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martedì 30 giugno 2020

DIABOLIC OATH "Profane Death Exodus" - Sentient Ruin | Craneo Negro




Gli americani DIABOLIC OATH completano la loro prima opera di morte intitolata "Profane Death Exodus" già anticipata dai due demo autoprodotti confezionati tra il 2018 e il 2019, questo significa, in campo musicale, bruciare le tappe. L'alchimia che regna tra le peculiarità più estreme e gli improvvisi rallentamenti schiaccianti, fa assumere al disco il ruolo di vero e proprio demiurgo oscuro, infallibile nella "malefica" dimensione abitata dai tre supplizianti dell'Oregon. Ogni traccia riflette una particolare sfumatura dal più ampio concetto di tenebra, oscillando tra le tonalità cupe del dramma rivelatore e quelle tormentate dell'ultraterreno. Death/black metal oltraggioso, funesto, annichilente e a volte anche difficile da tenere sotto controllo, ma proprio per questo capace di allontanarsi dal consueto rimando ai soliti musicisti di genere; sebbene non posso nemmeno negare di aver pensato fin dal principio agli australiani Bestial Warlust. L'intero album procede inesorabile: blasfemo e irriverente, per poco più di trenta minuti, ci ricorda come il cosiddetto war metal non sia solo brutalità, ma devozione assoluta verso quello che molti considerano uno stile di vita. E' anche vero che l'irremovibilità nel circuito death/black metal è spesso considerata controproducente, ma se questi generi hanno ancora un presente, il merito è di gruppi risoluti come i Diabolic Oath, fermamente convinti nel seguire un sentiero sicuro e già ampiamente battuto. Il compimento di un delirio ritmico!

Contatti: 
diabolicoath.bandcamp.com/album/profane-death-exodus
facebook.com/Diabolic-Oath
instagram.com/diabolicoath

Songs:
Towards Exalted Coronation, Immaculate Conjuration of Infernal Recrudescence, Morbid Ekstasis, Emundationem Flammae, Apocryphal Manifestations, Opening the Gates to Blasphemic Domination, Chalice of Conquering Blood


lunedì 29 giugno 2020

PARASIT "Samhällets Paria" - Phobia Records




Il d-beat/crust non ha certo bisogno di presentazioni, anzi, di questo genere, stilisticamente parlando, si sa tutto (o quasi). Non a caso, qualunque cosa esca dalla scena underground più contemporanea non sarà mai peggio di ciò che già si sa: gli svedesi PARASIT vanno a ribadire con fermezza le regole di certe sonorità riuscendo così ad esprimere le proprie potenzialità (nella lineup sono coinvolti membri di Uncurbed, Asocial, Interment, Fleshrevels). I Nostri raccolgono gli elementi grezzi che hanno caratterizzato il sound delle vecchie glorie degli anni '80/'90 per creare un'unica minacciosa esplosione di adrenalina; incendiaria e fottutamente risonante. "Samhällets Paria" è un disco "killer" che, in maniera ossessiva, gronda passione, sudore, e ritmiche sostenute. Per i sostenitori di tale corrente sonora, il lavoro in questione sarà l'ennesima release incontaminata da ascoltare ad alto volume, ma per il sottoscritto si rivela un'esperienza che va a sfondare il condotto uditivo per avviare il ricongiungimento con coloro che sono stati mossi dagli ideali dei tempi ormai andati. E come di consueto, la rabbia percussiva non è mai abbastanza per questi veterani provenienti da Avesta. È gratificante sapere che lo spirito senza compromessi dei Parasit è ancora vivo e vegeto. Per farla breve, nessuna inversione se prevale la vera attitudine. Prendere o lasciare.

Contatti: 
parasit.bandcamp.com/album/samh-llets-paria-2020
facebook.com/parasit666

Songs:
Folkhemmets Trygga Vrå, Fiende Och Frälsare, Ni Fick Inte Plats, Ett Pissigt Liv, Bron Är Sprängd, Lånad Tid - Lånat Liv, Kontrollerad Av Överheten, Pappa Tar Fanan, Övertidsdöd, Samhällets Paria, Hörbarhet Nolla, Blod Putsar Glorian, Det Är Eran Skit, Glimten Av Döden, Drängar Bor Inte I slott, Kugghjulen Maler


venerdì 26 giugno 2020

CRO-MAGS "In The Beginning" - Arising Empire




Il guerriero Harley Flanagan ha vinto la sua battaglia per riappropriarsi del nome della band che lo ha reso celebre: i CRO-MAGS. E la notizia non lascia indifferenti. "In The Beginning" riassume la vita di un musicista duro e puro, che rende giustizia all'attitudine selvaggia della scena hardcore newyorkese degli anni '80, e tutto questo in soli 38 minuti di musica diretta, aggressiva e fottutamente "in your face" (tipica espressione utilizzata da gran parte dei fan del genere). Un assalto frontale di hardcore metallizzato con 13 colpi che si susseguono rapidamente uno dopo l'altro come in una feroce scazzottata, l'occasione di ricominciare dalle proprie origini, quasi a volerne suggellare la continuità stilistica. "In The Beginning" è un disco energico, muscoloso e spinto al massimo, perfettamente in linea con il sound del gruppo. Sembra proprio che i Cro-Mags siano ancora più ignoranti di quanto si poteva ascoltare nel lontano passato, ma ciò è solo un modo di identificare, appunto, la materia trattata dai Nostri. La timbrica corposa di Harley è sempre minacciosa e cazzuta in ogni passaggio, facendo muovere testa e piedi incessantemente, esplodendo una contagiosa e irrefrenabile rabbia viscerale, già a partire dalla ferina opener "Don't Give In". Il brano che non ti aspetti è la strumentale "Between Wars", posizionata nella parte finale della tracklist, comunque sufficientemente flessibile da concedere un po' di respiro durante l'ascolto. "In The Beginning" è vincente nella sua interezza, lasciando trasparire una solidità disarmante. Passano gli anni, cambia tutto, eppure la perseveranza di Harley Flanagan rimane invariata. E' arrivato il momento di dare fuoco ai vostri nemici.

Contatti: 
realcromags.com
facebook.com/realcromags
instagram.com/realcromags 

Songs:
Don't Give In, Drag You Under, No One's Victim, From the Grave, No One's Coming, PTSD, The Final Test, One Bad Decision, Two Hours, Don't Talk About It, Between Wars, No Turning Back, There Was a Time




martedì 23 giugno 2020

TESA "CONTROL" - My Proud Mountain




Già con la precedente opera "GHOST" la band lettone aveva dimostrato di saper costruire atmosfere di pericolo imminente, attenta ai dettagli e alle geometrie degli spazi sonori. Con il nuovo "CONTROL", quarto album della loro discografia, conferma la predisposizione alle sonorità post-metal strumentali, intrise di inquietudini rumoristiche e di un'energia che scava lunghe gallerie sottopelle. L'intero full-length è infatti condotto facendo leva su una tensione fisica e psicologica, che ha un forte impatto a livello narrativo e spiazza in più di un'occasione: alcuni momenti regalano inarrestabili brividi lungo la colonna vertebrale. I TESA si rivelano una macchina ben oliata capace di produrre visioni disturbanti utili per sostenere il peso di un flusso ipnotico che tende al nero. La vera forza di "CONTROL" è dunque non nell'originalità ma nella potente resa stilistica (la pressione sonora giusto per intenderci). Un incedere schiacciante, quasi gelido nel suo taglio noise/industrial. Lo spettro degli svedesi Cult of Luna, pur aleggiando costantemente sui sei brani, non è una presenza che penalizza la buona prestazione del trio, e lo si percepisce durante lo scorrere dei minuti. Viene mantenuta un'atmosfera catramosa, intessuta da un sapiente uso degli effetti e delle dissonanze chitarristiche. Ovviamente bisogna essere pronti a un ascolto non proprio facile, eppure accettato questo assunto la soddisfazione finale è davvero alta.

Contatti: 
tesa.bandcamp.com/album/c-o-n-t-r-o-l
facebook.com/bandtesa
myproudmountain.com

Songs:
Control 1, Control 2, Control 3, Control 4, Control 5, Control 6




lunedì 22 giugno 2020

ULCERATE - "L'ORRORE DELLA PERDITA"






CHE I NEOZELANDESI ULCERATE SIANO DA SEMPRE UNA DELLE MIGLIORI BAND INTERNAZIONALI NEL CIRCUITO DELLA MUSICA ESTREMA E' PRATICAMENTE UN DATO DI FATTO. IL NUOVO "STARE INTO DEATH AND BE STILL", SESTO FULL-LENGTH IN 18 ANNI DI CARRIERA, GIUNGE A CONFERMARE LE IMPRESSIONANTI QUALITA' COMPOSITIVE DI QUESTI TRE TALENTUOSI MUSICISTI PROVENIENTI DAL SUD-OVEST DELL'OCEANO PACIFICO. HO CONTATTATO IL BATTERISTA JAMIE SAINT MERAT PER PARLARE DEL LORO PRESENTE.

Ciao Jamie, è un piacere risentirti. Il nuovo album "Stare into Death and Be Still" è ancora più suggestivo del precedente "Shrines of Paralysis" (2016). Da dove nasce l'esigenza di rendere più evocativa la vostra proposta musicale? E’ stata una scelta voluta oppure la conseguenza di un processo spontaneo?

- Sapevamo fin dall'inizio che sarebbe stato un disco molto diverso. Siamo arrivati a quota sei full-length e devo dire che abbiamo investito molte delle nostre energie per dare più vigore all'approccio adottato negli ultimi quattro lavori, quindi ci riteniamo soddisfatti dei risultati raggiunti dal 2011 fino ad oggi. Siamo molto orgogliosi del nostro lavoro fatto in passato ma non possiamo temporeggiare. Volevamo ottenere un sound più melodico, e questo ha immediatamente attivato un canale per intraprendere una direzione più introspettiva, sia concettualmente che musicalmente allo stesso tempo. Il fatto di aver ampliato il songwriting ci ha permesso di allargare i nostri confini, ovviamente i testi e le idee hanno seguito la stessa traiettoria.

Qual era la vostra idea iniziale riguardo "Stare into Death and Be Still"? Pensate di aver raggiunto il vostro obiettivo?

- Stranamente, siamo riusciti a superare le nostre aspettative iniziali, infatti è la prima volta in cui abbiamo avuto questa sensazione dopo aver completato un album. Penso che il motivo dipenda dal fatto che siamo stati in grado di spostare tante sfaccettature del nostro suono e della nostra direzione sonora, e tutto ciò ha contribuito a rivitalizzare la grande passione per questa band e ad aprire altre porte per quello che potremmo raggiungere in futuro. La mia precedente risposta allude un po’ a questo: sapevamo che con il nuovo album dovevamo sfidare quasi tutti i nostri istinti e le nostre intuizioni visive per evitare il ristagno creativo, non solo per ciò che riguarda l'uscita di un lavoro che potesse risultare potenzialmente "uguale" per i fan del gruppo, ma soprattutto per portare "Stare into Death and Be Still" in un più stretto allineamento con il modo in cui percepiamo la musica in questo momento della nostra vita. Per quanto mi riguarda, la migliore musica è sempre un'espressione delle persone che la creano, perciò deve essere onesta. Gli Ulcerate non sono un'entità che punta ai numeri (a differenza di alcuni...), pertanto quello che viene espresso musicalmente deve essere vero al 100%. La nostra intenzione iniziale era quella di aggiornare e revisionare quasi ogni aspetto del gruppo (fin dai piccoli dettagli): ottenere una maggiore enfasi nel riffing, portare in primo piano delle linee di basso capaci di guidare il ritmo, mettere in scena degli arrangiamenti di batteria indispensabili per sorreggere i riff e le canzoni nel loro insieme in modo da dare più vigore alla potenza caotica del suono, aggiungere maggiore spessore su degli arrangiamenti vocali più mirati, puntare su un'accordatura più dettagliata, architettare delle sezioni down-tempo più suggestive... e questa lista potrebbe continuare. Siamo riusciti a girare il punto focale dei testi verso l'interno, visto che le liriche si sono sempre basate sull’osservazione con una narrazione in terza persona. Ogni singola regolazione ci ha permesso di avere un impatto molto profondo sull'impronta sonora del nuovo album.

E' difficile far crescere il suono di una band senza tradirne le principali peculiarità?

- Vogliamo evitare la stagnazione creativa menzionata in precedenza. Questa band coinvolge le nostre vite da ormai molti anni, quindi dissolversi lentamente in un oceano di mediocrità è l’ultima delle nostre intenzioni, e non sto parlando di come gli altri percepiscono la nostra musica, ma sto facendo riferimento alla grande energia e ai sentimenti ottenuti durante la fase compositiva. Un qualsiasi risultato noioso potrebbe buttare via 20 anni di fottuto duro lavoro. La nostra mentalità è sempre la stessa: dare il massimo (spesso a scapito della vita quotidiana) o smettere. Non esiste un'area grigia quando si tocca questo argomento.

Avete trovato delle difficoltà dal punto di vista compositivo?

- Le prime due tracce del disco sono state abbastanza impegnative proprio perché in quel periodo stavamo cercando i nostri equilibri in questa nuova direzione. Fin dall'inizio avevamo un'idea su come il lavoro avrebbe dovuto manifestarsi, ma devo ammettere che i primi mesi di tentativi non stavano soddisfacendo quella nostra visione. Comunque si poteva lavorare con calma. Inoltre, un sacco di materiale è stato scartato. Quando abbiamo completato la struttura della terza canzone (la traccia con il titolo del disco) ci siamo resi conto di aver ottenuto una formula estremamente avvincente e fottutamente adrenalinica.

Puoi spiegare il significato del titolo dell'album? Mi piacerebbe sapere qualcosa a proposito di questa frase e su come si è sviluppata nella vostra mente.

- Il titolo dell'album e il tema generale di gran parte dei brani vanno ad esplorare l'orrore della lenta e passiva accettazione della morte, prendendo come riferimento le persone che ci sono vicine. Noi tre abbiamo vissuto queste brutte esperienze negli ultimi anni e le ondate di dolore e frustrazione sono state estremamente potenti. L'energia della morte non ha eguali. L'orrore della perdita è qualcosa su cui siamo totalmente impreparati.

Pensi che suonare la tua musica sia un'esperienza catartica e purificatrice?

- Assolutamente. Anche provare le nostre canzoni ha un effetto enormemente meditativo e catartico, una purificazione di tossine mentali e fisiche. Quindi mettiti in una stanza buia a 100 dB con persone con cui fai musica da decenni, ognuna con 10.000 ore di prove alle spalle, e puoi facilmente entrare in un ampio spazio in cui il tempo cessa di esistere. E, naturalmente, anche i nostri live hanno la capacità di amplificare questa esperienza per almeno dieci volte.

Cosa ci puoi dire dell'incredibile video di "Dissolved Orders" e sull’idea che sta alla base del concept visivo? Il risultato finale è estremamente potente. Anch'io sono in contatto con l’artista francese Dehn Sora, ed è lui che ha realizzato il bellissimo artwork visibile sul sito ufficiale di Son of Flies webzine.

- Da anni stavamo pensando alla realizzazione di un video per un brano della band, ma non avendo mai avuto a disposizione il giusto budget, l’idea non si è mai concretizzata. Essendo un fan del lavoro grafico di Dehn Sora, quando ho avuto la possibilità di vedere il suo video per la canzone "A Paradigm of Beauty" degli Schammasch, ho capito che poteva realizzarsi un'opportunità. La stima reciproca ha dato il via alla nostra collaborazione. Inizialmente ci siamo confrontati sullo stile, sull’estetica e sui vari significati, poi, successivamente, è stato importante trasmettere a Dehn tutti i punti di riferimento necessari per ottenere il giusto impatto cinematografico, in modo da riuscire a far emergere la sensazione che desideravo. Fin da subito abbiamo capito di avere gusti estremamente simili, perciò il lavoro è stato completato senza sforzi. Il tema generale del video è più o meno un'interpretazione del concept cui ho fatto cenno in precedenza: un'osservazione passiva sull'energia della morte, il senso di impotenza e tristezza davanti ad essa, qualcosa che va oltre ogni comprensione.

Chi è stata la tua più grande fonte di ispirazione come musicista? Qual è stato il primo album death metal che hai comprato e che ha avuto un'enorme influenza su di te?

- Non riesco ad individuare una singola fonte d’ispirazione. Noi tre abbiamo trovato la nostra ispirazione in diverse correnti musicali che non necessariamente "viaggiano" insieme, alcuni suoni sono legati rigorosamente alla tecnica, altri ad un profondo livello filosofico, altri ancora all’aspetto della performance. Il primo album death metal che ho preso è stato (se ricordo bene) "Back from the Dead" degli Obituary, acquistato all'età di 13 anni (era una nuova uscita del '97). Avevo sentito parlare di quella band in un periodo in cui ero alla ricerca di musica più pesante, e riuscii a trovare quel disco in un negozio di dischi posizionato nella mia zona. "Back from the Dead" è stato il cancello da cui sono entrato in contatto con un nuovo mondo da esplorare. C'era qualcosa di inebriante in quel genere musicale, in quanto diverso e distorto, nulla che possa essere paragonato a tutto ciò che è comunemente considerato radio-friendly. Ci sono voluti solo pochi mesi per scoprire il death e il black metal, i due generi per eccellenza nel circuito delle sonorità "estreme". Queste prime esplorazioni mi hanno ossessionato a tal punto da voler diventare uno dei migliori batteristi della scena. Ho lavorato duramente per poter dire la mia a certi livelli, consumando gran parte del mio tempo libero durante l’adolescenza.

Quali sono i tuoi film preferiti di sempre? Cinque titoli sarebbero sufficienti.

- E’ una domanda estremamente difficile. Elencherò solo alcuni film che amo, i primi che mi vengono in mente...

- There Will Be Blood, The Life Aquatic with Steve Zissou, Schlinders List, Irreversible, Chernobyl series, The Machinist, Se7en, Melancholia, Moonlight, The Killing of a Sacred Deer, Incendies, Ex Machina, Moon, La Haine.

Questi ultimi mesi sono stati molto difficili. La crisi globale legata al coronavirus ci ha concesso del tempo per riflettere attentamente su noi stessi e sulla nostra vita. Cosa cambierà nel futuro?

- Il cinismo che c'è in me non dice nulla. In Nuova Zelanda siamo tornati al livello 1 e la sensazione è quella che le cose stiano tornando lentamente alla normalità.

Jamie, grazie per aver dedicato del tempo per parlare con me. Ti auguro il meglio.

Contatti:
ulcerate.bandcamp.com/album/stare-into-death-and-be-still
facebook.com/Ulcerate
debemur-morti.com

ULCERATE line up:
Jamie Saint Merat - Batteria, Percussioni
Michael Hoggard - Chitarra
Paul Kelland - Basso, Voce

Recensione: 
ULCERATE "Stare into Death and Be Still" - 2020 




lunedì 8 giugno 2020

BRAVATA "Pray For Today" - White Zoo Records




Nati in piena era digitale (abbiamo il 2016 come data certa dell'inizio di carriera), i Bravata sono cresciuti velocemente sviluppando una personale visione della musica, creando un sound caratteristico che spesso attinge dalle formule grumose ed energiche del punk rock, riscoprendo le ramificazioni dei '60s e della new wave, approfondendo le melodie e i ritmi urbani provenienti dal Regno Unito, e miscelando l'indie rock degli anni '80/'90. Durante questi quattro anni di attività i Nostri hanno continuato a suonare per ampliare le migliori idee, mantenendo una scintillante personalità e riuscendo a trasmettere attraverso ogni canzone più di quanto ne fossero coscienti loro stessi. Partiti con una line up differente (di quella prima formazione l'unico membro rimasto è il cantante/chitarrista e leader Sergio Chiari), sono riusciti a mettere pietra su pietra tenendo duro nei momenti difficili, e una volta raggiunto il giusto equilibrio dopo un periodo di assestamento, hanno allargato il proprio raggio d'azione e, cosa ancora più rilevante, rifiutando qualsiasi logica mainstream per rimanere strettamente ancorati ad alcune scelte spontanee ed efficaci, che risultano necessarie alla loro crescita. Il disco viene affrontato con la volontà di creare qualcosa di nuovo rispetto alle canzoni ascoltabili nei precedenti 45 giri ("S/T" del 2016 e "Lead The Sin" pubblicato nel 2019), difficile dunque non rimanere affascinati sin dal primo ascolto. Musica sentita, perciò realistica, sempre pronta a far esplodere ogni pulsione dell'anima, così che si possa avere l'impressione di uno spazio destinato ai vari movimenti frenetici delle singole emozioni, quell'ampio spazio indefinito che non è stato circoscritto da alcun confine grazie anche alla professionalità di Danilo Silvestri e Lorenzo Moretti dei Giuda, entrambi presenti in cabina di regia. A tale proprosito, va ricordato che l'intero lavoro è stato registrato presso il Sudestudio (Le) e i Green Mountain Audio (Roma). Oltre all'aspetto prettamente sonoro, mi colpisce l'idea di poter dare un significato ambivalente al titolo scelto per l'album, come testimonia la copertina raffigurante una rana, fin dall'antichità simbolo della trasformazione per eccellenza. Complimenti a Sergio Chiari (White Zoo Records, Ave Phoenix, Killed By Disco, Disconutshot), al bassista Marco Locorotondo (ex Fading Rain), all'ex batterista Gabriele Mazzotta e agli altri due componenti arrivati dopo le registrazioni, mi riferisco a Riccardo Donno (batteria) e Francesco Mazzotta (chitarra). Il Quartiere Ferrovia a Lecce rivive sotto i colpi dei Bravata. Quando si dice una grande band per un ottimo debutto.

Contatti: 
whitezoorecords.bandcamp.com/album/pray-for-today
facebook.com/bravataofficial
instagram.com/bravata_the_band

Songs:
Perfect Spot, Meet The Girls, Magpie, Bombs, Pray For Today, I Don't Know, Generate, Rave Up, Pristine, Feed The Hole


venerdì 5 giugno 2020

GNAW THEIR TONGUES "I Speak the Truth, Yet with Every Word Uttered, Thousands Die" - Consouling Sounds




Il genio si muove nella follia, tra assurde e folgoranti idee capaci di dar forma e vita a opere molto spesso incomprensibili ma maledettamente attraenti nel loro fascino angoscioso, la storia ce lo insegna e tantissimi artisti lo sperimentano quotidianamente. "I Speak the Truth, Yet with Every Word Uttered, Thousands Die", ennesimo capitolo della prolifica carriera del musicista olandese Maurice de Jong (GNAW THEIR TONGUES), trova nel solito contesto apocalittico la ricetta migliore per rivendicare un'espressività ad alto carico di tensione, tant'è che lo lo stesso epilogo del nuovo disco si rivela del tutto chiarificatore. Dal puro annichilimento alla predominanza della negatività, da istinti deviati al trattamento di malesseri reconditi, le sorprese sono sempre dietro l'angolo e complice l'aggressività sospesa sulla dirompente struttura del songwriting, il dolore viaggia ancora una volta su livelli altissimi, questo senza nulla togliere alle solide ed efficaci interpretazioni di un artista privo di particolari pretese, ma convincente ben sopra la media all'interno di una stile che si nutre di generi come il black metal/harsh noise/dark ambient/drone/industrial. L'incubo si eleva al di sopra di ogni pulsione vomitando sulle "inutili" spiegazioni razionali, imponendosi con arroganza sull'ascoltatore, incapace di proteggere se stesso durante la fruizione. Il ponte per l'inferno si estende distruggendo la vita umana in tutte le sue forme, in tutte le sue fasi ed i suoi momenti, rinnegando l'introspezione a favore di ogni tipo di estremismo degenerativo. Certo, non è assolutamente facile assumere una tale dose di violenza, eppure "I Speak the Truth, Yet with Every Word Uttered, Thousands Die" rappresenta in maniera eloquente tutte le nostre paure e gli orrori contemporanei, perciò, finito il primo ascolto, si ha quasi il terrore di ricominciare dalla prima title track, proprio perchè non si sa ciò che potrà succedere. Il male esiste, non solo come realtà simbolica.

Contatti: 
gnawtheirtongues.bandcamp.com
devotionalhymns.com/gnawtheirtongues
facebook.com/GnawTheirTonguesOfficial

Songs:
I Speak the Truth, Yet with Every Word Uttered, Thousands Die - Purity Coffins, White Void Black Wounds, To Rival Death in Beauty, Here Is No Corruption, Abortion Hymn, A Sombre Gesture in the Faint Light of Dus, Shall Be No More


lunedì 1 giugno 2020

STEVE VON TILL - "OMBRE IN FUGA"






QUELLO DELLO STORICO MUSICISTA AMERICANO STEVE VON TILL SI PREANNUNCIA COME UNO DEI DISCHI SOLISTI PIU' "ATTESI" DELL'ANNO IN CORSO: SONO INFATTI TRASCORSI CINQUE ANNI DALL'USCITA DEL PRECEDENTE "A LIFE UNTO ITSELF" E TUTTO E' PRONTO PER IL RITORNO IN GRANDE STILE DI UNO DEGLI ARTISTI PIU' STIMATI NEL PANORAMA MUSICALE MONDIALE, CONOSCIUTO PER IL SUO RUOLO DI CANTANTE/CHITARRISTA DEI LEGGENDARI NEUROSIS. LA SUA MUSICA INTIMISTA HA DA SEMPRE SUSCITATO L'ATTENZIONE DI UN PUBBLICO ETEROGENEO CHE VA BEN OLTRE I CONFINI DELLA SCENA METAL, GRAZIE AD UN APPROCCIO STILISTICO TRA FOLK E ATMOSFERE TIPICHE DELLE SONORITA' ACUSTICHE PIU' RIFLESSIVE. QUELLA CHE SEGUE E' LA PRIMA INTERVISTA ITALIANA IN ESCLUSIVA (DEL 2020) RILASCIATA A SON OF FLIES. STEVE SI E' RIVELATO UN INTERLOCUTORE AFFABILE E DISPONIBILE, LIETO DI PRESENTARE IL NUOVO "NO WILDERNESS DEEP ENOUGH", IN USCITA AD AGOSTO.

Ciao Steve, grazie per la tua disponibilità. Oggi non posso assolutamente nascondere l'emozione che provo a parlare con te. È veramente un grandissimo onore. Come va la tua vita a Coeur d'Alene?

- Tutto procede al meglio. La mia famiglia sta bene. Fortunatamente la nostra zona ha avuto un numero molto basso di contagi da Covid-19. Sotto molti aspetti, qui nei boschi nulla è cambiato e la stessa cosa potrei dire del mio lavoro. Sono un insegnante di scuola e amo quello che faccio, perciò posso dire di essere veramente felice per avere un'occupazione. Certo, cercare di insegnare a 28 bambini di 9 anni utilizzando internet è semplicemente impossibile, soprattutto in una zona rurale e senza tempo come questa, ma stiamo facendo quello che possiamo.

In questo momento sei impegnato con il tuo nuovo album solista che dovrebbe uscire il 7 agosto 2020, quindi immagino tu sia completamente assorbito dal processo creativo. Sei soddisfatto delle canzoni di "No Wilderness Deep Enough"? È cambiato qualcosa nel tuo modo di comporre e nell'approccio alla registrazione?

- In realtà non ho deciso di creare questo album. Diciamo che è stato “un caso fortuito”. Tutto è iniziato nella casa d'infanzia di mia moglie nel Nord della Germania, dove la sua famiglia ha vissuto nella stessa fattoria per oltre 500 anni. In quel particolare periodo non riuscivo a dormire a causa del jet lag, quindi per combattere l'insonnia ho posizionato una piccola installazione elettronica nell'angolo della sua camera da letto con l'intenzione di imparare il funzionamento di un nuovo software audio. Non sono mai riuscito a capire quel programma, ma mi sono imbattuto in un bel pianoforte campionato da cui provenivano tante semplici progressioni di accordi melodici. Nelle notti successive le ho abbellite utilizzando un Mellotron e alcuni campionamenti di strumenti orchestrali. In quei giorni stavo solo improvvisando, senza nessuna pretesa. Poi, quando sono tornato nella mia casa, ho aperto i file nel mio studio personale e da quel momento ho deciso ad aggiungere dei sintetizzatori, cercando poi di trattare gli strumenti musicali con vari filtri, delays e riverberi. Ecco come ha iniziato a prendere forma il nuovo materiale. Ho cercato di ottenere dei movimenti sonori che potessero avere un senso, arrivando così al punto centrale del processo compositivo. Ma valutando attentamente tutti gli elementi, mi sono reso conto che non erano dei suoni adatti al cantautorato e nemmeno qualcosa che potesse ricordare la chitarra psichedelica del mio progetto Harvestman, quindi ho iniziato a chiedermi se avessi creato un nuovo progetto ambient/neoclassico. Successivamente ho inviato le tracce audio al mio amico Randall Dunn, colui che ha registrato il mio precedente album solista, per chiedere se fosse stato possibile condividere del tempo in studio per sostituire il piano con un vero e proprio pianoforte, e aggiungere un violoncello e un corno francese per cambiare alcune delle parti che avevo composto elettronicamente. Gli piaceva l'idea, ma mi ha anche sfidato. Mi ha detto che avrei dovuto cantare su quel materiale per farlo diventare il mio nuovo album da solista. Non ero molto d'accordo, però ho pensato che non sarebbe stato così male passare una settimana insieme a lui per provare a concretizzare la sua idea. Ai tempi mi trovavo da solo qui in casa durante una mia pausa invernale, ho installato un microfono, ho preso un quaderno e una penna, e ogni mattina mi sono svegliato per lavorare su dei nuovi approcci vocali e su delle parole che potessero funzionare. Alla fine di quella settimana ero d'accordo con lui. Abbiamo prenotato alcuni giorni di studio all'inizio dell'estate 2019 e questo album è il risultato.

Quando scrivi una canzone su una particolare sensazione della tua vita, come per esempio il nuovo singolo intitolato "Dreams of Trees", senti il desiderio di trovare un senso alla concreta esperienza compositiva? Le tue canzoni iniziano dalle parole?

- Le mie canzoni non iniziano mai con le parole ma prendono forma solo con dei suoni, e quando il processo creativo inizia a manifestarsi, cerco solo le parole adatte per i testi. Inizialmente faccio affidamento su diverse riviste di poesie, su parole, frasi e pensieri che, solo in un secondo momento diventeranno idee per le mie liriche, concetti che dovranno adattarsi ad ogni singola canzone. Il principio è non forzare mai la scrittura. Io cerco solo di ascoltare attentamente un certo suono vocale, un determinato numero di sillabe, un ritmo o una cadenza, e da lì cercare di trovare delle parole che suonano bene sulla musica, e che, ovviamente, abbiano un senso logico nell'insieme. Per me non è importante se le parole hanno un senso letterale o meno. Quello che conta è l'energia.

Cosa provi riguardo i testi che hai scritto per "No Wilderness Deep Enough"?

- Penso che siano alcuni dei miei migliori testi scritti fino ad oggi. Gli argomenti delle mie poesie sono stati trattati con serietà, e ciò ha donato ai miei testi la libertà di muoversi con lo spirito sonoro del disco. Sono come tanti pezzi di un collage, in cui ogni linea conduce a quella successiva seguendo un flusso, ma spesso i riferimenti reali possono anche essere esperienze, pensieri, oppure domande completamente diverse e incollate insieme. Ma dal momento che tutto dipende da come io vivo e interpreto la mia realtà, posso dire che funzionano bene.

Devi sapere che alcune delle tue canzoni sono sempre state parte della mia vita, delle mie esperienze vissute, quindi rappresentano una sorta di colonna sonora da circa 20 anni. I brani che hanno segnato la mia anima sono "We All Fall", "Twice Born", "Breathe", "To The Field", "My Work Is Done", "The Wild Hunt ", poi "A Grave Is A Grim Horse", "Clothes of Sand" (Nick Drake cover), "The Acre", "Gravity", "In Your Wings", "A Life Unto Itself", "A Language Of Blood", "Chasing Ghosts". Le tue sonorità mi ricordano tanti eventi positivi e negativi, momenti assolutamente indelebili. Molto spesso una canzone può essere un binario indispensabile a veicolare il dolore interiore o un canale per poter sentire e far emergere qualcosa di profondo, perciò immagino che per te debba essere una bellissima sensazione poter sfogare immediatamente le tue emozioni. Ti va di approfondire questo concetto?

- Raramente riesco a dare un significato alle mie canzoni. Ci sono momenti in cui mi ritrovo a riconoscere un determinato punto di partenza, altre volte i significati o i riferimenti non si rivelano per anni, e questo perché certe cose non sono ancora accadute. Ma devo anche dire che alcuni significati possono rimanere un mistero e manifestarsi solo attraverso un segnale emotivo. Diciamo che hanno una vita propria.

Nel mese scorso il tuo album di debutto "As The Crow Flies" ha festeggiato il ventesimio anniversario dalla sua pubblicazione (usciva il 23 maggio 2000). Che percezione hai oggi di quel lavoro?

- Sono fortunato ad essermi imbattuto in questa forma di espressione. L’intero processo di composizione e registrazione da solista è un caso fortuito. Ai tempi non sono partito con l’intenzione di scrivere un vero e proprio album solista. Devo dire che ho sempre avuto un'apparecchiatura utile per registrare la mia musica in casa. Ecco spiegato il motivo per cui tra il 1994 e il 1999 ho messo insieme un po’ di canzoni che non avevo utilizzato in nessun altro progetto, ed è stato un modo per dare luce alla mia voce interiore mentre lì fuori il mondo dormiva. Infatti, quei brani, calmi e riflessivi, sono stati composti in totale solitudine all’interno di una stanza e, soprattutto, durante le ore serali. Quel disco ha aperto le porte ad un nuovo percorso da esplorare.

Per molti anni sei stato in tournée con i Neurosis, e tutto questo succede ancora nel tuo presente. Ed è proprio a tal proposito che vorrei chiederti quali sensazioni provi oggi a girare il mondo con i tuoi compagni di band rispetto a quando eravate in giro trent'anni fa?

- Ora stiamo molto meglio e andiamo in tournée più comodamente, inoltre oggi ci sono tante persone che vengono ai nostri live. Nei primi periodi era una lotta, ma è stata comunque un'avventura indimenticabile. Non potevamo immaginare che un giorno la nostra musica strana e ostile sarebbe piaciuta così tanto.

Steve, perché sei diventato un musicista?

- I miei genitori ascoltavano tanta musica mentre iniziavo a crescere. Mio padre suonava la chitarra acustica e cantava canzoni folk, e aveva un gruppo al Liceo. Mia madre ascoltava il rock anni '70 e quello è stato il punto di accesso per la ricerca di musica più dura e pesante, fino a quando ho finalmente scoperto il punk rock. In quel momento ho capito che anch'io potevo iniziare ad esprimermi.

Che cos'è per te la passione e cosa significa avere passione?

- La passione è fare delle cose che non hanno un senso pratico perché sei spinto a farle, e quindi senti di doverle fare. Passione è anche quando capisci che stai lavorando duramente a qualcosa che ami e perciò non ti sembrerà mai un lavoro. In qualche modo è come essere posseduti da strane idee e, per questo motivo, bisogna sempre avere il coraggio per farle manifestare nel mondo.

Grazie per la tua gentilezza, Steve. Buona fortuna.

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