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lunedì 22 giugno 2020

ULCERATE - "L'ORRORE DELLA PERDITA"






CHE I NEOZELANDESI ULCERATE SIANO DA SEMPRE UNA DELLE MIGLIORI BAND INTERNAZIONALI NEL CIRCUITO DELLA MUSICA ESTREMA E' PRATICAMENTE UN DATO DI FATTO. IL NUOVO "STARE INTO DEATH AND BE STILL", SESTO FULL-LENGTH IN 18 ANNI DI CARRIERA, GIUNGE A CONFERMARE LE IMPRESSIONANTI QUALITA' COMPOSITIVE DI QUESTI TRE TALENTUOSI MUSICISTI PROVENIENTI DAL SUD-OVEST DELL'OCEANO PACIFICO. HO CONTATTATO IL BATTERISTA JAMIE SAINT MERAT PER PARLARE DEL LORO PRESENTE.

Ciao Jamie, è un piacere risentirti. Il nuovo album "Stare into Death and Be Still" è ancora più suggestivo del precedente "Shrines of Paralysis" (2016). Da dove nasce l'esigenza di rendere più evocativa la vostra proposta musicale? E’ stata una scelta voluta oppure la conseguenza di un processo spontaneo?

- Sapevamo fin dall'inizio che sarebbe stato un disco molto diverso. Siamo arrivati a quota sei full-length e devo dire che abbiamo investito molte delle nostre energie per dare più vigore all'approccio adottato negli ultimi quattro lavori, quindi ci riteniamo soddisfatti dei risultati raggiunti dal 2011 fino ad oggi. Siamo molto orgogliosi del nostro lavoro fatto in passato ma non possiamo temporeggiare. Volevamo ottenere un sound più melodico, e questo ha immediatamente attivato un canale per intraprendere una direzione più introspettiva, sia concettualmente che musicalmente allo stesso tempo. Il fatto di aver ampliato il songwriting ci ha permesso di allargare i nostri confini, ovviamente i testi e le idee hanno seguito la stessa traiettoria.

Qual era la vostra idea iniziale riguardo "Stare into Death and Be Still"? Pensate di aver raggiunto il vostro obiettivo?

- Stranamente, siamo riusciti a superare le nostre aspettative iniziali, infatti è la prima volta in cui abbiamo avuto questa sensazione dopo aver completato un album. Penso che il motivo dipenda dal fatto che siamo stati in grado di spostare tante sfaccettature del nostro suono e della nostra direzione sonora, e tutto ciò ha contribuito a rivitalizzare la grande passione per questa band e ad aprire altre porte per quello che potremmo raggiungere in futuro. La mia precedente risposta allude un po’ a questo: sapevamo che con il nuovo album dovevamo sfidare quasi tutti i nostri istinti e le nostre intuizioni visive per evitare il ristagno creativo, non solo per ciò che riguarda l'uscita di un lavoro che potesse risultare potenzialmente "uguale" per i fan del gruppo, ma soprattutto per portare "Stare into Death and Be Still" in un più stretto allineamento con il modo in cui percepiamo la musica in questo momento della nostra vita. Per quanto mi riguarda, la migliore musica è sempre un'espressione delle persone che la creano, perciò deve essere onesta. Gli Ulcerate non sono un'entità che punta ai numeri (a differenza di alcuni...), pertanto quello che viene espresso musicalmente deve essere vero al 100%. La nostra intenzione iniziale era quella di aggiornare e revisionare quasi ogni aspetto del gruppo (fin dai piccoli dettagli): ottenere una maggiore enfasi nel riffing, portare in primo piano delle linee di basso capaci di guidare il ritmo, mettere in scena degli arrangiamenti di batteria indispensabili per sorreggere i riff e le canzoni nel loro insieme in modo da dare più vigore alla potenza caotica del suono, aggiungere maggiore spessore su degli arrangiamenti vocali più mirati, puntare su un'accordatura più dettagliata, architettare delle sezioni down-tempo più suggestive... e questa lista potrebbe continuare. Siamo riusciti a girare il punto focale dei testi verso l'interno, visto che le liriche si sono sempre basate sull’osservazione con una narrazione in terza persona. Ogni singola regolazione ci ha permesso di avere un impatto molto profondo sull'impronta sonora del nuovo album.

E' difficile far crescere il suono di una band senza tradirne le principali peculiarità?

- Vogliamo evitare la stagnazione creativa menzionata in precedenza. Questa band coinvolge le nostre vite da ormai molti anni, quindi dissolversi lentamente in un oceano di mediocrità è l’ultima delle nostre intenzioni, e non sto parlando di come gli altri percepiscono la nostra musica, ma sto facendo riferimento alla grande energia e ai sentimenti ottenuti durante la fase compositiva. Un qualsiasi risultato noioso potrebbe buttare via 20 anni di fottuto duro lavoro. La nostra mentalità è sempre la stessa: dare il massimo (spesso a scapito della vita quotidiana) o smettere. Non esiste un'area grigia quando si tocca questo argomento.

Avete trovato delle difficoltà dal punto di vista compositivo?

- Le prime due tracce del disco sono state abbastanza impegnative proprio perché in quel periodo stavamo cercando i nostri equilibri in questa nuova direzione. Fin dall'inizio avevamo un'idea su come il lavoro avrebbe dovuto manifestarsi, ma devo ammettere che i primi mesi di tentativi non stavano soddisfacendo quella nostra visione. Comunque si poteva lavorare con calma. Inoltre, un sacco di materiale è stato scartato. Quando abbiamo completato la struttura della terza canzone (la traccia con il titolo del disco) ci siamo resi conto di aver ottenuto una formula estremamente avvincente e fottutamente adrenalinica.

Puoi spiegare il significato del titolo dell'album? Mi piacerebbe sapere qualcosa a proposito di questa frase e su come si è sviluppata nella vostra mente.

- Il titolo dell'album e il tema generale di gran parte dei brani vanno ad esplorare l'orrore della lenta e passiva accettazione della morte, prendendo come riferimento le persone che ci sono vicine. Noi tre abbiamo vissuto queste brutte esperienze negli ultimi anni e le ondate di dolore e frustrazione sono state estremamente potenti. L'energia della morte non ha eguali. L'orrore della perdita è qualcosa su cui siamo totalmente impreparati.

Pensi che suonare la tua musica sia un'esperienza catartica e purificatrice?

- Assolutamente. Anche provare le nostre canzoni ha un effetto enormemente meditativo e catartico, una purificazione di tossine mentali e fisiche. Quindi mettiti in una stanza buia a 100 dB con persone con cui fai musica da decenni, ognuna con 10.000 ore di prove alle spalle, e puoi facilmente entrare in un ampio spazio in cui il tempo cessa di esistere. E, naturalmente, anche i nostri live hanno la capacità di amplificare questa esperienza per almeno dieci volte.

Cosa ci puoi dire dell'incredibile video di "Dissolved Orders" e sull’idea che sta alla base del concept visivo? Il risultato finale è estremamente potente. Anch'io sono in contatto con l’artista francese Dehn Sora, ed è lui che ha realizzato il bellissimo artwork visibile sul sito ufficiale di Son of Flies webzine.

- Da anni stavamo pensando alla realizzazione di un video per un brano della band, ma non avendo mai avuto a disposizione il giusto budget, l’idea non si è mai concretizzata. Essendo un fan del lavoro grafico di Dehn Sora, quando ho avuto la possibilità di vedere il suo video per la canzone "A Paradigm of Beauty" degli Schammasch, ho capito che poteva realizzarsi un'opportunità. La stima reciproca ha dato il via alla nostra collaborazione. Inizialmente ci siamo confrontati sullo stile, sull’estetica e sui vari significati, poi, successivamente, è stato importante trasmettere a Dehn tutti i punti di riferimento necessari per ottenere il giusto impatto cinematografico, in modo da riuscire a far emergere la sensazione che desideravo. Fin da subito abbiamo capito di avere gusti estremamente simili, perciò il lavoro è stato completato senza sforzi. Il tema generale del video è più o meno un'interpretazione del concept cui ho fatto cenno in precedenza: un'osservazione passiva sull'energia della morte, il senso di impotenza e tristezza davanti ad essa, qualcosa che va oltre ogni comprensione.

Chi è stata la tua più grande fonte di ispirazione come musicista? Qual è stato il primo album death metal che hai comprato e che ha avuto un'enorme influenza su di te?

- Non riesco ad individuare una singola fonte d’ispirazione. Noi tre abbiamo trovato la nostra ispirazione in diverse correnti musicali che non necessariamente "viaggiano" insieme, alcuni suoni sono legati rigorosamente alla tecnica, altri ad un profondo livello filosofico, altri ancora all’aspetto della performance. Il primo album death metal che ho preso è stato (se ricordo bene) "Back from the Dead" degli Obituary, acquistato all'età di 13 anni (era una nuova uscita del '97). Avevo sentito parlare di quella band in un periodo in cui ero alla ricerca di musica più pesante, e riuscii a trovare quel disco in un negozio di dischi posizionato nella mia zona. "Back from the Dead" è stato il cancello da cui sono entrato in contatto con un nuovo mondo da esplorare. C'era qualcosa di inebriante in quel genere musicale, in quanto diverso e distorto, nulla che possa essere paragonato a tutto ciò che è comunemente considerato radio-friendly. Ci sono voluti solo pochi mesi per scoprire il death e il black metal, i due generi per eccellenza nel circuito delle sonorità "estreme". Queste prime esplorazioni mi hanno ossessionato a tal punto da voler diventare uno dei migliori batteristi della scena. Ho lavorato duramente per poter dire la mia a certi livelli, consumando gran parte del mio tempo libero durante l’adolescenza.

Quali sono i tuoi film preferiti di sempre? Cinque titoli sarebbero sufficienti.

- E’ una domanda estremamente difficile. Elencherò solo alcuni film che amo, i primi che mi vengono in mente...

- There Will Be Blood, The Life Aquatic with Steve Zissou, Schlinders List, Irreversible, Chernobyl series, The Machinist, Se7en, Melancholia, Moonlight, The Killing of a Sacred Deer, Incendies, Ex Machina, Moon, La Haine.

Questi ultimi mesi sono stati molto difficili. La crisi globale legata al coronavirus ci ha concesso del tempo per riflettere attentamente su noi stessi e sulla nostra vita. Cosa cambierà nel futuro?

- Il cinismo che c'è in me non dice nulla. In Nuova Zelanda siamo tornati al livello 1 e la sensazione è quella che le cose stiano tornando lentamente alla normalità.

Jamie, grazie per aver dedicato del tempo per parlare con me. Ti auguro il meglio.

Contatti:
ulcerate.bandcamp.com/album/stare-into-death-and-be-still
facebook.com/Ulcerate
debemur-morti.com

ULCERATE line up:
Jamie Saint Merat - Batteria, Percussioni
Michael Hoggard - Chitarra
Paul Kelland - Basso, Voce

Recensione: 
ULCERATE "Stare into Death and Be Still" - 2020