
14. Elenca dieci dischi che hanno segnato la tua infanzia (senza badare al genere musicale) e dieci dischi contemporanei di cui non puoi fare a meno.
- Oh Gesù, è la domanda più difficile di tutte. Venti sono pochi. Te ne offro una buona selezione, dall’infanzia alla contemporaneità.
Michael Jackson – Bad
George Michael - Faith
Lucio Dalla – Best of
Fleetwood Mac – Tango in the night
Paul McCartney – All the Best
Simple Minds – Street fighting years
AC/DC – Who Made Who
Iron Maiden – No Prayer for the Dying
Rage Against The Machine - s/t
Raw Power – Screams from the Gutter
God Machine – Scenes from the second storey
Morbid Angel – Blessed are the sick
Carcass - Necroticism
Type O Negative – Slow, Deep and Hard
NIN – The Downward Spiral
Current 93 – Of Ruin or Some Blazing Starre…
Death In June – Walls Of Sacrifice
Killing Joke – Killing Joke
Soft Cell – Non Stop Erotic Cabaret
Cure – Pornography
Suede – Suede
Dead Kennedys – Fresh Fruits for Rotting Vegetables
Nurse With Wound – Rock’n’roll station
Joy Division – Unknown Pleasures
Paralisis Permanente – Grabaciones Completas
Blue Nile – Hats
Raveonettes – Raven In The Grave
Drums – Portamento
R.E.M. - Monster
Taxi – Yu Tolk Tu Mach
Primal Scream – Exterminator
Depeche Mode – Violator
Guns’n’Roses – Appetite for Destruction
Smashing Pumpkins – Mellon Collie…
Soundgarden – Badmotorfinger
Viet Cong – st
Cybotron – Clear
Green Velvet – Whatever
Black Lips – Los Valientes del Mundo Nuevo
Felix Da Housecat – Devin Dazzle…
Wicked Lady – The Axeman Cometh
Front 242 – Front By Front
Venom – Welcome to Hell
Iggy Pop – The Idiot
David Bowie – Station to Station
Lou Reed – Transformer
Turbonegro – Apocalypse Dudes
Davila 666 – st
15. Cinque film fondamentali?
- Solo cinque? Difficilissimo. Diciamo: “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene, “Ritorno al Futuro” di Zemeckis, “Doom Generation” di Araki, “Violent Cop” di Takeshi Kitano... Ma dovrei aggiungerne altri 95.
16. Cosa puoi dirmi su tre colossi della musica internazionale scomparsi tra il 2015 e 2016: B.B. King, Ian Fraser Kilmister, David Bowie.
- B.B King è il nome che la mia generazione e innumerevoli altre associano al Blues in automatico. Forse non è il mio preferito (penso a Muddy Waters, ad esempio) ma uno dei miei preferiti, e di sicuro colui che ha portato questo genere alle masse il che non è necessariamente negativo, è lui the King of Blues, non solo per il suo stile chitarristico puro, incisivo, acuto e al contempo rotondo e inimitabile, attento ad estrapolare la massima espressione possibile su ogni singola nota (mi ricorda un po’ Miles Davis in questo senso), ma anche per essere stato un meraviglioso cantante. In pochi sottolineano, ancora oggi, questa sua dote.
Lemmy è stato cruciale. Senza questo signore niente punk, niente speed metal, niente hc, niente di niente. Ha vissuto la sua anfetaminica vita come voleva ed è proprio dei coraggiosi e la sua morte è stata simile alla sua vita, veloce, rapida e spero non troppo dolorosa. Non mi ha solo insegnato tanto sulla musica che amo ma ho apprezzato moltissimo la sua autobiografia, la sua convinzione di poter superare qualunque ostacolo della vita mi ha aperto il cuore, in questo senso il suo incrollabile ottimismo mi ha ricordato molto quello di mio padre, li invidio, io sono un’anima tormentata il più delle volte. Una figura paterna il buon Lemmy.
Che dire di zio David? Ho dato questo nome così speciale alla mia label... Uno dei più grandi artisti del ‘900 e oltre. La capacità camaleontica di calarsi e sentirsi a suo agio nei più svariati generi musicali è arcinota, ma il riuscire a trasformarli secondo la propria sensibilità e renderli qualcosa di nuovo e persino fruibile da parte delle masse, beh, è stupefacente...
17. Cosa vedi nel tuo futuro?
- I Bravata, band nella quale canto e suono la chitarra, insieme a Clara Romita (batteria), Annalisa Vetrugno (basso) e Francesco Cagnazzo (chitarra). Forse esordiremo quest’anno su White Zoo Records, notoria label leccese, non so se conosci... Ma dicono che Sergio è un tipo bizzarro...
18. Grazie per l'intervista.
- Grazie a te Christian e un abbraccio forte a tutti i lettori di Son Of Flies. Support underground webzines, bands & labels! Support the Son of Flies!
1. Ciao Sergio, parlami un po’ di te e di come ti sei avvicinato al mondo della musica.
- Ciao Christian! Sono nato a Tricase nel secolo scorso, da una ragazza di facili costumi. Sono finito in orfanotrofio e successivamente destinato a una splendida coppia che mi ha allevato. In casa c’erano pochi dischi, per quello che ricordo il mio primo contatto musicale è stato una cassetta con incisa la fiaba di Barbablù. Era accompagnata da un commento musicale e riascoltavo ossessivamente uno stacchetto centrale, molto cupo, che drammatizzava la scoperta dei cadaveri nel racconto. Dopo aver consumato avidamente quanto offriva la casa fra 45 giri ed LP, ho cominciato ad ascoltare le prime cassette comprate nelle stazioni di servizio, e ad ascoltare quelle che ci doppiava un caro amico di famiglia, a farmi regalare qualche vinile e qualche CD che riversavo rigorosamente su cassetta già in tenera età, per poterlo ascoltare anche in auto. Pura merda basica per un bambino fortemente eclettico, da Ray Charles a Jerry Lee Lewis, da Renato Zero a Lucio Dalla, dall’Oscar Peterson Trio a Paul McCartney, dai Fleetwood Mac agli Iron Maiden, Europe, Jon Bon Jovi, Michael Jackson, Prince, George Michael, Led Zeppelin, AC/DC, Alice Cooper, Ozzy Osbourne… Successivamente le cassettine e i dischi di qualche amico più grande sono state altrettanto fondamentali: Dead Kennedys, Nurse With Wound, Coil... Roba che ti frigge il cervello a 14/15 anni... e i dischi che riuscivo a reperire da Pick Up in quel di Lecce e a Bari in quel di New Record: God Machine, Scorn, Terrorizer, Type O Negative, Pigface... Non ne ho mai avuto abbastanza...
2. So che hai maturato una cultura musicale molto ampia, ma quali pensi siano stati i generi che ti hanno maggiormente influenzato nella vita?
- Sono sempre stato molto vorace, e ancora oggi non smetto di appassionarmi a nuove scene e fenomeni musicali. Se dovessi individuare però un genere musicale che filosoficamente mi ha formato più di altri ti dico il punk. Il punto di non ritorno è stata una cassettina registrata mentre in radio, mi pare fosse Planet Rock, passavano un concerto dei Ramones al Rolling Stone di Milano. La riascoltavo continuamente, ogni mattina, con il mio walkman, mentre andavo a scuola, avevo 13 o 14 anni. Anche Claudio Sorge con la sua rubrica “Rumore” in radio e l’omonimo giornale sono stati un punto di riferimento nelle mie settimane di noia adolescenziale, registravo ogni puntata di quel programma. I Ramones dal vivo erano pura elettricità, possono stare ore i critici e gli amici a farsi le pippe sul fatto che già esisteva il garage dei sixties, su cosa li ha influenzati, che tutto era già stato fatto. Falso. Quei tronconi dritti ed elettrici di pseudo-canzoni non avevano nulla di sixties, di boogie, di blues, ma pura attitudine e elettricità dritta alla corteccia cerebrale, tanta libertà. Il punk e la sua filosofia nello specifico da allora non hanno mai smesso di influenzarmi. In quel momento ho capito che non importa cosa suoni e a cosa si ispiri ma quanto riesca a trascendere le tue influenze musicali e il tuo punto di partenza e suonare libero, oltraggioso, irriverente. A differenza poi di altri generi musicali il punk non sembrava offrire certezze e risposte, bensì domande, provocazioni, ti sputava in faccia la verità su alcune cose aprendo una sfilza di domande e mettendo tutto in discussione. È curioso, ma recentemente ho letto un’intervista a Jon Savage che sostiene esattamente la stessa cosa. Vorrei aggiungere però che i valori trasmessi dal punk rock originale sono universali e mai vecchi. Laddove pare essere stato assorbito mediaticamente nel corso degli anni qui in provincia continua a essere un mistero anche per chi pensa di saperne qualcosa a proposito. Provate pure ad andare in giro nel vostro paesello vestiti come si vestivano quei ragazzi allora, a suonare, a pensare come loro. Universale e sempre valido.
3. Come nasce l’esigenza di fondare un’etichetta indipendente? Perché il nome White Zoo Records?
- Da piccolo ero uno di quelli che oltre al nome dell’artista sul disco acquistato aveva un occhio di riguardo per il numero di catalogo e la label per la quale era uscito. Sognavo già di fondare una mia etichetta. Tutto questo si è concretizzato quando alcune delle band che mi piacevano e che seguivo avevano bisogno di qualcuno che gli pubblicasse un disco. In particolare le band della scena romana che si ispiravano al punk più oscuro e minore: i Transex, in cui cantava il mio amico Pierpaolo De Julis, i Giuda, i Silver Cocks e gli Steaknives. Pierpaolo me l’ha proposto e ho pensato che fosse ora. Il nome della label è un omaggio a David Bowie, una notte avevo sognato di ritrovarmi catapultato nella sequenza di “Cristiana F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, quindi possiamo dire che è stato David Bowie a suggerirmelo mentre dormivo.
4. A quale tipo di pubblico si rivolge la tua etichetta?
- A chiunque. Per quanto si tratti in particolare di band punk, glam rock e affini, ho sempre cercato di produrre dei dischi che avessero un sound capace di raggiungere le orecchie di persone non necessariamente legate alla scena punk rock. Non sono difatti rari i casi in cui queste band sono riuscite a proporsi a un pubblico più trasversale e a ricevere da subito consensi positivi da parte di critici musicali, addetti ai lavori e veri e propri personaggi storici della storia del pop e del rock che con il punk come viene inteso oggi hanno ben poco a che fare.
5. In base a quali criteri scegli gli artisti da mettere sotto contratto? E’ stato difficile selezionare i gruppi da produrre? Immagino quanto oggi sia difficile selezionare una band su cui investire denaro, tempo e sacrifici...
- È molto importante per me che abbiano delle buone canzoni, è la base per la vera riuscita di qualunque progetto discografico, quello che ti garantisce che se quel disco non dovesse essere apprezzato da subito prima o poi qualcuno lo scoprirà, lo apprezzerà e lo comprerà. Nel mio caso, come ti dicevo, non è stato particolarmente difficile, il mio approccio alla produzione discografica è coadiuvato dalla mia passione musicale, sono un fan di tutte le band alle quali ho prodotto un disco. Sono quello che un tempo era un A&R o un talent scout nel suo significato più puro, un ruolo che nella maggior parte delle compagnie discografiche ha perso completamente di valore. Sull’investire tempo, denaro e sacrifici non posso darti torto, e non è mai scontato che anche dopo averlo fatto ci si guadagni in termini di prestigio, figuriamoci in termini economici, difatti la tua intervista è la prima da molto tempo a questa parte.
6. Quali sono gli artisti che ti hanno dato maggiore soddisfazione e visibilità? Se non erro i tanto chiacchierati Giuda sono stati tra i primi ad entrare a far parte del roster dell’etichetta.
- Lo sono stati, da subito. In effetti posso ammettere con eterna soddisfazione che il primo disco mai stampato ai Giuda è “Get It Over” con marchio White Zoo Records. Adesso la prima stampa di quel disco è piuttosto quotata. La versione in vinile (Dead Beat) e in CD (sempre White Zoo) di “Racey Roller” è uscita successivamente. Ero un grande fan dei Taxi, la loro band precedente, dove mescolavano il punk rock più oscuro alla NWOBHM più istintiva. Ho preso un treno da Lecce per andare a vederli in quel di Roma e quanto visto era la conferma di ciò che avevo ascoltato. Una band trasversale, che era destinata al successo. Mi dissi che semmai avessi aperto un’etichetta avrei voluto che fossero parte del roster, produrre un loro disco. Li ho spinti il più possibile e sono felice di averlo fatto. Ti racconto qualche aneddoto da produttore discografico in erba. Nel mondo della musica oggigiorno tutto si muove ancora più lentamente (non velocemente, come spesso si pensa, per via del digitale…), ma alcune cose sono rimaste più o meno uguali, devi spaccarti il culo e darti da fare. Non può che suscitare la mia ironia e al contempo il mio orgoglio vedere che adesso su certe riviste di settore particolarmente blasonate riportano la frase che Kim Fowley ben quattro anni fa mi scrisse durante una delle nostre numerose chiacchierate via chat: “Giuda is the new Gary Glitter! Glam rockers for the 21st century!”. Gli chiesi se avessi potuto utilizzare quelle parole a scopi promozionali, sapendo da buon figlio di puttana che qualche rivista importante qualche mese dopo l’avrebbe riportata. Ci sono voluti due lunghi anni, hahaha! L’ho incontrato successivamente a Madrid, un bel momento con un uomo che è stato una grande fonte di ispirazione per me, gli ho regalato una copia del disco dei Transex dove campeggio sulla front cover, travestito da donna, e mi ha autografato uno dei suoi dischi. “Sergio, U are the new me ! Enjoy!”, un bel passaggio di consegne, hahah. Ho spedito di mia spontanea volontà copie di “Racey Roller” a destra e a manca, al buon Kim, a Phil King (che adesso suona con i Jesus & Mary Chain e vestiva per l’occasione del concerto in quel di Ferrara una shirt della Giuda Horde), a Mojo, a chiunque potesse apprezzare ciò che già sapevo essere destinato a un grande successo. Quindi mi do una grande pacca sul culo complimentandomi con me stesso. Sarebbero arrivati comunque a fare grandi cose, l’ho sempre saputo che erano dei predestinati, ma l’idea di aver potuto contribuire a tanto successo mi riempie di soddisfazione. Lorenzo, Tenda, Danilo, Michele e Daniele hanno la mia stima incondizionata, sono amici e fratelli per me. Adesso bisogna lavorare sodo per riportarli alla casa madre perché nel frattempo sono diventati enormi, hahaha!
7. Anni fa ti sei trasferito a Madrid per poi ritornare a Lecce. Lo spostamento oltreconfine è avvenuto soprattutto per motivi professionali e musicali. Puoi parlarci di quella tua esperienza spagnola?
- La Spagna è da molti anni la mia seconda casa, sotto certi aspetti la prima, diciamolo pure. Mi ci sono trasferito per via di una borsa di studio della Warner affinché studiassi in una scuola privata. Inutile dire che la mia intenzione fosse quella di frequentare i bassifondi e gli ambienti più underground, cosa che ho fatto. Dalla scuola e dai corsi ho cercato di prelevare tutte le informazioni che mi interessavano per quanto riguarda il music business, per il resto ho bazzicato le strade e i concerti. Avevo già avuto un’esperienza universitaria in Spagna, ho vissuto a León, una città dove si gela, ma molto divertente. Che dire? Mi sento completamente a mio agio in Spagna. E poi è un popolo di festaioli e dalla mentalità aperta. E anch’io. Difatti in Spagna tutti pensavano fossi spagnolo, hehehe.
8. A Madrid sei entrato in contatto con musicisti e addetti ai lavori dell’ambiente musicale della città?
- Per via della scuola posso dirti di aver conosciuto svariati addetti ai lavori, tra cui consiglieri ed ex presidenti della Warner. Non è rimasto nulla di quello che pensavamo fosse l’industria discografica e sono i primi ad ammetterlo e a non avere scrupoli nel dirti come vanno le cose. L’industria discografica finanzia quelle porcate di talent show in televisione dai quali escono fuori “artisti” che cercano di spremere nel giro di pochi mesi dal loro lancio televisivo, gli A&R e i talent scout sono diventati invariabilmente una massa di ragazze e ragazzi carini che portano il caffè e si occupano dei banchetti ai concerti e di pubbliche relazioni, pagati una miseria anche loro. Non c’è spazio per persone come me al momento nell’industria discografica major, magari un domani potrei ricredermi dovesse cambiare qualcosa, ma in fin dei conti chi se ne fotte. Sono ovviamente entrato in contatto anche con molti musicisti locali e stranieri per via dei concerti, alcuni gig li ho organizzati io stesso. Un gruppo di ragazzini di Madrid che non avevano mai suonato o inciso una demo, ad esempio, i Teenage Mutant Trash, incontrati una sera per puro caso. Gli organizzai un concerto per la notte di Halloween, 160 persone in un posto che ne faceva 80 di capienza, tutti incastrati come il Tetris. Bella la Spagna. E poi ho avuto il piacere di lasciare tanti dischi come promo ad artisti che qui non avrei mai potuto incrociare, ad esempio Jerry A dei Poison Idea, che si è beccato gli LP di Silver Cocks e Steaknives, Ana Curra dei Paralisis Permanente, i Dictators... la lista sarebbe lunga...
9. Quanto è stato difficile riambientarti nella tua città natale (Lecce)? E quali i limiti da affrontare vivendo e lavorando nel profondo Sud dell'Italia?
- Per quanto le mie intenzioni fossero ottime e propositive fin dall’inizio è stato piuttosto difficile. Difficile organizzare concerti, il White Zoo Fest è rimasto un’esperienza isolata, sono già trascorsi due anni dalla prima edizione e non ce n’è stata ancora una seconda, difficile trovare spazi dove potersi esprimere con la musica che ami con una certa continuità. Quanto a Lecce, non ho molta voglia di parlare male di una città che amo e alla quale sono profondamente legato, ma l’ho trovata ancora più degradata, ignorante e decadente rispetto a quando l’avevo lasciata. Un vero peccato, considerando che ha un potenziale enorme. A tutt’oggi, 2016, in quel di Lecce non esiste un piccolo club di 150, 200 persone di capienza, dove poter vedere dei concerti di qualità che contemplano le più svariate subculture musicali giovanili. Devo aggiungere altro? Il quartiere dove ho vissuto la maggior parte della mia vita, il “Ferrovia”, era già un quartierino difficile, ma adesso è una specie di Bronx. Egoisticamente potrei dire, da una prospettiva “artistica”, che potrebbe essere un’inesauribile fonte di ispirazione, ma quando mancano gli spazi in cui esprimersi rimane solo il degrado. Molte delle migliori espressioni musicali sono nate e nascono in una situazione di instabilità, di decadenza e di degrado se esistono gli spazi in cui convogliare idee e progetti. Il mio ritorno qui mi ha confermato che la maggiore aspirazione di molti ragazzi è quella di diventare un tamarro con i soldi, come quelli che vedono in televisione, o scappare via per sempre se coltivano aspirazioni più grandi e più sane. Purtroppo negli ultimi anni hanno cercato di convincerci che il nostro folklore e le nostre radici fossero il massimo della vita, e riuscendo anche a venderle hanno convinto molte persone che è così. Ti ritrovi a vivere una situazione irreale, dove certi tic e modalità d’espressione “roots” sembrano essere diventati l’unica maniera “giusta” per esprimersi. Dove l’”alternativa” è sempre e comunque andare a mangiare e a bere qualcosa. Dove è rimasto un solo negozio di dischi in città e che Dio ce lo preservi. Dove i “compare mio” si sprecano anche nei pochi posti dove si dovrebbe fare tutt’altro. Da una parte deve esserci stata la convinzione da parte delle amministrazioni che si sono succedute nel corso degli anni che agevolare l’apertura di posti dove un certo tipo di musica potesse essere protagonista (e perché no, anche insonorizzarli e installare i doppi vetri al vicinato, come si fa in Spagna) e lasciarli lavorare avrebbe aumentato il bivacco, il consumo di droghe, che avrebbe messo in pericolo le nuove generazioni o infastidito qualcuno per la musica troppo alta. Risultato? La droga di pari passo con la noia circola che è un piacere anche nei pub della Lecce da bere, le nuove generazioni coltivano la subcultura del nulla, l’Università conta sempre meno iscritti per via degli alti costi, ma diciamoci la verità, anche perché la città non offre molto, le migliori teste in circolazione vivono una situazione di isolamento, di sconforto, tirano a campare o contemplano altri posti dove potersi trasferire. Ed è un peccato perché Lecce e provincia è piena di addetti ai lavori, gestori di locali, musicisti, dj che sono preparati e che hanno iniziativa, mi basta scorrere la mia rubrica telefonica per sapere che è così. Quando sento parlare di “Movida” a proposito dell’ambiente notturno leccese, avendo vissuto nel cuore della medesima (il termine “Movida” nasce in Spagna, a Madrid: un manipoli di artisti, musicisti, locali e addetti ai lavori grazie ai quali Madrid diventò uno dei posti più “in” d’Europa e del mondo) e sapendo che è strettamente legata a un certo tipo di espressioni artistiche, non posso non sorridere. Ma è un sorriso amaro, “compare mio”.
10. Oggigiorno, la produzione, promozione e fruizione della musica sono cambiate moltissimo rispetto agli anni '80/'90, ma sembra che nella dimensione della White Zoo Records si stia tornando ad una funzione più autentica, dove si tende a fare le cose alla vecchia maniera. Diversi i vinili da te prodotti...
- Diciamo che dopo sei anni di attività senza saperlo mi sono ritrovato gioco-forza a seguire la tendenza. Un tempo le label underground e persone come me erano il ponte fra le band poco conosciute e la distribuzione major. Da tempo non è più così, quindi siamo tornati a fare quello che facevano le label “DIY” sul finire degli anni ’70 e nei primi anni ’80. Con un’unica differenza, che allora i dischi vendevano sul serio. Adesso sembrano essere diventati, spiace dirlo, anche per molti artisti mera merce promozionale per poter suonare dal vivo, che è la vera fonte di guadagno. Si è tornati agli anni ’60, quando si smerciavano i dischi, in particolare i 45 giri, e i live. Internet offre una serie di potenzialità infinite in quanto a comunicazione e promozione, ma se poi quello che produci ha perso senso e valore per molti sedicenti appassionati di musica è difficile andare avanti. Del resto non saprei proprio fare altro, quindi perché crucciarsene? Il mio obiettivo non è mai stato farmi i milioni con questa musica. Come per il punk, è una questione di attitudine. Non sono un partigiano del vinile, anche se è un supporto che amo particolarmente e avrei comunque prodotto dischi in vinile. Semplicemente è il tipo di supporto più richiesto per chi segue queste sonorità, ma l’esperienza mi insegna che questo tipo di band, se ci credono, possono arrivare dove vogliono. Il CD di “Racey Roller” è stato ristampato per ben tre volte con il marchio White Zoo, per dire.
11. Ti senti di appartenere a un determinato genere o scena?
- Non proprio, il mondo è la mia ostrica e la musica la mia gelateria. Per quanto tu possa amare il cioccolato forse è ora che provi anche il pistacchio. Ogni qualvolta ho cercato di mischiarmi in una scena in particolare mi sono ritrovato a subirne tic e brutture. Preferisco dedicarmi solo alla musica, se è valida non importa il genere, se fa cagare meno ancora. Il punk originale mi ha insegnato questo, capire la necessità del cambiamento, il bruco che diventa farfalla. Non sono proprio il tipo che può ascoltare per 10 anni consecutivi solo crust e hc. Preferisco ascoltare il meglio di una scena, prendere tutto il buono, assimilarlo e passare avanti per poi ritornarci quando si producono nuovamente cose decenti.
12. Come vedi l’attuale stato di salute della musica underground italiana?
- In Italia non sono mai mancate le buone band e una buona musica underground, dal punk alla techno, dal metal al progressive rock, dalla disco alla musica industriale o qualunque altra cosa possa venire in mente. Anche oggi ci sono tantissime band e produttori validi. Quello che manca è che la maggior parte di questa musica, laddove non abbia un link diretto con qualcosa che ricordi la nostra tradizione cantautorale, difficilmente vive un’esposizione mediatica rilevante, ma deve sfruttare altri canali. Questo è un limite per quanto qualcuno possa dire che non gliene frega niente.
13. Cosa c’è da aspettarsi nel futuro dalla White Zoo Records?
- Anzitutto il booking, è molto importante per me a questo punto riuscire a garantire a band e dischi una circolazione maggiore, come ti dicevo prima è l’unico modo. Per quanto riguarda le nuove uscite, nell’immediato futuro l’LP d’esordio degli Alieni, una band romana fuori di testa, che canta in italiano, ma conoscendomi saprai che non sono esattamente dei cantautori, ahemmm. Sono fenomenali, un incrocio fra gli Aerobitch, i Poison Idea, il primo punk, certe suggestioni dell’hard rock italiano degli anni ’70 (in scaletta hanno “Confessione” dei Biglietto Per l’Inferno, ma la loro versione non è esattamente prog, hehe), una romanità viscerale (quindi in linea con quanto offerto da altri dischi da me prodotti). Da poco è uscito un singolo, “Toy Boy”, per Rave Up Records. Fantastici. Ho appena stampato il 7” d’esordio dei Bistouries, “Time To Have Fun”, band leccese fra power pop, punk ‘77 e jangle guitar pop, e sono veramente soddisfatto del risultato, ci tenevo molto considerando poi che proveniamo dallo stesso ambiente e fra mille difficoltà è venuto fuori un singolo bomba, prodotto da Danilo Silvestri, che è anche il produttore musicale dei Giuda e del 70% delle mie produzioni discografiche, una persona straordinaria. Ne sentirete parlare, grandissima band. Appena uscito anche il 7” dei Dr Boogie, una band di Los Angeles che mi ha contattato qualche mese fa, sono una band glam rock eccezionale, il cantante ha la voce di un giovane Rod Stewart, epoca Faces. Non posso far a meno di citare le mie due altre etichette, una più dedita a suoni elettronici, post-punk e minimal synth, Killed By Disco Records, e l’altra nata da poco, Ave Phoenix Records, con la quale mi occuperò soprattutto di ristampe, imminente quella dell’EP degli Scent Merci, band post-punk degli anni ’80 da Treviso, roba immarcescibile. Poi c’è il mio servizio di mailorder, Disconutshot, che mi tiene abbastanza occupato.
14. Elenca dieci dischi che hanno segnato la tua infanzia (senza badare al genere musicale) e dieci dischi contemporanei di cui non puoi fare a meno.
- Oh Gesù, è la domanda più difficile di tutte. Venti sono pochi. Te ne offro una buona selezione, dall’infanzia alla contemporaneità.
Michael Jackson – Bad
George Michael - Faith
Lucio Dalla – Best of
Fleetwood Mac – Tango in the night
Paul McCartney – All the Best
Simple Minds – Street fighting years
AC/DC – Who Made Who
Iron Maiden – No Prayer for the Dying
Rage Against The Machine - s/t
Raw Power – Screams from the Gutter
God Machine – Scenes from the second storey
Morbid Angel – Blessed are the sick
Carcass - Necroticism
Type O Negative – Slow, Deep and Hard
NIN – The Downward Spiral
Current 93 – Of Ruin or Some Blazing Starre…
Death In June – Walls Of Sacrifice
Killing Joke – Killing Joke
Soft Cell – Non Stop Erotic Cabaret
Cure – Pornography
Suede – Suede
Dead Kennedys – Fresh Fruits for Rotting Vegetables
Nurse With Wound – Rock’n’roll station
Joy Division – Unknown Pleasures
Paralisis Permanente – Grabaciones Completas
Blue Nile – Hats
Raveonettes – Raven In The Grave
Drums – Portamento
R.E.M. - Monster
Taxi – Yu Tolk Tu Mach
Primal Scream – Exterminator
Depeche Mode – Violator
Guns’n’Roses – Appetite for Destruction
Smashing Pumpkins – Mellon Collie…
Soundgarden – Badmotorfinger
Viet Cong – st
Cybotron – Clear
Green Velvet – Whatever
Black Lips – Los Valientes del Mundo Nuevo
Felix Da Housecat – Devin Dazzle…
Wicked Lady – The Axeman Cometh
Front 242 – Front By Front
Venom – Welcome to Hell
Iggy Pop – The Idiot
David Bowie – Station to Station
Lou Reed – Transformer
Turbonegro – Apocalypse Dudes
Davila 666 – st
15. Cinque film fondamentali?
- Solo cinque? Difficilissimo. Diciamo: “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene, “Ritorno al Futuro” di Zemeckis, “Doom Generation” di Araki, “Violent Cop” di Takeshi Kitano... Ma dovrei aggiungerne altri 95.
16. Cosa puoi dirmi su tre colossi della musica internazionale scomparsi tra il 2015 e 2016: B.B. King, Ian Fraser Kilmister, David Bowie.
- B.B King è il nome che la mia generazione e innumerevoli altre associano al Blues in automatico. Forse non è il mio preferito (penso a Muddy Waters, ad esempio) ma uno dei miei preferiti, e di sicuro colui che ha portato questo genere alle masse il che non è necessariamente negativo, è lui the King of Blues, non solo per il suo stile chitarristico puro, incisivo, acuto e al contempo rotondo e inimitabile, attento ad estrapolare la massima espressione possibile su ogni singola nota (mi ricorda un po’ Miles Davis in questo senso), ma anche per essere stato un meraviglioso cantante. In pochi sottolineano, ancora oggi, questa sua dote.
Lemmy è stato cruciale. Senza questo signore niente punk, niente speed metal, niente hc, niente di niente. Ha vissuto la sua anfetaminica vita come voleva ed è proprio dei coraggiosi e la sua morte è stata simile alla sua vita, veloce, rapida e spero non troppo dolorosa. Non mi ha solo insegnato tanto sulla musica che amo ma ho apprezzato moltissimo la sua autobiografia, la sua convinzione di poter superare qualunque ostacolo della vita mi ha aperto il cuore, in questo senso il suo incrollabile ottimismo mi ha ricordato molto quello di mio padre, li invidio, io sono un’anima tormentata il più delle volte. Una figura paterna il buon Lemmy.
Che dire di zio David? Ho dato questo nome così speciale alla mia label... Uno dei più grandi artisti del ‘900 e oltre. La capacità camaleontica di calarsi e sentirsi a suo agio nei più svariati generi musicali è arcinota, ma il riuscire a trasformarli secondo la propria sensibilità e renderli qualcosa di nuovo e persino fruibile da parte delle masse, beh, è stupefacente...
17. Cosa vedi nel tuo futuro?
- I Bravata, band nella quale canto e suono la chitarra, insieme a Clara Romita (batteria), Annalisa Vetrugno (basso) e Francesco Cagnazzo (chitarra). Forse esordiremo quest’anno su White Zoo Records, notoria label leccese, non so se conosci... Ma dicono che Sergio è un tipo bizzarro...
18. Grazie per l'intervista.
- Grazie a te Christian e un abbraccio forte a tutti i lettori di Son Of Flies. Support underground webzines, bands & labels! Support the Son of Flies!
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