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venerdì 12 settembre 2025

BASS DRUM OF DEATH "Six" - Cobraside Records




Senza svolte forzate rispetto al precedente “Say I Won't” (2023), il trio proveniente da Oxford (Mississippi) prosegue nel consolidamento della propria formula dell’indie rock incline alle varianti del garage più sfrenato. Un’inquietudine irreversibile incarnata in canzoni grumose e sfuggenti, libere da pastoie mentali e derivati tossici. In “Six” il programma continua sull’onda di una scrittura ben definita, trascinante nelle ribollenti declinazioni ed incalzante dal punto di vista strutturale. Se ci si avvicina al nuovo album partendo da un ascolto superficiale, appare chiaro che le coordinate dei BASS DRUM OF DEATH sono più o meno le stesse di sempre, ma dopo un attento approfondimento si può riscontrare una fertile varietà di altre contaminazioni. Si potrebbero tirare in ballo i Nirvana (quelli degli esordi), Sonic Youth, Jesus and Mary Chain, Black Rebel Motorcycle Club, così come i più giovani Fuzz, Frankie and the Witch Fingers, Cheap Time, Wine Lips. Il lavoro dei Bass Drum of Death è di integrare le loro influenze articolandole e cucendole con nervosa abilità alla cosiddetta forma canzone. “Six” mette in scena dieci tracce dal sapore vintage, che nella loro natura e nei frequenti cambi di tempo mantengono fermi e inamovibili i propri punti cardine, rendendo lo stile dei Nostri piacevole da ascoltare. In tutta questa frenesia, retaggio di una cultura street punk, se si scava attentamente sotto le liriche e le intenzioni, si troverà una sorta di romanticismo che, nonostante l’apparenza, ben si addice alla formazione americana. Un gruppo ben rodato che ha saputo costruirsi una bella identità disco dopo disco, arrivando oggi ad incidere uno dei migliori lavori della loro carriera. Per gli estimatori del genere, un ascolto a dir poco consigliato.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Intro, Phantom Drip, Never Gonna Drink About You, Do Nothing, Pick 'Em Up And Put 'Em Down, Got A Feeling, Like A Knife, Zeroed Out, Living In My Head, Day Late Dollar Short, Night Ride.





giovedì 11 settembre 2025

TRAGEDY KHADAFI & RECOGNIZE ALI "The Past The Present And The Future" - Greenfield Music




L’attesa era quella che precede i dischi destinati a rimanere nella memoria di molti, quelli che, grazie alla loro qualità espressiva, riescono a lasciare un'impronta indelebile in un qualsiasi genere e nella rispettiva cultura di appartenenza. Ed è indubbio che, sulla base di un album come “The Past the Present and the Future”, il lavoro di RECOGNIZE ALI e TRAGEDY KHADAFI giustificasse le definizioni iperboliche sul loro conto. Grazie a tale collaborazione il suono del rap ha preso davvero il largo e questi tredici brani confermano una visione musicale dal forte impatto, una sorta di fusione definitiva tra le sfumature tipiche della vecchia scuola degli anni '90 e lo spirito suburbano dell’era moderna. La presenza dello storico Tragedy Khadafi (classe 1971), attivo nella scena americana sin dalla metà degli anni '80, svolge un ruolo cruciale nel determinare la qualità finale dell’intero full-length, con tutto rispetto per il suo compagno di viaggio, capace di spiccare per la sua rilevanza nello stesso ambito. E’ importante ricordare che, per capire a quale cultura fa riferimento un genere musicale, è necessario analizzare gli elementi che lo definiscono, come lo stile, la tradizione, i testi, nonché il contesto sociale e storico in cui continua a svilupparsi, senza dimenticare la provenienza geografica. Ecco spiegato il motivo per cui, in pieno 2025, l’arrivo di un disco ispirato come questo non passa inosservato. La prova di forza del ghanese Recognize Ali e del newyorkese Tragedy Khadafi, proveniente dai quartieri popolari di Queensbridge (New York), funziona sin dalle prime battute di “The Past the Present and the Future”, elevando all’ennesima potenza tutti i punti di forza che stanno alla base del loro approccio alla scrittura. I due rapper si posizionano sul lato oscuro della barricata, con una scrittura visionaria ed evocativa, cinematografica in alcuni passaggi, che evita la superficialità delle apparenze. Neri e cattivi, come si potrebbe dire. “Select Few”, “The Most Real” (feat. Vinnie Paz), “Loot Thirsty”, “Black Coke” (feat. Trife Diesel & DJ Tray), “Cold” (feat. Swab), "Diplomats", “Elevation” e “King Kong”, "Kuwait Regulate" (feat. Flash of NBS) promuovono un intelligente e consapevole compenetrazione del rap crepuscolare, indispensabile per veicolare certi messaggi legati alla vita di strada e alle odierne tragedie sociali. Non mancano momenti dal carattere arioso ("Everything", "Gone Tomorrow" feat. Ransom). Bellissima la conclusiva e autocelebrativa "Old & New Legends" (feat. Lukey Cage). Tutte le voci femminili utilizzate in alcuni brani hanno calore ed empatia, aiutando a creare una efficace inclusività. Un album di spessore che fa capire qual è il prezzo da pagare nelle zone meno abbienti delle grandi metropoli, perfetto in ogni sua parte, perciò scorrevole e senza la benché minima sbavatura o caduta di tono. Ascoltare “The Past the Present and the Future” è un'ottima occasione per rivendicare il valore di due artisti di caratura internazionale. Se non lo avete ancora capito, uno dei migliori album rap dell’anno in corso.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Will Be Free (Prod By El Maryacho), Select Few (Prod By K Sluggah), The Most Real Feat Vinnie Paz (Prod By Hobgoblin), Loot Thirsty (Prod By Twelvebit), Black Coke Feat Trife Diesel (Prod By K Sluggah) Cuts By DJ Tray, Everything (Prod By Hobgoblin), Cold (Prod By Hobgolblin) Cuts By Swab, Gone Tomorrow Feat Ransom (Prod By Vago), Diplomats (Prod By K Sluggah), Elevation (Prod By Hobgoblin), King Kong (Prod By Hobgoblin), Kuwait Regulate Feat Flash Of NBS (Prod By Twelvebit), Old And New Legends Feat Lukey Cage (Prod By Dredi Beats)





martedì 9 settembre 2025

VINNIE PAZ “God Sent Vengeance” - Iron Tusk Music, LLC




VINNIE PAZ pseudonimo di Vincenzo Luvineri, nato ad Agrigento nel 1977, dove ha vissuto con la famiglia per un breve periodo prima di trasferirsi a Philadelphia, è noto per essere uno dei rapper più riconosciuti nella scena musicale americana, e questo fin dai primi anni 2000. Vinnie ha consolidato una carriera di tutto rispetto, collaborando con artisti rinomati nel circuito della musica Rap, sia per i suoi lavori da solista che per i progetti paralleli che lo vedono coinvolto: Army of the Pharaohs, Jedi Mind Tricks, Heavy Metal Kings. Grazie al suo cammino professionale e alla sua musica è riuscito a raggiungere una posizione di grande notorietà, riconoscimento e ammirazione, diventando un punto di riferimento per un numero elevato di persone o anche per un'intera generazione. Ovviamente, tale stato non è riconducibile ad un successo commerciale fine a sé stesso, ma ad una forma di venerazione e rispetto nei confronti della sua inesauribile creatività e attitudine sincera, figlie di una mentalità hardcore underground. Spesso le sue opere sono considerate imprescindibili, oggetto di studio sia da parte degli appassionati che della critica specializzata. L’Artista italo-americano trascende i limiti del mondo musicale, entrando nella vita di moltissime persone, e questo deve essere qualcosa su cui riflettere. Il risultato di tanti anni di attività si annida nel nuovo album “God Sent Vengeance”, un misto di violenza verbale/sonora, esperienza e innovazione, come da sua tradizione. Vinnie non è quel tipo di MC che si volta per vedere ciò che è stato fatto in passato, magari riprendendolo, oppure manipolandolo. Perché la conoscenza delle proprie esperienze passate è fondamentale per agire adeguatamente nel presente. I suoi testi con riferimenti alla religione, alla guerra, alla politica, alle teorie del complotto e al paranormale possiedono un’energia capace di trasmettere vitalità, passione, e un forte impatto emotivo; elementi cardine che lo rendono qualcosa di unico nel suo genere, qualcosa di non comune alle regole del music business, soprattutto in un circuito dove “il passo in avanti” di ogni artista funge spesso da “cifra” da monitorare sul conto in banca. Vinnie Paz è un vero talento, un fenomeno da studio e da palco, un uomo che vive la musica per dare rilievo alla sua versatilità, alla sua profondità artistica, alla maestria nel flow. La sua è una visione precisa (non strategica), e questa si trasforma in un valore aggiunto che si spinge al di là del dio denaro. Ogni singolo beat di ogni singola traccia si differenzia dal già sentito, perciò diventa una variante del déjà vu, ma anche un ingrediente fondamentale che valorizza le sue inarrestabili metriche vocali. Nei solchi di “God Sent Vengeance” il bello vive nella tragedia, ed è proprio nel cuore della sofferenza, del conflitto e della catarsi che si possono esplorare le dimensioni più profonde dell'esperienza umana. Il Rap, quello vero e viscerale, è anche questo. Il testo e il video della canzone “Perfect Enemy” ne è l'esempio: sono chiari i riferimenti a ciò che sta succedendo in Medio Oriente. Tra gli ospiti figurano Young Buck (ex G-Unit), Army of the Pharaohs, Cappadonna (affiliato al collettivo Wu-Tang Clan), Ill Bill, Onyx, Recognize Ali, Sick Jacken, Lord Goat (conosciuto in passato come Goretex e Gore Elohim) e altri ancora. Mentre tra i produttori spiccano i nomi di C-Lance, Hobgoblin, Evidence, Stu Bangas, Peter Punch, senza nulla togliere a tutti gli altri presenti nel disco. Insomma, Vinnie Paz chiude la God Trilogy con “God Sent Vengeance”, confermandosi ancora una volta come una figura socialmente consapevole, necessaria, rispettata e degna di ammirazione artistica. La coerenza non è un atto dovuto, ma voluto.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Abudadein (Intro), Shepherd’s Rod, Two Knights Forced, Bulldozer [Feat. Young Buck], Head Of David, Acid Teeth [Feat. Lord Goat and Ill Bill], Timetravel_0, Megaton Swords [Feat. Cappadonna], Rafiki Books, Perfect Enemy, Battle Scars (Pharaoh Overlords) [Feat. Army Of The Pharaohs], Chico’s Bail Bonds, All Guns Full Ammo [Feat. Onyx], Sacrificio (De Muerte) [Feat. Sick Jacken], Heavy Chains, Wings Of Azrael [Feat. Napoleon Da Legend], Mao’s War On Sparrows, Noise Drug [Feat. Boob Bronx and Recognize Ali]





sabato 6 settembre 2025

VIBRATACORE "Nova" - Mondo Chaos / Malammòre DIY / Rabid Dog Records / Rumori in Cantina Records / THC DIY Prod / Wrong Disk Records




Generalmente associati alla scena estrema che fonde crust e death metal, i VIBRATACORE possono contare e vantare un retroterra ben più ampio ed eterogeneo, e questo non può che giovare alla varietà della loro proposta. Il monicker stesso della formazione abruzzese assume un significato particolare nel contesto della musica proposta; come riportato nella biografia, il gruppo prende il nome da un gioco di parole costituite dal luogo di provenienza Val Vibrata/Teramo e "core" che nel dialetto teramano significa "cuore", quindi, si legge come è scritto in italiano. Nel nuovo album “Nova” la matrice hardcore, comunque presente alla base del sound, trascende i canoni più stereotipati del genere e si intreccia con elementi provenienti dal post core, dal grind e dal death metal, soprattutto di derivazione scandinava. I Nostri raccolgono e amalgamano soluzioni tra le più disparate: riff davvero sferzanti, sezione ritmica dinamica e avvolgente, accelerazioni travolgenti, rallentamenti ammorbanti, e quant’altro possa aver influenzato il background del terzetto. La voce del chitarrista e cantante Fango è un uragano in piena, e grazie alla sua timbrica assassina, riesce ad infondere ad ogni traccia una profonda malignità. Gli spunti d’interesse di “Nova” vanno colti minuto dopo minuto, brano dopo brano. La loro visione è distorta, corrotta e altamente attrattiva. I Vibratacore non hanno fatto altro che mettere insieme i migliori arrangiamenti sfruttando a regola d’arte la propria inventiva all’interno del processo creativo. Vi sembra poco? La band fa sul serio anche questa volta, svolgendo un lavoro eccellente: una macchina da guerra infallibile. Per comprendere la portata delle mie parole dovreste ascoltare attentamente l’intero album. La recensione è dedicata col cuore al batterista Sandro. La vita è un bene prezioso da custodire, preservare e difendere.

Di seguito un comunicato della band + un documento legato ad una Campagna Crowdfunding:

Nova, pubblicato nel 2025, è l’ultimo album dei Vibratacore ed è dedicato a Sandro NOVA Novelli il batterista del gruppo rimasto paralizzato a seguito di un incidente nell’estate del 2023. Il lavoro, registrato con l’aiuto di Stefano Rutolini (Stormo) alla batteria, raccoglie composizioni arrangiate insieme a Sandro fino all’epoca dell’incidente e definisce il sound a cui la band è giunta attraverso la propria evoluzione stilistica. All’interno dell’album ci sono anche due bonus tracks registrate proprio da Sandro prima del tragico evento. Al disco è legata una campagna crowdfunding volta a contribuire alle spese mediche e logistiche che Sandro deve e dovrà sostenere quotidianamente. Campagna Crowdfunding: https://gofund.me/7df2d453




Pagine Ufficiali: 

Songs:
Intro, Korrosive, Wretched, Martyr, End of Life, What Is Mine, Hate, No God, Martyr (Bonus Track), What Is Mine (Bonus Track)

venerdì 5 settembre 2025

GUM "Demo 2025" - Flennen Records




Il demo dei tedeschi GUM è un ascolto consigliato per chiunque voglia addentrarsi nel suono sgarbato dell’hardcore punk, quello che puzza di cantine degradate e ammuffite. Questo è il suono della ribellione, sempre energico, agitato, turbolento. Una dichiarazione d'intenti ferocemente arrogante. "Gum" è un calcio in culo sferrato al conformismo, alla pulizia sonora, ai buoni sentimenti. Tutta la rabbia, la frustrazione e la paranoia presenti nella testa di questi ragazzi sono rabbiosamente concentrate in sei brani al vetriolo. Musicisti spinti dal desiderio di preservare la loro libertà espressiva, qualcosa su cui non si può scendere a compromessi. Questo è un altro buon esempio dell'enorme impatto e influenza che i padri dell'HC hanno avuto nel corso del tempo, e il demo in questione dimostra che la vecchia scuola continua a far presa anche sulle nuove generazioni. Qui non c’è nulla di trascendentale, sia ben chiaro, ma non posso fare a meno di immergermi nell’atmosfera incredibilmente grezza e viscerale della loro musica. È come essere tornati negli anni '80. Tutto viene urlato in maniera "istintiva", e in questa urgenza c’è qualcosa di veramente unico ed efficace. La catramosa voce femminile rende tutto più intrigante e persuasivo. “Gum” non molla la presa nella sua intensità e diventa sempre più folle man mano che procede. Un bel ceffone in pieno volto a chi definisce questo genere una banalità. Chi vuol capire, capisca!

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Blown, Fast, Spiral, Thread, Great Conjunction, Fight & Flight

mercoledì 3 settembre 2025

SADIST - "QUANDO LA MUSICA SFIDA IL TEMPO"






PERCHE' PARLARE ANCORA DEI DEATHSTER GENOVESI SADIST? LA RISPOSTA E' SEMPLICE, PERCHE' HANNO SCRITTO PAGINE INDELEBILI NELLA STORIA DEL METAL ITALIANO, PERCHE' LA LORO INCREDIBILE MUSICA HA SEMPRE SUSCITATO GRANDE ENTUSIASMO TRA I FAN DEL PROGRESSIVE DEATH METAL. PERCHE' SONO PASSATI PIU' DI TRENT'ANNI DAL LORO PRIMO 7" INTITOLATO "BLACK SCREAMS" (OBSCURE PLASMA), MA ANCHE E SOPRATTUTTO PERCHE' CI TROVIAMO DI FRONTE AD UNA DELLE FORMAZIONI PIU' LONGEVE E RISPETTATE A LIVELLO INTERNAZIONALE. IL TEMPO SCORRE INESORABILE, MA I SADIST SONO ANCORA QUI, PIU' FORTI CHE MAI. OGGI L'ATTENZIONE E' RIVOLTA AL NUOVO CAPITOLO DISCOGRAFICO "SOMETHING TO PIERCE". DI SEGUITO L'INTERVISTA CON I SEMPRE GENTILI E DISPONIBILI TOMMY TALAMANCA (CHITARRA, TASTIERE) E TREVOR NADIR (VOCE).

Parliamo del vostro ultimo lavoro intitolato “Something To Pierce”. Cosa ci potete dire della nascita di questo lavoro? Mi piacerebbe sapere quali sono le vostre personali impressioni in merito alla creazione del disco, analizzandole da due differenti angolazioni.

Trevor: Il nostro obiettivo era scrivere un album che fosse il giusto seguito di “Firescorched”. Nonostante anagraficamente sia io che Tommy abbiamo raggiunto un’età importante, la voglia di picchiare duro è ancora tanta. Così è stato, “Something to Pierce” è un album più violento rispetto ad altri del passato, la brutalità è presente, tuttavia il trademark Sadist non è stato violentato.

Tommy: Anche se siamo molto soddisfatti di “Firescorched”, con l’ultimo album siamo tornati a lavorare come una volta, e cioè con tutta la band in studio, cosa che, per motivi logistici e pratici, non ci era riuiscito di fare con l’album precedente. Questo ha sicuramente giovato alla compattezza del disco e all’integrità del suono, che è molto vicino a quello che la band ha dal vivo.

Lo possiamo considerare un concept album? E come si colloca “Something To Pierce” rispetto alle vostre precedenti uscite discografiche? Non deve essere stato facile creare qualcosa che risultasse legato al passato ma fosse allo stesso tempo nuovo e fresco.

Tommy: Non è un concept in senso stretto, come lo sono al contrario “Hyaena” o “Spellbound” per esempio, ma c’è comunque un doppio filo conduttore che lega i brani. A livello concettuale tutti i testi ruotano intorno al tema della morte, visto come atto conclusivo della vita, inflitta o causata in qualche modo da un altro essere umano. A livello sonoro, questo elemento è accentuato dai numerosi respiri e sussurri inseriti nei brani e utilizzati come veri e propri strumenti, a volte ritmici, a volte melodici. “Something To Pierce” in un certo senso è il naturale sviluppo di “Firescorched”, entrambi gli album riprendono tutti gli elementi caratteristici del sound Sadist degli anni '90 e li proiettano in una nuova prospettiva coerente con il presente.

Cosa puoi raccontare dei testi racchiusi nelle atmosfere delle diverse tracce? C'è un filo conduttore che lega tutte le tematiche trattate? Penso sia sempre stimolante dipingere il significato delle parole utilizzando l’energia della voce. Il tuo atteggiamento e approccio al lavoro è cambiato rispetto al passato?


Trevor: Si tratta di un album che segue a perfezione quelle che sono le sensazioni dettate dalla musica e viceversa. Le liriche sono incentrate su vari aspetti legati alla morte, all’ultimo respiro, alle possibilità di vivere e morire. “Something to Pierce” rispecchia appieno quello che è il nome della band. Ci sono tanti modi di dire addio alla vita terrestre. Rispetto al passato credo che il mio modo di scrivere non si cambia molto, trovo ispirazione dai boschi che mi circondano, non mi sono mai nascosto, il mondo rurale ha per me un’importanza vitale e questo lo è per ogni attimo della mia vita, Sadist compreso. Posso solo dire grazie ai posti in cui vivo.

Molto interessante la prova vocale di Gloria Rossi. La sua performance ha sicuramente ampliato le prospettive evocative del nuovo album. Sei d’accordo con il mio punto di vista? E ne approfitto del momento per chiederti di spendere qualche parola riguardo l’operato di Davide Piccolo al basso e Giorgio Piva alla batteria, due musicisti davvero straordinari.

Trevor: Gloria è una grande professionista, molto preparata e dalla naturale predisposizione per lo strumento voce. Ci siamo avvalsi del suo talento per arricchire il disco, aggiungendo sfumature al mio cantato che per ovvi motivi è molto diretto e brutale. Quanto a Davide e Giorgio, non potevamo chiedere di più. Si tratta di due grandi musicisti, talentuosi e professionalmente molto seri e disponibili. Al nuovo album hanno aggiunto molto del loro bagaglio. A volte la vita ti preserva cose davvero belle e loro sono una di queste. C’è differenza di età tra di noi, ma da subito c’è stata una grande intesa, grade feeling, che si percepisce sul palco e nell'album. Stiamo vivendo questa fase nel migliore dei modi, e vogliamo goderci questo momento fino in fondo.

La magia della musica risiede nella sua capacità di toccare le corde emotive più profonde dell'anima umana, superando barriere linguistiche e culturali. La musica permette di connettersi con se stessi e con gli altri, creando un senso di empatia e comprensione, a prescindere dal genere musicale. Secondo il vostro punto di vista, qual è la vera magia custodita nella musica dei Sadist? La mia domanda non è casuale, considerando il fatto che i Sadist hanno sempre dimostrato grande apertura verso contaminazioni sonore provenienti da altri generi, come per esempio la musica etnica/tribale.

Trevor: La bellezza della musica è questa. Quello che dici è legge! La musica non conosce barriere, rappresenta un processo aggregativo e non divisivo. Non ci si ferma di fronte a culture diverse, stili di vita o altro. Per questo motivo trovo interessante sperimentare anche attraverso generi diversi, nonostante, con i miei ascolti mi sia fermato al death metal di vecchia scuola. Sadist da sempre ha fatto della sperimentazione il suo marchio di fabbrica, lasciando immaginare attraverso la musica lo stato d’animo.

Tommy: Credo che nel tempo siamo riusciti a creare un alchimia interessate tra il suono ed i temi trattati nei testi delle canzoni: alle volte più espliciti, altre volte più intimisti e riflessivi, anche se sempre in una chiave “sadica”, l’atmosfera è davvero l’elemento centrale di tutto il nostro lavoro, e quando scriviamo un brano, è l’unica cosa che ci importa.

La vostra band è ancora oggi molto apprezzata nel circuito del progressive death metal internazionale, e penso che tale riconoscimento sia una grandissima soddisfazione dopo tanti anni di attività. Oggigiorno, cosa ti rende più felice come musicista? Soprattutto se pensi a quanto fatto dagli esordi fino ad oggi.

Tommy: Sono una persona estremamente pragmatica e, come probabilmente nota bene chi mi sta vicino, poco incline ai facili romanticismi ed all’auto incensazione di se o del proprio lavoro. Quando mi giro ad analizzare il passato, lo faccio sempre in termini analitici per capire dove poter migliorare nel mio lavoro ed in generale nel lavoro della band nel suo complesso. Lo so, sono una persona orribile. :)

Non posso non chiederti qualcosa riguardo a quella che ritengo la traccia più particolare del disco, “Nove Strade“. Non è la prima volta in cui si possono ascoltare delle influenze etniche all’interno del sound dei Sadist. Questo discorso si ricollega a quanto chiesto nella mia quinta domanda.

Tommy: La passione per la musica etnica, o più in generale per la world music, anche se è un termine un po’ fighetto, è nata più o meno all’epoca di “Tribe”, e da quel momento la vena etnica è sempre stata presente nelle composizioni della band. Fa parte del nostro DNA di gente di mare, il melting pot per noi genovesi è praticamente l’essenza della nostra vita.

Sono rimasto colpito dall’artwork di “Something To Pierce”, più “epico” rispetto alle copertine dei precedenti dischi.

Trevor: Dopo aver preso coscienza delle linee guida di quello che volevamo, abbiamo suggerito le nostre intenzioni a un grande professionista/disegnatore russo, Andreas Christanetoff. Si tratta di un artista davvero incredibile. Già dalla prima bozza ha saputo soddisfare le nostre esigenze. Il brutale mostro a due teste è l’emblema di una morte violenta, con i poveri mortali ad affrontarlo, guidando la battaglia fino all’ultimo respiro. Musica, liriche, grafica hanno un filo conduttore. Una cover epica, non saprei, una cosa è certa, le grafiche tra loro sono sempre state molto differenti e anche a questo giro non c’erano assolutamente vincoli da tenere in considerazione. Siamo molto soddisfatti, specie al pensiero che il tutto è partito da un disegno.

Quello che costruisci per i Sadist è sufficiente a soddisfare la tua voglia di esprimerti artisticamente nel contesto della musica estrema? A parte ciò, volevo sapere da dove nasce l’esigenza di omaggiare gli AC/DC con l’altro tuo progetto musicale. Coincidenza vuole che gli AC/DC rimangono una delle mie band preferite di sempre.

Trevor: Sadist è la mia vita, oltre a soddisfarmi musicalmente. Con Tommy lavoriamo insieme da oltre trent’anni, c’è grande feeling, ci capiamo al volo e soprattutto ognuno ha piena fiducia dell’altro. Vero, ci sono delle linee guida da seguire ma queste seguono perfettamente quello che siamo noi in quel momento. Non potrei mai pensare di fare altro e non sarei nemmeno in grado. Non credo nell’avere mille progetti, quello che voglio, lo faccio con Sadist! Quanto all’omaggio AC/DC, è una band che amo follemente. Sono cresciuto con la loro musica, portare sul palco quei brani è un onore. Gli AC/DC sono la libertà, un viaggio senza pensieri, su strade polverose. E’ uno sfogo che me lo vivo davvero molto bene, per questo motivo ho messo in piedi un progetto con vecchi amici di sempre.

Com’è nata la possibilità di poter fare un tour di supporto agli Obscura?

Tommy: Steffen, oltre che un amico, è anche un estimatore della band, nonché un professionista capace che è stato in grado di dar vita ad un progetto artistico e portarlo ai vertici del metal mondiale in relativamente pochi anni. Quando ci ha contattato e ci ha proposto il tour con la band, di cui noi a nostra volta siamo grandi estimatori, non ci abbiamo pensato un attimo, e abbiamo accettato con entusiasmo.

Guardando ai giorni nostri, penso sia ormai illusorio credere che sia possibile ricostruire le fondamenta per una pace generale e offrire una risposta efficace alle preoccupazioni di milioni di persone. La coscienza di essere impotenti davanti a certe politiche del terrore fa vivere in una condizione di perenne paura. Avete qualcosa da dire per tutto ciò che sta succedendo in Palestina, e non solo?

Trevor: Forse l’errore è pensare che la guerra non faccia parte del mondo. Da sempre nel corso della storia ci sono conflitti, spesso per non dire sempre per futili motivi. L’uomo non riesce a vivere in pace, triste a dirsi ma è così. Dobbiamo imparare noi a farci pace con questa cosa. Proprio così, impotenti, di fronte a questo scempio, tuttavia credo sia doveroso continuare a denunciare certi atteggiamenti, non farlo sarebbe imperdonabile, l’indifferenza ci fa cadere in un limbo davvero pericoloso e letale.

Tommy: Credo esista un problema di fondo in occidente, decenni di cinema hollywoodiano ci ha portato ad annullare qualsiasi forma di pensiero critico, la nostra capacità di analisi è ridotta ai minimi termini: bianco/nero, cowboy/indiani, buono/cattivo, e purtroppo questa regressione è arrivata anche ai vertici politici di praticamente tutti i paesi così detti “occidentali”! Questo non può far altro che generare continue crisi politiche, se non peggio, con chiunque non si allinei a questa forma di pensiero primitivo: peccato che noi siamo in minoranza, ed il resto del mondo, circa 7 miliardi di persone, oramai non nasconda più l’insofferenza, spesso comprensibile, nei nostri confronti. Di fronte a noi abbiamo 2 scenari: catastrofe nucleare da una parte, scendere a patti col fatto che l’epoca coloniale europea è definitivamente conclusa e trovare una coesistenza pacifica con chi non è più disposto a stare alle nostre regole!

Grazie per l’intervista. Un grande abbraccio.

Trevor: Grazie a te Christian per questo spazio e per la tua dedizione, persone come te: passionali, competenti, contribuiscono e non poco a tenere viva la scena musicale. Un abbraccio a te e a tutti i lettori.

Tommy: Un saluto a te e a tutti i lettori, ed un invito a seguire la band dal vivo, è lì che Sadist esprime la sua vera essenza.

Pagine Ufficiali: 

SADIST line-up:
Tommy Talamanca - Chitarra, Tastiere
Trevor Nadir - Voce
Davide Piccolo - Basso
Giorgio Piva - Batteria

Recensione: 




lunedì 1 settembre 2025

STOMACH "Low Demon" - Hibernation Release




A volte sottovalutato e, spesso, considerato non all’altezza di altri sottogeneri del metal, lo sludge doom è invece un genere con delle sue precise peculiarità e che necessita di una particolare preparazione e attitudine per poter essere interpretato con credibilità. Gli americani STOMACH, nati nella grigia periferia di Chicago, rientrano in quella folta schiera di musicisti che hanno scelto un assalto sonoro schiacciante per veicolare i propri messaggi, sempre caustici e musicalmente opprimenti. Alimentati principalmente da una pesantezza apocalittica che deve molto ai Primitive Man, ma anche ai Godflesh, e da uno spossante e inscalfibile susseguirsi di droni e riverberi di chiara derivazione Sunn O))), i due musicisti americani coinvolti nel progetto, il batterista e cantante John Hoffman (Weekend Nachos, Ledge) e il chitarrista Adam Tomlinson (Sick/Tired, Sea Of Shit), entrambi presenti nella primissima formazione dei Weekend Nachos, creano un ibrido piuttosto ricorrente fra le formazioni dedite a queste sonorità, dando libero sfogo ad una rabbia incontrollata capace di dipingere scenari di puro strazio e tribolazione. Gli Stomach non raggiungono i livelli dei capilsaldi del genere, ma riescono ugualmente a comporre dei brani coinvolgenti e capaci di mettere a dura prova il nostro stato di tensione interno, in misura nettamente maggiore rispetto a quanto fatto da altri gruppi attivi nel medesimo circuito underground. Quello che non ti aspetti arriva nei primi trenta secondi del pezzo intitolato “Oscillate”: una scarica di ritmiche strazianti e serrate, nella migliore tradizione del grindcore e hardcore d'annata. Si capisce perfettamente che “Low Demon” è il risultato di intense sessioni di improvvisazione musicale particolarmente estese e prolungate nel tempo, e non potrebbe essere altrimenti considerando l’ampiezza dell’opera in questione. Questo secondo album in studio, pubblicato a due anni di distanza dal precedente “Parasite”, annichilisce per impeto esecutivo; le cinque composizioni si susseguono turbinosamente senza pause o attimi di tregua. A spiccare è la ferrea volontà di far emergere la giusta dose di maestria, crudeltà e spietatezza, qualità, queste, essenziali per rimanere a galla in un settore sempre più saturo. Naturalmente non sarà un'impresa facile. L'ascolto è più che consigliato.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Dredged, Bastard Scum, Get Through Winter, Oscillate, Shivers // Drafts



giovedì 28 agosto 2025

THE VALLEY "Dead End” - Autoproduzione




Il grunge inteso nella sua accezione più classica ed universalmente conosciuta, ovvero quel genere tanto osannato negli anni ’90, è ormai diventato qualcosa di completamente diverso, oppure potremmo dire, più astratto e dilatato. Gli stessi creatori di quella corrente musicale hanno ormai oltrepassato le barriere del tempo, soffocandone il lato animalesco a favore di una sfaccettatura decisamente più accessibile e patinata. Sappiamo bene che l'evoluzione nel circuto del rock non ha una fine, ma è un processo dinamico e ininterrotto che in molti casi porta a trasformazioni repentine spesso inevitabili. Partendo da questo presupposto, gli abruzzesi THE VALLEY (attivi dal 2022) rappresentano un buon esempio di come si possa suonare interessanti pur utilizzando delle soluzioni già sentite, e quindi, racchiuse in alcuni schemi sonori riconducibili al passato, mantenendo un forte legame con quell’equilibrio in costante tensione tra incisività ed emotività. I Pearl Jam sono la prima band a cui ho pensato trovandomi di fronte al secondo EP ufficiale "Dead End”. Sì, proprio loro! Ho voluto citare i Pearl Jam perché a differenza di altre formazioni della loro generazione, sono quelli che, con il passare degli anni, hanno trovato una delle migliori formule per allargare e ribaltare gli orizzonti del rock/hard rock degli anni ‘70. Ascoltando il materiale dei The Valley, troverete delle similitudini con alcuni dei loro classici, ma queste potrebbero essere solo il frutto di coincidenze legate a certe atmosfere evocate da "Dead End”. Capire la propria direzione permette di mettersi alla prova, senza negare o ignorare il passato, però quel passato è necessario integrarlo adeguatamente per dare significato al proprio linguaggio. I The Valley in questo sono abbastanza bravi, dimostrando passione e mestiere. Bisognerebbe lavorare un po’ di più sulla timbrica vocale, la quale in alcuni punti dell’EP fatica a raggiungere la giusta estensione per risultare maggiormente suggestiva e penetrante. Diciotto minuti divisi su quattro brani (la prima traccia è una strumentale), tutti coerenti tra di loro se facciamo riferimento alla struttura, nel nome di un songwriting fluido e mai troppo pretenzioso. Le qualità per fare ancora meglio ci sono tutte, e spero vivamente che ciò possa accadere in futuro. "Dead End” è stato registrato, mixato e masterizzato da Ivan Mostacci presso i RedHouse Studios.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
7, Slaughterhouse, Plastic Bag, Black Monday



martedì 26 agosto 2025

PODRIDÃO - "LA VENDETTA DEI MORTI VIVENTI"






I BRASILIANI PODRIDÃO FANNO RITORNO SULLE SCENE CON "COFFIN OF THE CORRUPTED DEAD", UN DISCO CHE VEDE UNA BAND MATURA, AFFIATATA, CAPACE DI OFFRIRE UN SOUND OLD-SCHOOL DEATH METAL DI OTTIMA FATTURA, DOVE VENGONO MESCOLATI TUTTI GLI ELEMENTI NECESSARI PER COLPIRE NEL SEGNO. QUESTO E' UN GRUPPO DA TENERE FORTEMENTE IN CONSIDERAZIONE, ALIMENTATO DA UN'ENERGIA CONTAGIOSA CARICA DI CATTIVERIA PRIMORDIALE. IVI "ROTTEN FLESH" KARDEC, CHITARRISTA E FONDATORE DELLA FORMAZIONE PROVENIENTE DA ITAQUAQUECETUBA (SÃO PAULO), CI RACCONTA LA LORO STORIA E LA GENESI DEL QUARTO ALBUM IN STUDIO.

Ciao Ivi. Come va la vita dalle tue parti?

- Un saluto a tutti gli amici e lettori di Son of Flies Webzine. Prima di tutto, grazie per il tuo interesse nel nostro lavoro. Qui le cose stanno andando molto bene, un po' frenetiche, ma ce la stiamo cavando alla grande.

Siete tornati a casa dopo un tour durato all’incirca un mese: venti concerti in giro per il Brasile in compagnia dei Velho. Com'è stato condividere i palchi con loro?

- Sì, amico, tutto è andato bene. In realtà il nostro giro è durato più di un mese, ahahah. Abbiamo fatto un tour europeo che includeva nove concerti con i Trachoma, e un altro di venti live in Brasile con i Velho. Tutte le serate sono state fantastiche. Era la nostra prima volta in Europa, quindi per noi è stata una nuova esperienza. E’ stato emozionante suonare all'Obscene Extreme Fest in Repubblica Ceca. Con i Podridão avevamo già accumulato molta esperienza con diverse tournée in Brasile. Il nostro è un Paese grande quanto un continente, quindi è molto più difficile da visitare nella sua interezza, ma devo dire che tutto è andato come previsto ed è stato fantastico. Non possiamo che ringraziare ogni organizzatore, la gente e gli amici che hanno reso possibile tutto questo.

Parliamo un po' del nuovo album dei Podridão, intitolato "Coffin of the Corrupted Dead". Cosa puoi raccontare del processo di scrittura? È stato il frutto di un lavoro di squadra oppure alcuni di voi hanno avuto ruoli più importanti in questo disco?


- Da quando ho formato i Podridão, il nostro metodo di scrittura è stato un po' diverso da quello di altre band. Scrivo prima i riff, li registro, e successivamente li passo agli altri membri coinvolti nel gruppo. In realtà, con "Coffin of the Corrupted Dead" non è cambiato nulla rispetto a quanto fatto in passato, l'unica differenza è che il nuovo album è stato concepito velocemente. Siamo una band molto attiva e produttiva, sia in sala prove che dal vivo, e questo ci ha permesso di realizzarlo in poco tempo. Ho scritto più della metà dei brani pochi giorni prima di iniziare a registrare. Avevamo in programma di pubblicarlo prima del tour europeo, ma non è stato possibile per motivi di tempo, ciononostante siamo riusciti a farlo uscire in tempi brevi. In soli quattro mesi abbiamo registrato, mixato, masterizzato, scattato delle foto promozionali, creato il booklet e fatto due tour. Sì, abbiamo lavorato velocemente per far sì che tutto questo accadesse nelle tempistiche previste dal nostro programma. Quello dei Podridão è un lavoro di squadra, ma capita spesso che uno di noi fa un po' più degli altri. In fin dei conti, la squadra deve sempre lavorare in modo coeso.

Vi dimostrate dei musicisti molto esperti in quello che fate, e questo lo si capisce ascoltando la vostra musica. Nel corso degli anni, in che modo i Podridão vi hanno aiutato sul piano personalmente e professionale?

- I Podridão sono nati da un mio desiderio di voler suonare old-school death metal. Avevo messo da parte alcune idee e alcuni riff nel periodo in cui suonavo con la mia vecchia band, i Beyond the Grave; tutte quelle idee che non sono mai riuscito a concretizzare sono state messe in pratica per i Podridão. Dopo aver suonato per anni nei Beyond the Grave, ho deciso di iniziare quello che doveva essere un progetto come one-man band. Conoscevo già il batterista Rafael, che suonava in un'altra band thrash metal/crossover chiamata Febre do Rato. Avevamo già suonato in diversi festival e a volte condividevamo gli stessi interessi. Rafael ha suonato qualche concerto con i Beyond the Grave, sostituendo il nostro batterista quando non poteva esserci. Così, dopo aver composto tutto il materiale, gli ho chiesto di registrare la batteria per il mio progetto. Dopo un po' di tempo e un po' di promozione fatta per il nostro demo, il gruppo ha iniziato a ricevere inviti per suonare dal vivo, e da allora non ci siamo più fermati. Junior e Rafael sono fratelli. Inoltre, Junior aveva anche suonato nei Febre do Rato. Quando il primo cantante dei Podridão non ha potuto più esibirsi con noi, Junior lo ha sostituito definitivamente. Sergio Araujo è uscito dalla band nel 2019. Da allora è rimasta questa solida formazione.

Qual è stato il momento più intenso e quello più debole del vostro percorso musicale?

- Cavolo, abbiamo attraversato tanti momenti deboli, ahahah. Immagina una band o un artista in Brasile. Un paese del terzo mondo, totalmente diseguale, dove l'arte è considerata un gioco da barboni, dove abbiamo vissuto sotto una dittatura durata fino al 1985. Qui ci sono così tanti problemi da affrontare: l'attrezzatura è scarsa, costosa e i locali sono limitati. Fortunatamente, tutto questo sta lentamente cambiando, sta migliorando, ma dobbiamo ancora migliorare in tanti aspetti. Ciò per cui sono più grato in questi 26 anni vissuti nell’underground musicale è essere riuscito a stare sempre in tour e suonare in così tanti posti che non avrei mai immaginato. Essere lì, mostrare la nostra arte, la nostra musica, è inimmaginabile. Conoscere luoghi, persone, fare amicizia, vivere nuove esperienze... non ha prezzo. Sono grato all'underground per questo.

Come band dedita all’old-school death metal, credete di essere stati influenzati più dal thrash o dal death metal?

- Come ho detto prima, provengo da una band thrash metal. Ho suonato quel genere dal 2004, ma abbiamo sempre avuto un tocco di old-school death metal. Il death metal degli esordi era fortemente influenzato dal thrash metal di Slayer, Dark Angel, Kreator, Sodom… Quel mix di sonorità è stata la mia scuola, così come i classici dei primi anni '90 e della fine degli anni '80.

Come vedi l'evoluzione del death metal dalla metà degli anni '80 fino ad oggi?

- Il death metal è un sottogenere che, a suo modo, ha forse dato vita al maggior numero di altri sottogeneri all'interno dello stesso genere. Questa evoluzione è stata fantastica, tant'è vero che oggi si vedono molte band formate da musicisti con un'elevata padronanza del proprio strumento e una forte capacità interpretativa, con una tecnica assurda. Ci sono tanti musicisti davvero bravi. Ma noi siamo amanti del grottesco, del sound più scarno, siamo fan dell’old-school death metal, e lo saremo fino alla fine.

E i giovani musicisti del circuito estremo brasiliano? Vorresti consigliare qualche altra band che, di recente, ha catturato la tua attenzione? Puoi anche parlare della scena brasiliana, se ti fa piacere.

- Il Brasile è sempre stato un grande esportatore di band estreme; nel nostro Paese abbiamo avuto grandi gruppi fin dagli anni '80, e forse stiamo vivendo il momento migliore in questo periodo storico. Band come Open the Coffin, Velho, Sepulchraw Whore, Infamous Glory, Rot, Vazio, Evil Corpse… (ce ne sono così tante, ahahah). Tutti questi gruppi stanno facendo un ottimo lavoro. Oggi possiamo vantare ottimi produttori di concerti proprio perché stanno prendendo molto sul serio le produzioni degli eventi. Riusciamo a suonare in città che non hanno quasi mai ospitavano dei concerti metal. Stiamo vivendo un buon momento, e spero che continui a migliorare.

Ricordo quando i Sepultura fecero breccia nella scena metal tra la fine degli anni ‘80 e l'inizio degli anni ‘90, ispirando molte altre band underground. Pensi che i vecchi Sepultura abbiano avuto un impatto simile sulla tua carriera di musicista? Per farti un esempio, se parliamo di musica estrema, il mio album preferito in assoluto è ancora "Arise". Quel disco mi ha introdotto al genere thrash/death metal quando avevo solo 14 anni.

- I Sepultura sono presenti nella vita di ogni brasiliano che ascolta metal. Sono la band più importante del Brasile e credo che questa importanza non sarà mai tolta a quei musicisti. Mi piacciono solo i loro primi cinque album, ma so quanto siano importanti gli altri. Sono affascinato da "Morbid Visions"; sono profondamente ispirato da quell'album, ed è incredibilmente importante per tutti noi.

Grazie mille per questa intervista! Lascio a te le ultime parole per tutti i vecchi e nuovi fan italiani del death metal.

- Christian, grazie ancora a te per l'interesse dimostrato nei nostri confronti. Speriamo di poter suonare presto in Italia per la prima volta. Per chi non conoscesse il nostro lavoro, seguiteci su Instagram, Facebook, YouTube e BandCamp. Grazie a tutti.

Ivi "Rotten Flesh" Kardec

Pagine Ufficiali: 

PODRIDÃO line-up:
Rafael "Repugnant Fat" Prado - Batteria
Ivi "Rotten Flesh" Kardec - Chitarra
Junior "Putrid Dick" de Andrade - Voce, Basso

Recensione: 

venerdì 22 agosto 2025

SEMPRE PEGGIO “Stretti nella morsa” - Timebomb Records / Fire and Flames Music / Anfibio Records




I SEMPRE PEGGIO continuano a mantenersi fedeli alla tradizione del Punk Oi!. La scelta di diventare musicisti ha orientato in un certo modo tutta la loro vita, e non credo ci sia quale segreto dietro certe decisioni consapevoli. Lo hanno sempre dimostrato in ogni concerto. Gli appassionati del genere sentono l’onestà, e sanno apprezzarla, perché la coerenza è un segno di autenticità ed integrità. E’ così anche stavolta, visto che “Stretti nella morsa” è un’altra presa di posizione. I Nostri pestano sull’acceleratore per mostrare tutta la loro attitudine selvaggia, servendosi di un impatto velenoso necessario per tenere viva una sentita critica verso le strutture di potere, le politiche adottate o i valori della classe dominante. In questo quadro, il “dissenso” è l’arma ideale per affrontare le ingiustizie. Sì è proprio così: per moltissime band, la rabbia per l'ingiustizia è un potente “innescatore di risentimento”, un rancore che, fortunatamente, solo la musica riesce a trasformare in energia positiva. Questa è gente che continua a lottare ai margini di una società in cui c'è spazio soltanto per vittime e colpevoli. Il messaggio urlato da Martin nella traccia “Niente” è ben chiaro: “Apri i tuoi occhi. Non c’è speranza, niente per noi, non ce n’è mai stata e non ci sarà mai.”. La realtà è ciò che vedono i nostri occhi, e ogni singolo giorno, va Sempre Peggio. Per questo motivo la lotta per la sopravvivenza sarà costante. Continuate così, continuate a darci dentro! Registrato da Alessandro Caneva nello studio Mobsound a Milano, il master è stato curato da Alessandro Berni. L'artwork è opera di Roberta "Joe1" Muci, il layout è di Dario "Porro" Ursino. L'EP è già disponibile nel formato vinile colorato 12” con un lato serigrafato.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Domani, Quei nomi, Pazienza, Matite (cover di Stainboy dei Petrograd, con testo in italiano), Niente, Semplice







mercoledì 20 agosto 2025

LIK - "PATTO DI SANGUE"







GLI SVEDESI LIK HANNO FORGIATO UN NUOVO ALBUM ALL'INSEGNA DEL DEATH METAL PIU' FERALE. STIAMO PARLANDO DI UN LAVORO POTENTISSIMO, ISPIRATO, CHE CONFERMA ANCORA UNA VOLTA L'OTTIMA FORMA DELLA BAND PROVENIENTE DA STOCCOLMA. UN DISCO CHE AGGIUNGE UN ALTRO IMPORTANTE TASSELLO A UNA STORIA INIZIATA UNDICI ANNI FA. QUESTA E' LA MIA SECONDA INTERVISTA CON IL BATTERISTA CHRISTOFER BARKENSJO.

L'attesa per "Necro" era palpabile, e devo dire che quell’attesa è stata ripagata appieno. Voi eravate reduci dall'ottimo responso ricevuto con i tre precedenti album, per questo motivo tutti si aspettavano un altro disco schierato dalla parte della vecchia tradizione. Quindi ti chiedo se avete sentito o accusato una maggiore sensazione di pressione durante la fase compositiva. Affrontare le pressioni e le aspettative non è mai facile.

- A dire il vero, la pressione è scomparsa non appena le canzoni hanno iniziato a prendere forma. Sentivamo che stavamo realizzando un altro album di cui poter essere orgogliosi.

Come nascono le idee per la composizione dei vostri brani? Chi tra voi è in grado di motivare e guidare gli altri verso un obiettivo comune?

- Questa volta è passato un po’ più di tempo prima di partire con il lavoro di composizione. Di solito siamo io e Tomas a iniziare a jammare su idee diverse. Mettiamo insieme tutte le nostre idee, e dopo aver capito cosa fare, ci alterniamo per apportare gli ultimi ritocchi. Proviamo la maggior parte delle idee che ci vengono in mente, anche se molte vengono scartate. Alcune canzoni nascono facilmente, altre richiedono molto più tempo per essere completate. Successivamente realizziamo delle demo da inviare a Lawrence, il nostro produttore/ingegnere del suono, soprattutto perché il suo contributo è molto importante. Quindi sì, direi che in linea di massima questo è il nostro modo di lavorare. Devo dire che ci sono state tante prove prima di registrare dal vivo in studio.

Il suono del nuovo album è molto più ampio. Sei d'accordo con me? Qual è stata la fase più difficile durante la lavorazione di queste canzoni?

- Sì sono d’accordo. Questa volta abbiamo registrato in un vero studio, nella nuova sede di Necromorbus, situata a due ore da Stoccolma. La stanza di incisione era molto grande e questo fattore ha sicuramente influenzato la resa sonora. L’unica canzone più impegnativa è stata “Rotten Inferno”, dato che è la più lenta che abbiamo mai realizzato. Diciamo che, suonando la batteria, ho faticato un po’ a trovare i giusti “fill” e il “groove” adatto per quel brano.

"Necro" esplora temi oscuri e influenze old school. Come risuonano oggi certe idee? Come pensi che venga percepito il vostro messaggio dagli ascoltatori?


- Certi temi sono strettamente intrecciati al death metal, quindi sento una forte connessione emotiva con quegli argomenti.

I Lik sono maggiormente influenzati dal tipico suono del death metal svedese, quello che ha caratterizzato il periodo d'oro del genere. Non ci sono dubbi sulla posizione della vostra band.

- Assolutamente al 100%

Avete deciso di affidare la copertina dell'album all’artista Jens Olsson. Come il suo lavoro si adatta alla vostra musica?

- Desideravamo vedere i colori di un vero dipinto. Jens ci ha contattato per chiedere se poteva realizzare delle illustrazioni per il nostro merchandise. Noi però gli abbiamo chiesto di realizzare la copertina di “Necro”. Lui ha accettato la nostra proposta. Abbiamo inoltrato le nostre idee, e il resto è storia. Il risultato finale è perfetto per un album death metal.

Come ci si sente a sapere di aver ottenuto una buona reputazione nella comunità death metal?

- Non posso dire di averne sentito parlare tanto, ma se così fosse, sarebbe fantastico. Ci impegniamo al massimo per lasciare un segno nel genere, quindi va bene così.

Grazie per l'intervista, Christofer! Ti auguro tutto il meglio che la vita può offrirti. Lascio a te le ultime parole.

- Grazie a te Christian. Grazie per averci sostenuto nel corso degli anni.

Contatti: 
 instagram.com/lik_official

LIK lineup:
Chris Barkensjö - Batteria
Niklas "Nille" Sandin - Chitarra
Tomas Åkvik - Voce, Chitarra
Joakim Antman - Basso

Recensione: 

lunedì 18 agosto 2025

RUPE "Sirente" - Autoproduzione




Siete ancora convinti che le migliori band underground provengano solo da oltreconfine? Ognuno di voi avrà una sua risposta, ma la mia opinione rimane la stessa di sempre: l’Italia può vantare dei gruppi ancora sconosciuti che hanno i requisiti necessari per competere con tante realtà provenienti da altri paesi. L'ho sempre pensato e oggi ne ho avuto un'altra conferma ascoltando gli abruzzesi RUPE. Parlare bene dei nostri musicisti è per me motivo di soddisfazione, soprattutto perché ho sempre combattuto caparbiamente per sostenere tutti quei gruppi nostrani capaci di mettere in evidenza le proprie qualità compositive, e chi mi conosce da tempo sa che in trent’anni di attività nel circuito musicale ho continuamente agito con coerenza e consapevolezza in merito al “supporto”, quella capacità di offrire un aiuto genuino e mirato a chi merita: dare senza chiedere nulla in cambio. Molti recensori dovrebbero imparare a difendere con i denti l'operato delle band italiane, invece di essere eccessivamente pignoli o di cercare difetti inesistenti o insignificanti ascoltando un qualsiasi disco. Non è necessario cercare il pelo nell'uovo, quindi, non è fondamentale che qualcosa sia originale, cioè unico o nuovo, per essere valido o apprezzato. Ciò detto e assodato, torno a focalizzarmi sulla proposta schietta e sincera dei Rupe. Il nuovo EP “Sirente”, pubblicato a distanza di quattro anni dal precedente “Big Stone”, si ascolta molto piacevolmente e senza interruzioni, perché è coinvolgente e ben fatto. Ad emergere è la capacità di fare leva sulle varie stratificazioni sonore, riuscendo a spostare un bel po’ di polvere dal proprio orizzonte, in modo da trovare il giusto equilibrio per sorvolare un vasto spazio immaginario fatto di chilometri di sabbie roventi. I Rupe hanno le idee chiare su cosa proporre e, nel loro modo di esprimersi, non vogliono assolutamente nascondere l’amore viscerale per formazioni più famose come Monster Magnet, Fu Manchu, Orange Goblin; questo è piuttosto evidente e non lascia spazio a dubbi. Il loro desiderio è piuttosto chiaro, senza troppi fronzoli: suonare al meglio ciò che realmente si ama, liberandosi dai pensieri incongrui, restando coerenti con la semplicità della propria spontaneità. “Blew”, la cover dei Nirvana, si sposa alla perfezione con i toni dell’EP. Un lavoro che attinge ad una memoria sonora collettiva, indissolubilmente legata ad una certa tradizione. Avanti così.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Iron Camel, Third Man, Jharia, White Noise, Blew (Nirvana cover)





domenica 17 agosto 2025

RETIREMENT “Attention Economy" - Iron Lung Records




Grandiosi gli americani RETIREMENT. Trattasi di un quartetto proveniente da Portland, dotato di un sound grezzo ed estremamente eccitante: un muro di suono turbinante di chitarre taglienti, e una sezione ritmica nevrastenica che percuote senza lasciare mai tregua all'ascoltatore. Brani traumatizzanti per spinta e rumore, ottimi da subire tanto quanto da pogare fino allo sfinimento, irrobustiti da una voce ringhiante che riesce ad insinuarsi sottopelle con agitazione irritante. La granitica produzione affidata a Evan Mersky è sorprendente, e si può dire la stessa cosa per il lavoro svolto da Will Killingsworth, per la sua capacità di utilizzare le giuste scelte in fase di masterizzazione. Occorre riconoscerlo, i Retirement mantengono un certo spirito DIY, che è parte creativa del processo più genuino dell’hardcore/noise rock, e questo lo si può riconoscere come un senso di appartenenza ad una specifica corrente musicale. Perché se vuoi essere in un certo modo, devi esserlo fino in fondo: un'adesione convinta a un determinato modo di pensare e agire. A livello musicale, avevo già sentito qualcosa del genere grazie agli Obliteration di “Poison Everything” (2014). Questo è solo un semplice appunto per capire come si comportano alcuni musicisti. Ma, al di là dei riferimenti, rimane un disco dal fortissimo impatto, pieno di dissonanze trasversali, utili per evitare l’utilizzo di schemi ormai consunti e puntare tutto su schiettezza, intuito e attitudine. “Attention Economy" è veloce, caotico, destabilizzante, come ogni vero disco hardcore/noise dovrebbe essere. A loro modo, intransigenti.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Human Meme, All Guilty, Annihilate, Psychic Slaughter, Blind, Isolation, Parasites, Bodybag Future, Suffer The Law, Keep Waiting, You Will Be Forgotten, What We Deserve, Sell Me Something, Next Time





sabato 16 agosto 2025

FORCED STARVATION "s/t" - RSR Records




I neozelandesi FORCED STARVATION entrano di pieno diritto nella schiera di quelle band che, negli ultimi anni, sono riuscite a produrre un impatto davvero significativo nella scena grindcore/fastcore. Lo scenario malato raffigurato da “Forced Starvation” è tutt’altro che rassicurante: già il titolo vuole essere una sorta di provocazione, ad indicare il significato inquietante e disturbante che anima l’essenza di un disco di debutto che non presenta punti deboli. La visione dei Nostri si rivela essere estremamente convincente nella sua spietata efferatezza, pur non portando nulla di diverso se paragonato a quanto fatto da altre valide formazioni impegnate con il medesimo genere musicale. La ruvidezza e la sfrontatezza sono i cardini su cui si reggono brani tanto efficaci quanto disumani; mettendo sul piatto tanta voluminosità, tanto “peso” sonoro, tanta cattiveria inaudita. Il frontman qui offre una prova dannatamente efficace e dimostra di non essere solo un buono screamer. I riff, le ritmiche grondano sangue in una gabbia d’acciaio che rotola come un macigno sui nostri crani. Certi passaggi mi hanno ricordato i grinder svedesi Gadget. Un album arcigno, sgraziato, che fa emergere tutta la frustrazione e la ripetitività di una società ormai distrutta che non porta a nessun progresso su cui fare affidamento. Alle orecchie di molti i quattordici brani possono sembrare tutti uguali, ma in realtà ogni singola traccia è indispensabile per scavare un solco profondo dove far passare sentimenti carichi di una forte avversione. Ascoltare dischi come “Forced Starvation” non può che trasmettere una certa soddisfazione. La line-up della band è formata da membri di Piggery, Meth Drinker, Stress Ghetto, Unruly.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Circling the Drain, Bathed in Blackwater, Front Towards Enemys, Children's Skeletons, Cryptic Incursion, Mapogo Coalition, Shit Giving Exacerbation, From My Rotting Body, Crushed to Powder, As the Lake Dries Up, Faceless Aquaintance, Forced to Face the Day, Champawat Maneater, MAGA Hat (Dogcock)



giovedì 14 agosto 2025

SICK DESTROYER "s/t" - Psychocontrol Records / I Feel Good Records / Calvos 73 Records




Le lancette del tempo sembrano girare a ritroso per questa band dell’Est Europa, nelle cui fila militano musicisti provenienti dalla Repubblica Ceca e dalla Slovacchia, già attivi con Lycanthrophy, Morbid Angel Dust, Needful Things. I SICK DESTROYER sono fortemente ispirati alle incarnazioni più classiche e datate del grindcore, guardando alla vecchia scuola come unico punto di riferimento per riuscire a ritagliarsi un po’ di spazio nel circuito dell’estremizzazione sonora, senza particolari pretese o manie di protagonismo; anche perché non bisogna cercare chissà quale ispirazione per suonare questo genere musicale particolarmente essenziale e psicotico. La vera certezza in merito al terzetto in questione risiede nella genuinità della loro musica, concepita con una solidità che ha radici molto lontane. Tutto questo è ben identificabile nel ritmo serratissimo dell’omonimo album di debutto, che arriva dopo la pubblicazione di diversi Split stampati in formato 7", 12" e audiocassetta. Il grande pregio dei Sick Destroyer è quello di garantire affidabilità e certezze ai fan di lungo corso, e mettere in chiaro che, quando si decide di suonare in un certo modo, tutto il resto non conta un cazzo. Diciannove tracce di violenza sonora inaudita, di caos ben organizzato dove nulla è lasciato al caso, gestito da un gruppo corazzato e consapevole dei propri mezzi. E questo non è poco! Nella coda della tracklist troverete il brano “Salt Mine”, la cover degli Assück.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Torture Incident of Smile, Short Hands, Crossed Out Fingers, Rotting Headache, Mind Deprivation, Speedhell, Machinegun Mistake, Bleargh Eyes (Blue), Gangrene Discharge, Chainsaw to the Ass, Metal of Death, Slight Slappers, Green Smoke Shit, Wormhead Rot, Aquarium, Dead Ceremony, Your Days Are Numbered, Salt Mine (Assück cover), Squashed in the Pit

martedì 12 agosto 2025

PODRIDÃO "Coffin of the Corrupted Dead" - Iron Fortress Records / Kill Again Records




Questo è un disco che suona brutale e marcio in tutto e per tutto, e si denota fin da subito che i brasiliani PODRIDÃO ci danno dentro in efferatezza mortifera, lubrificando i propri ingranaggi con litri di sudore maleodorante, dimostrandosi esecutori di grande livello e riuscendo così a iniettare la giusta dose di cruda ripugnanza nei brani di “Coffin of the Corrupted Dead”. Qui il sound rispolvera i caratteri distintivi della frangia più putrida del death metal, allineandosi a quelle cavalcate schizofreniche alimentate da una doppia cassa chirurgica e martellante, ma anche ai caratteristici rallentamenti del doom indispensabili per vomitare orrore e disperazione. I Podridão ci mettono il massimo impegno per rileggere in modo circostanziato alcune pagine fondamentali della discografia dei seminali Autopsy, attingendo a piene mani dalla furia presente in quegli archivi, spremendola e concentrandola in poco più di mezz’ora. La terrificante intensità dei riff consolida e conferma l’inclinazione della band verso suoni che non fanno altro che risvegliare orde di zombie affamati e assetati di sangue, dipingendo un’ambientazione delirante e mortale. La voce del bassista/cantante Junior de Andrade, per le sue caratteristiche timbriche, tecniche e interpretative, si immerge completamente nell'esperienza musicale andando a valorizzare ogni singola composizione. Il quarto full-length del gruppo proveniente da Itaquaquecetuba (São Paulo) è un lavoro più che onesto, massacrante, ben realizzato e coinvolgente, anche se derivativo nella sostanza. Per quanto mi riguarda, i Podridão meritano attenzione e supporto. Ultima nota in aggiunta: "Coffin of the Corrupted Dead" potrebbe piacere anche a tutti coloro che hanno consumato i dischi dei deathster americani Necrot.

Pagine Ufficiali: 

Songs:
Coffin Of The Corrupted Dead, Dissolved into Viscous Ruin, Exhaling Pestilent Rot, Stages of Decomposition, Submerged Into Vile Repugnance, Fetid Purulence Manifest, Disinterred to Devour, Oozing Cadaveric Liquid