Senza svolte forzate rispetto al precedente “Say I Won't” (2023), il trio proveniente da Oxford (Mississippi) prosegue nel consolidamento della propria formula dell’indie rock incline alle varianti del garage più sfrenato. Un’inquietudine irreversibile incarnata in canzoni grumose e sfuggenti, libere da pastoie mentali e derivati tossici. In “Six” il programma continua sull’onda di una scrittura ben definita, trascinante nelle ribollenti declinazioni ed incalzante dal punto di vista strutturale. Se ci si avvicina al nuovo album partendo da un ascolto superficiale, appare chiaro che le coordinate dei BASS DRUM OF DEATH sono più o meno le stesse di sempre, ma dopo un attento approfondimento si può riscontrare una fertile varietà di altre contaminazioni. Si potrebbero tirare in ballo i Nirvana (quelli degli esordi), Sonic Youth, Jesus and Mary Chain, Black Rebel Motorcycle Club, così come i più giovani Fuzz, Frankie and the Witch Fingers, Cheap Time, Wine Lips. Il lavoro dei Bass Drum of Death è di integrare le loro influenze articolandole e cucendole con nervosa abilità alla cosiddetta forma canzone. “Six” mette in scena dieci tracce dal sapore vintage, che nella loro natura e nei frequenti cambi di tempo mantengono fermi e inamovibili i propri punti cardine, rendendo lo stile dei Nostri piacevole da ascoltare. In tutta questa frenesia, retaggio di una cultura street punk, se si scava attentamente sotto le liriche e le intenzioni, si troverà una sorta di romanticismo che, nonostante l’apparenza, ben si addice alla formazione americana. Un gruppo ben rodato che ha saputo costruirsi una bella identità disco dopo disco, arrivando oggi ad incidere uno dei migliori lavori della loro carriera. Per gli estimatori del genere, un ascolto a dir poco consigliato.
Songs:
Intro, Phantom Drip, Never Gonna Drink About You, Do Nothing, Pick 'Em Up And Put 'Em Down, Got A Feeling, Like A Knife, Zeroed Out, Living In My Head, Day Late Dollar Short, Night Ride.
L’attesa era quella che precede i dischi destinati a rimanere nella memoria di molti, quelli che, grazie alla loro qualità espressiva, riescono a lasciare un'impronta indelebile in un qualsiasi genere e nella rispettiva cultura di appartenenza. Ed è indubbio che, sulla base di un album come “The Past the Present and the Future”, il lavoro di RECOGNIZE ALI e TRAGEDY KHADAFI giustificasse le definizioni iperboliche sul loro conto. Grazie a tale collaborazione il suono del rap ha preso davvero il largo e questi tredici brani confermano una visione musicale dal forte impatto, una sorta di fusione definitiva tra le sfumature tipiche della vecchia scuola degli anni '90 e lo spirito suburbano dell’era moderna. La presenza dello storico Tragedy Khadafi (classe 1971), attivo nella scena americana sin dalla metà degli anni '80, svolge un ruolo cruciale nel determinare la qualità finale dell’intero full-length, con tutto rispetto per il suo compagno di viaggio, capace di spiccare per la sua rilevanza nello stesso ambito. E’ importante ricordare che, per capire a quale cultura fa riferimento un genere musicale, è necessario analizzare gli elementi che lo definiscono, come lo stile, la tradizione, i testi, nonché il contesto sociale e storico in cui continua a svilupparsi, senza dimenticare la provenienza geografica. Ecco spiegato il motivo per cui, in pieno 2025, l’arrivo di un disco ispirato come questo non passa inosservato. La prova di forza del ghanese Recognize Ali e del newyorkese Tragedy Khadafi, proveniente dai quartieri popolari di Queensbridge (New York), funziona sin dalle prime battute di “The Past the Present and the Future”, elevando all’ennesima potenza tutti i punti di forza che stanno alla base del loro approccio alla scrittura. I due rapper si posizionano sul lato oscuro della barricata, con una scrittura visionaria ed evocativa, cinematografica in alcuni passaggi, che evita la superficialità delle apparenze. Neri e cattivi, come si potrebbe dire. “Select Few”, “The Most Real” (feat. Vinnie Paz), “Loot Thirsty”, “Black Coke” (feat. Trife Diesel & DJ Tray), “Cold” (feat. Swab), "Diplomats", “Elevation” e “King Kong”, "Kuwait Regulate" (feat. Flash of NBS) promuovono un intelligente e consapevole compenetrazione del rap crepuscolare, indispensabile per veicolare certi messaggi legati alla vita di strada e alle odierne tragedie sociali. Non mancano momenti dal carattere arioso ("Everything", "Gone Tomorrow" feat. Ransom). Bellissima la conclusiva e autocelebrativa "Old & New Legends" (feat. Lukey Cage). Tutte le voci femminili utilizzate in alcuni brani hanno calore ed empatia, aiutando a creare una efficace inclusività. Un album di spessore che fa capire qual è il prezzo da pagare nelle zone meno abbienti delle grandi metropoli, perfetto in ogni sua parte, perciò scorrevole e senza la benché minima sbavatura o caduta di tono. Ascoltare “The Past the Present and the Future” è un'ottima occasione per rivendicare il valore di due artisti di caratura internazionale. Se non lo avete ancora capito, uno dei migliori album rap dell’anno in corso.
Songs:
Will Be Free (Prod By El Maryacho), Select Few (Prod By K Sluggah), The Most Real Feat Vinnie Paz (Prod By Hobgoblin), Loot Thirsty (Prod By Twelvebit), Black Coke Feat Trife Diesel (Prod By K Sluggah) Cuts By DJ Tray, Everything (Prod By Hobgoblin), Cold (Prod By Hobgolblin) Cuts By Swab, Gone Tomorrow Feat Ransom (Prod By Vago), Diplomats (Prod By K Sluggah), Elevation (Prod By Hobgoblin), King Kong (Prod By Hobgoblin), Kuwait Regulate Feat Flash Of NBS (Prod By Twelvebit), Old And New Legends Feat Lukey Cage (Prod By Dredi Beats)
VINNIE PAZ pseudonimo di Vincenzo Luvineri, nato ad Agrigento nel 1977, dove ha vissuto con la famiglia per un breve periodo prima di trasferirsi a Philadelphia, è noto per essere uno dei rapper più riconosciuti nella scena musicale americana, e questo fin dai primi anni 2000. Vinnie ha consolidato una carriera di tutto rispetto, collaborando con artisti rinomati nel circuito della musica Rap, sia per i suoi lavori da solista che per i progetti paralleli che lo vedono coinvolto: Army of the Pharaohs, Jedi Mind Tricks, Heavy Metal Kings. Grazie al suo cammino professionale e alla sua musica è riuscito a raggiungere una posizione di grande notorietà, riconoscimento e ammirazione, diventando un punto di riferimento per un numero elevato di persone o anche per un'intera generazione. Ovviamente, tale stato non è riconducibile ad un successo commerciale fine a sé stesso, ma ad una forma di venerazione e rispetto nei confronti della sua inesauribile creatività e attitudine sincera, figlie di una mentalità hardcore underground. Spesso le sue opere sono considerate imprescindibili, oggetto di studio sia da parte degli appassionati che della critica specializzata. L’Artista italo-americano trascende i limiti del mondo musicale, entrando nella vita di moltissime persone, e questo deve essere qualcosa su cui riflettere. Il risultato di tanti anni di attività si annida nel nuovo album “God Sent Vengeance”, un misto di violenza verbale/sonora, esperienza e innovazione, come da sua tradizione. Vinnie non è quel tipo di MC che si volta per vedere ciò che è stato fatto in passato, magari riprendendolo, oppure manipolandolo. Perché la conoscenza delle proprie esperienze passate è fondamentale per agire adeguatamente nel presente. I suoi testi con riferimenti alla religione, alla guerra, alla politica, alle teorie del complotto e al paranormale possiedono un’energia capace di trasmettere vitalità, passione, e un forte impatto emotivo; elementi cardine che lo rendono qualcosa di unico nel suo genere, qualcosa di non comune alle regole del music business, soprattutto in un circuito dove “il passo in avanti” di ogni artista funge spesso da “cifra” da monitorare sul conto in banca. Vinnie Paz è un vero talento, un fenomeno da studio e da palco, un uomo che vive la musica per dare rilievo alla sua versatilità, alla sua profondità artistica, alla maestria nel flow. La sua è una visione precisa (non strategica), e questa si trasforma in un valore aggiunto che si spinge al di là del dio denaro. Ogni singolo beat di ogni singola traccia si differenzia dal già sentito, perciò diventa una variante del déjà vu, ma anche un ingrediente fondamentale che valorizza le sue inarrestabili metriche vocali. Nei solchi di “God Sent Vengeance” il bello vive nella tragedia, ed è proprio nel cuore della sofferenza, del conflitto e della catarsi che si possono esplorare le dimensioni più profonde dell'esperienza umana. Il Rap, quello vero e viscerale, è anche questo. Il testo e il video della canzone “Perfect Enemy” ne è l'esempio: sono chiari i riferimenti a ciò che sta succedendo in Medio Oriente. Tra gli ospiti figurano Young Buck (ex G-Unit), Army of the Pharaohs, Cappadonna (affiliato al collettivo Wu-Tang Clan), Ill Bill, Onyx, Recognize Ali, Sick Jacken, Lord Goat (conosciuto in passato come Goretex e Gore Elohim) e altri ancora. Mentre tra i produttori spiccano i nomi di C-Lance, Hobgoblin, Evidence, Stu Bangas, Peter Punch, senza nulla togliere a tutti gli altri presenti nel disco. Insomma, Vinnie Paz chiude la God Trilogy con “God Sent Vengeance”, confermandosi ancora una volta come una figura socialmente consapevole, necessaria, rispettata e degna di ammirazione artistica. La coerenza non è un atto dovuto, ma voluto.
Songs:
Abudadein (Intro), Shepherd’s Rod, Two Knights Forced, Bulldozer [Feat. Young Buck], Head Of David, Acid Teeth [Feat. Lord Goat and Ill Bill], Timetravel_0, Megaton Swords [Feat. Cappadonna], Rafiki Books, Perfect Enemy, Battle Scars (Pharaoh Overlords) [Feat. Army Of The Pharaohs], Chico’s Bail Bonds, All Guns Full Ammo [Feat. Onyx], Sacrificio (De Muerte) [Feat. Sick Jacken], Heavy Chains, Wings Of Azrael [Feat. Napoleon Da Legend], Mao’s War On Sparrows, Noise Drug [Feat. Boob Bronx and Recognize Ali]
Generalmente associati alla scena estrema che fonde crust e death metal, i VIBRATACORE possono contare e vantare un retroterra ben più ampio ed eterogeneo, e questo non può che giovare alla varietà della loro proposta. Il monicker stesso della formazione abruzzese assume un significato particolare nel contesto della musica proposta; come riportato nella biografia, il gruppo prende il nome da un gioco di parole costituite dal luogo di provenienza Val Vibrata/Teramo e "core" che nel dialetto teramano significa "cuore", quindi, si legge come è scritto in italiano. Nel nuovo album “Nova” la matrice hardcore, comunque presente alla base del sound, trascende i canoni più stereotipati del genere e si intreccia con elementi provenienti dal post core, dal grind e dal death metal, soprattutto di derivazione scandinava. I Nostri raccolgono e amalgamano soluzioni tra le più disparate: riff davvero sferzanti, sezione ritmica dinamica e avvolgente, accelerazioni travolgenti, rallentamenti ammorbanti, e quant’altro possa aver influenzato il background del terzetto. La voce del chitarrista e cantante Fango è un uragano in piena, e grazie alla sua timbrica assassina, riesce ad infondere ad ogni traccia una profonda malignità. Gli spunti d’interesse di “Nova” vanno colti minuto dopo minuto, brano dopo brano. La loro visione è distorta, corrotta e altamente attrattiva. I Vibratacore non hanno fatto altro che mettere insieme i migliori arrangiamenti sfruttando a regola d’arte la propria inventiva all’interno del processo creativo. Vi sembra poco? La band fa sul serio anche questa volta, svolgendo un lavoro eccellente: una macchina da guerra infallibile. Per comprendere la portata delle mie parole dovreste ascoltare attentamente l’intero album. La recensione è dedicata col cuore al batterista Sandro. La vita è un bene prezioso da custodire, preservare e difendere.
Di seguito un comunicato della band + un documento legato ad una Campagna Crowdfunding:
Nova, pubblicato nel 2025, è l’ultimo album dei Vibratacore ed è dedicato a Sandro NOVA Novelli il batterista del gruppo rimasto paralizzato a seguito di un incidente nell’estate del 2023. Il lavoro, registrato con l’aiuto di Stefano Rutolini (Stormo) alla batteria, raccoglie composizioni arrangiate insieme a Sandro fino all’epoca dell’incidente e definisce il sound a cui la band è giunta attraverso la propria evoluzione stilistica. All’interno dell’album ci sono anche due bonus tracks registrate proprio da Sandro prima del tragico evento. Al disco è legata una campagna crowdfunding volta a contribuire alle spese mediche e logistiche che Sandro deve e dovrà sostenere quotidianamente. Campagna Crowdfunding: https://gofund.me/7df2d453
Il demo dei tedeschi GUM è un ascolto consigliato per chiunque voglia addentrarsi nel suono sgarbato dell’hardcore punk, quello che puzza di cantine degradate e ammuffite. Questo è il suono della ribellione, sempre energico, agitato, turbolento. Una dichiarazione d'intenti ferocemente arrogante. "Gum" è un calcio in culo sferrato al conformismo, alla pulizia sonora, ai buoni sentimenti. Tutta la rabbia, la frustrazione e la paranoia presenti nella testa di questi ragazzi sono rabbiosamente concentrate in sei brani al vetriolo. Musicisti spinti dal desiderio di preservare la loro libertà espressiva, qualcosa su cui non si può scendere a compromessi. Questo è un altro buon esempio dell'enorme impatto e influenza che i padri dell'HC hanno avuto nel corso del tempo, e il demo in questione dimostra che la vecchia scuola continua a far presa anche sulle nuove generazioni. Qui non c’è nulla di trascendentale, sia ben chiaro, ma non posso fare a meno di immergermi nell’atmosfera incredibilmente grezza e viscerale della loro musica. È come essere tornati negli anni '80. Tutto viene urlato in maniera "istintiva", e in questa urgenza c’è qualcosa di veramente unico ed efficace. La catramosa voce femminile rende tutto più intrigante e persuasivo. “Gum” non molla la presa nella sua intensità e diventa sempre più folle man mano che procede. Un bel ceffone in pieno volto a chi definisce questo genere una banalità. Chi vuol capire, capisca!
PERCHE' PARLARE ANCORA DEI DEATHSTER GENOVESI SADIST? LA RISPOSTA E' SEMPLICE, PERCHE' HANNO SCRITTO PAGINE INDELEBILI NELLA STORIA DEL METAL ITALIANO, PERCHE' LA LORO INCREDIBILE MUSICA HA SEMPRE SUSCITATO GRANDE ENTUSIASMO TRA I FAN DEL PROGRESSIVE DEATH METAL. PERCHE' SONO PASSATI PIU' DI TRENT'ANNI DAL LORO PRIMO 7" INTITOLATO "BLACK SCREAMS" (OBSCURE PLASMA), MA ANCHE E SOPRATTUTTO PERCHE' CI TROVIAMO DI FRONTE AD UNA DELLE FORMAZIONI PIU' LONGEVE E RISPETTATE A LIVELLO INTERNAZIONALE. IL TEMPO SCORRE INESORABILE, MA I SADIST SONO ANCORA QUI, PIU' FORTI CHE MAI. OGGI L'ATTENZIONE E' RIVOLTA AL NUOVO CAPITOLO DISCOGRAFICO "SOMETHING TO PIERCE". DI SEGUITO L'INTERVISTA CON I SEMPRE GENTILI E DISPONIBILI TOMMY TALAMANCA (CHITARRA, TASTIERE) E TREVOR NADIR (VOCE).
Parliamo del vostro ultimo lavoro intitolato “Something To Pierce”. Cosa ci potete dire della nascita di questo lavoro? Mi piacerebbe sapere quali sono le vostre personali impressioni in merito alla creazione del disco, analizzandole da due differenti angolazioni.
Trevor: Il nostro obiettivo era scrivere un album che fosse il giusto seguito di “Firescorched”. Nonostante anagraficamente sia io che Tommy abbiamo raggiunto un’età importante, la voglia di picchiare duro è ancora tanta. Così è stato, “Something to Pierce” è un album più violento rispetto ad altri del passato, la brutalità è presente, tuttavia il trademark Sadist non è stato violentato.
Tommy: Anche se siamo molto soddisfatti di “Firescorched”, con l’ultimo album siamo tornati a lavorare come una volta, e cioè con tutta la band in studio, cosa che, per motivi logistici e pratici, non ci era riuiscito di fare con l’album precedente. Questo ha sicuramente giovato alla compattezza del disco e all’integrità del suono, che è molto vicino a quello che la band ha dal vivo.
Lo possiamo considerare un concept album? E come si colloca “Something To Pierce” rispetto alle vostre precedenti uscite discografiche? Non deve essere stato facile creare qualcosa che risultasse legato al passato ma fosse allo stesso tempo nuovo e fresco.
Tommy:Non è un concept in senso stretto, come lo sono al contrario “Hyaena” o “Spellbound” per esempio, ma c’è comunque un doppio filo conduttore che lega i brani. A livello concettuale tutti i testi ruotano intorno al tema della morte, visto come atto conclusivo della vita, inflitta o causata in qualche modo da un altro essere umano. A livello sonoro, questo elemento è accentuato dai numerosi respiri e sussurri inseriti nei brani e utilizzati come veri e propri strumenti, a volte ritmici, a volte melodici. “Something To Pierce” in un certo senso è il naturale sviluppo di “Firescorched”, entrambi gli album riprendono tutti gli elementi caratteristici del sound Sadist degli anni '90 e li proiettano in una nuova prospettiva coerente con il presente.
Cosa puoi raccontare dei testi racchiusi nelle atmosfere delle diverse tracce? C'è un filo conduttore che lega tutte le tematiche trattate? Penso sia sempre stimolante dipingere il significato delle parole utilizzando l’energia della voce. Il tuo atteggiamento e approccio al lavoro è cambiato rispetto al passato?
Trevor: Si tratta di un album che segue a perfezione quelle che sono le sensazioni dettate dalla musica e viceversa. Le liriche sono incentrate su vari aspetti legati alla morte, all’ultimo respiro, alle possibilità di vivere e morire. “Something to Pierce” rispecchia appieno quello che è il nome della band. Ci sono tanti modi di dire addio alla vita terrestre. Rispetto al passato credo che il mio modo di scrivere non si cambia molto, trovo ispirazione dai boschi che mi circondano, non mi sono mai nascosto, il mondo rurale ha per me un’importanza vitale e questo lo è per ogni attimo della mia vita, Sadist compreso. Posso solo dire grazie ai posti in cui vivo.
Molto interessante la prova vocale di Gloria Rossi. La sua performance ha sicuramente ampliato le prospettive evocative del nuovo album. Sei d’accordo con il mio punto di vista? E ne approfitto del momento per chiederti di spendere qualche parola riguardo l’operato di Davide Piccolo al basso e Giorgio Piva alla batteria, due musicisti davvero straordinari.
Trevor: Gloria è una grande professionista, molto preparata e dalla naturale predisposizione per lo strumento voce. Ci siamo avvalsi del suo talento per arricchire il disco, aggiungendo sfumature al mio cantato che per ovvi motivi è molto diretto e brutale. Quanto a Davide e Giorgio, non potevamo chiedere di più. Si tratta di due grandi musicisti, talentuosi e professionalmente molto seri e disponibili. Al nuovo album hanno aggiunto molto del loro bagaglio. A volte la vita ti preserva cose davvero belle e loro sono una di queste. C’è differenza di età tra di noi, ma da subito c’è stata una grande intesa, grade feeling, che si percepisce sul palco e nell'album. Stiamo vivendo questa fase nel migliore dei modi, e vogliamo goderci questo momento fino in fondo.
La magia della musica risiede nella sua capacità di toccare le corde emotive più profonde dell'anima umana, superando barriere linguistiche e culturali. La musica permette di connettersi con se stessi e con gli altri, creando un senso di empatia e comprensione, a prescindere dal genere musicale. Secondo il vostro punto di vista, qual è la vera magia custodita nella musica dei Sadist? La mia domanda non è casuale, considerando il fatto che i Sadist hanno sempre dimostrato grande apertura verso contaminazioni sonore provenienti da altri generi, come per esempio la musica etnica/tribale.
Trevor:La bellezza della musica è questa. Quello che dici è legge! La musica non conosce barriere, rappresenta un processo aggregativo e non divisivo. Non ci si ferma di fronte a culture diverse, stili di vita o altro. Per questo motivo trovo interessante sperimentare anche attraverso generi diversi, nonostante, con i miei ascolti mi sia fermato al death metal di vecchia scuola. Sadist da sempre ha fatto della sperimentazione il suo marchio di fabbrica, lasciando immaginare attraverso la musica lo stato d’animo.
Tommy: Credo che nel tempo siamo riusciti a creare un alchimia interessate tra il suono ed i temi trattati nei testi delle canzoni: alle volte più espliciti, altre volte più intimisti e riflessivi, anche se sempre in una chiave “sadica”, l’atmosfera è davvero l’elemento centrale di tutto il nostro lavoro, e quando scriviamo un brano, è l’unica cosa che ci importa.
La vostra band è ancora oggi molto apprezzata nel circuito del progressive death metal internazionale, e penso che tale riconoscimento sia una grandissima soddisfazione dopo tanti anni di attività. Oggigiorno, cosa ti rende più felice come musicista? Soprattutto se pensi a quanto fatto dagli esordi fino ad oggi.
Tommy: Sono una persona estremamente pragmatica e, come probabilmente nota bene chi mi sta vicino, poco incline ai facili romanticismi ed all’auto incensazione di se o del proprio lavoro. Quando mi giro ad analizzare il passato, lo faccio sempre in termini analitici per capire dove poter migliorare nel mio lavoro ed in generale nel lavoro della band nel suo complesso. Lo so, sono una persona orribile. :)
Non posso non chiederti qualcosa riguardo a quella che ritengo la traccia più particolare del disco, “Nove Strade“. Non è la prima volta in cui si possono ascoltare delle influenze etniche all’interno del sound dei Sadist. Questo discorso si ricollega a quanto chiesto nella mia quinta domanda.
Tommy: La passione per la musica etnica, o più in generale per la world music, anche se è un termine un po’ fighetto, è nata più o meno all’epoca di “Tribe”, e da quel momento la vena etnica è sempre stata presente nelle composizioni della band. Fa parte del nostro DNA di gente di mare, il melting pot per noi genovesi è praticamente l’essenza della nostra vita.
Sono rimasto colpito dall’artwork di “Something To Pierce”, più “epico” rispetto alle copertine dei precedenti dischi.
Trevor: Dopo aver preso coscienza delle linee guida di quello che volevamo, abbiamo suggerito le nostre intenzioni a un grande professionista/disegnatore russo, Andreas Christanetoff. Si tratta di un artista davvero incredibile. Già dalla prima bozza ha saputo soddisfare le nostre esigenze. Il brutale mostro a due teste è l’emblema di una morte violenta, con i poveri mortali ad affrontarlo, guidando la battaglia fino all’ultimo respiro. Musica, liriche, grafica hanno un filo conduttore. Una cover epica, non saprei, una cosa è certa, le grafiche tra loro sono sempre state molto differenti e anche a questo giro non c’erano assolutamente vincoli da tenere in considerazione. Siamo molto soddisfatti, specie al pensiero che il tutto è partito da un disegno.
Quello che costruisci per i Sadist è sufficiente a soddisfare la tua voglia di esprimerti artisticamente nel contesto della musica estrema? A parte ciò, volevo sapere da dove nasce l’esigenza di omaggiare gli AC/DC con l’altro tuo progetto musicale. Coincidenza vuole che gli AC/DC rimangono una delle mie band preferite di sempre.
Trevor: Sadist è la mia vita, oltre a soddisfarmi musicalmente. Con Tommy lavoriamo insieme da oltre trent’anni, c’è grande feeling, ci capiamo al volo e soprattutto ognuno ha piena fiducia dell’altro. Vero, ci sono delle linee guida da seguire ma queste seguono perfettamente quello che siamo noi in quel momento. Non potrei mai pensare di fare altro e non sarei nemmeno in grado. Non credo nell’avere mille progetti, quello che voglio, lo faccio con Sadist! Quanto all’omaggio AC/DC, è una band che amo follemente. Sono cresciuto con la loro musica, portare sul palco quei brani è un onore. Gli AC/DC sono la libertà, un viaggio senza pensieri, su strade polverose. E’ uno sfogo che me lo vivo davvero molto bene, per questo motivo ho messo in piedi un progetto con vecchi amici di sempre.
Com’è nata la possibilità di poter fare un tour di supporto agli Obscura?
Tommy: Steffen, oltre che un amico, è anche un estimatore della band, nonché un professionista capace che è stato in grado di dar vita ad un progetto artistico e portarlo ai vertici del metal mondiale in relativamente pochi anni. Quando ci ha contattato e ci ha proposto il tour con la band, di cui noi a nostra volta siamo grandi estimatori, non ci abbiamo pensato un attimo, e abbiamo accettato con entusiasmo.
Guardando ai giorni nostri, penso sia ormai illusorio credere che sia possibile ricostruire le fondamenta per una pace generale e offrire una risposta efficace alle preoccupazioni di milioni di persone. La coscienza di essere impotenti davanti a certe politiche del terrore fa vivere in una condizione di perenne paura. Avete qualcosa da dire per tutto ciò che sta succedendo in Palestina, e non solo?
Trevor:Forse l’errore è pensare che la guerra non faccia parte del mondo. Da sempre nel corso della storia ci sono conflitti, spesso per non dire sempre per futili motivi. L’uomo non riesce a vivere in pace, triste a dirsi ma è così. Dobbiamo imparare noi a farci pace con questa cosa. Proprio così, impotenti, di fronte a questo scempio, tuttavia credo sia doveroso continuare a denunciare certi atteggiamenti, non farlo sarebbe imperdonabile, l’indifferenza ci fa cadere in un limbo davvero pericoloso e letale.
Tommy:Credo esista un problema di fondo in occidente, decenni di cinema hollywoodiano ci ha portato ad annullare qualsiasi forma di pensiero critico, la nostra capacità di analisi è ridotta ai minimi termini: bianco/nero, cowboy/indiani, buono/cattivo, e purtroppo questa regressione è arrivata anche ai vertici politici di praticamente tutti i paesi così detti “occidentali”! Questo non può far altro che generare continue crisi politiche, se non peggio, con chiunque non si allinei a questa forma di pensiero primitivo: peccato che noi siamo in minoranza, ed il resto del mondo, circa 7 miliardi di persone, oramai non nasconda più l’insofferenza, spesso comprensibile, nei nostri confronti. Di fronte a noi abbiamo 2 scenari: catastrofe nucleare da una parte, scendere a patti col fatto che l’epoca coloniale europea è definitivamente conclusa e trovare una coesistenza pacifica con chi non è più disposto a stare alle nostre regole!
Grazie per l’intervista. Un grande abbraccio.
Trevor: Grazie a te Christian per questo spazio e per la tua dedizione, persone come te: passionali, competenti, contribuiscono e non poco a tenere viva la scena musicale. Un abbraccio a te e a tutti i lettori.
Tommy: Un saluto a te e a tutti i lettori, ed un invito a seguire la band dal vivo, è lì che Sadist esprime la sua vera essenza.
A volte sottovalutato e, spesso, considerato non all’altezza di altri sottogeneri del metal, lo sludge doom è invece un genere con delle sue precise peculiarità e che necessita di una particolare preparazione e attitudine per poter essere interpretato con credibilità. Gli americani STOMACH, nati nella grigia periferia di Chicago, rientrano in quella folta schiera di musicisti che hanno scelto un assalto sonoro schiacciante per veicolare i propri messaggi, sempre caustici e musicalmente opprimenti. Alimentati principalmente da una pesantezza apocalittica che deve molto ai Primitive Man, ma anche ai Godflesh, e da uno spossante e inscalfibile susseguirsi di droni e riverberi di chiara derivazione Sunn O))), i due musicisti americani coinvolti nel progetto, il batterista e cantante John Hoffman (Weekend Nachos, Ledge) e il chitarrista Adam Tomlinson (Sick/Tired, Sea Of Shit), entrambi presenti nella primissima formazione dei Weekend Nachos, creano un ibrido piuttosto ricorrente fra le formazioni dedite a queste sonorità, dando libero sfogo ad una rabbia incontrollata capace di dipingere scenari di puro strazio e tribolazione. Gli Stomach non raggiungono i livelli dei capilsaldi del genere, ma riescono ugualmente a comporre dei brani coinvolgenti e capaci di mettere a dura prova il nostro stato di tensione interno, in misura nettamente maggiore rispetto a quanto fatto da altri gruppi attivi nel medesimo circuito underground. Quello che non ti aspetti arriva nei primi trenta secondi del pezzo intitolato “Oscillate”: una scarica di ritmiche strazianti e serrate, nella migliore tradizione del grindcore e hardcore d'annata. Si capisce perfettamente che “Low Demon” è il risultato di intense sessioni di improvvisazione musicale particolarmente estese e prolungate nel tempo, e non potrebbe essere altrimenti considerando l’ampiezza dell’opera in questione. Questo secondo album in studio, pubblicato a due anni di distanza dal precedente “Parasite”, annichilisce per impeto esecutivo; le cinque composizioni si susseguono turbinosamente senza pause o attimi di tregua. A spiccare è la ferrea volontà di far emergere la giusta dose di maestria, crudeltà e spietatezza, qualità, queste, essenziali per rimanere a galla in un settore sempre più saturo. Naturalmente non sarà un'impresa facile. L'ascolto è più che consigliato.