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venerdì 9 novembre 2018

Intervista: GERDA - "IL PIANTO DEI SOPRAVVISSUTI"






PER I GERDA LA MUSICA E' LO STRUMENTO PER ESPRIMERE LA LORO NATURA, PER RELAZIONARSI CON LE COSE E GLI EVENTI, MA ANCHE UN BINARIO DA PERCORRERE PER TROVARE UN SENSO AI PASSAGGI-CHIAVE DELL'ESISTENZA. NUTRO UNA GRANDE STIMA PER QUESTA BAND DI JESI, SIA PERCHE' SI SONO SEMPRE RIVELATI DEI MUSICISTI "LIBERI" E "AUTENTICI", SIA PERCHE' APPROFONDISCONO OGNI LORO ARGOMENTO CON FORBITA ELOQUENZA. HO COSI' DECISO DI CONTATTARLI PER FARCI RACCONTARE QUALCOSA RIGUARDO IL NUOVO ALBUM "BLACK QUEER". QUI DI SEGUITO IL RESOCONTO DELLA NOSTRA CHIACCHIERATA.

Qual è la vostra idea di "noise", e cosa ha in più questo genere se lo intendiamo come mezzo comunicativo? Come si è evoluto il concetto di noise nel corso degli ultimi dieci anni?

- Credo ormai il termine sia stato usato per gruppi che superficialmente hanno pochi punti in comune e soprattutto accostato a tanti altri generi più definiti, come punk, hardcore, psych, etc. per cui parlerei più di approccio libero alla musica di cui possono essere chiari i punti di partenza e/o le radici ma, senza esserne un difetto, meno gli obiettivi, se non la ricerca stessa, musicale e personale.

Quindi, cosa ci potete dire su "Black Queer"? E' corretto parlare di "originalità" se teniamo in considerazione tutti gli aspetti che hanno dato forma a "Black Queer"?

- "Black Queer", come anche gli altri dischi, è figlio del momento emotivo della band, delle capacità, della coscienza di sè. Questi sono gli aspetti che conducono a scrivere un disco, presenti, assenti o confusi che siano stati. Nei precedenti le nostre volontà erano più in contrasto e sotto pressione. "Black Queer", per il sentimento che lo percorre, ha una volontà più univoca, non perchè ci siamo accordati su come dovesse suonare prima di comporlo e registrarlo, questa è una cosa che non abbiamo mai fatto e che non siamo in grado di fare. La ragione è piuttosto, io credo, che sempre di più diventiamo un organismo, qualcosa in cui ogni parte ha cratteristiche e funzioni diverse ma insieme alle altre compone una stesssa forma di vita. Per ciascuno di noi quattro suonare significica suonare nei Gerda, ora più che mai.

C'è una forte continuità stilistica tra "Black Queer" e i vostri precedenti album, nell'approccio alla musica in primis, ma l'atmosfera che si respira in questo nuovo lavoro è più cupa e in un certo senso depressiva. Che ne pensate?

- Dopo vent'anni vediamo un percorso emotivo che si riflette sullo stile nella produzione dei nostri cinque dischi. Nascita, coscienza, autodistruzione, libertà e dolore. Troviamo le prime produzioni più claustrofobiche. Non trovo "Black Queer" più cupo o depressivo, i sentimenti però rispetto al passato non vengono più nascosti. Esce una vena malinconica in più, probabilmente.

Che valore hanno per voi le parole utilizzate nei vostri testi? Credo sia un'opportunità poter comunicare qualcosa di profondo a chi ascolta la musica in maniera attenta.

- Nessuna parola è scelta a caso. Stare su un palco, dire certe parole è: essere e dire "guardami".

Mi interesserebbe sapere perché la scelta del titolo "Black Queer". C'è un legame tra il titolo e il concept che sta alla base dell'album?

- Tradotto: frocio nero. Neri e gay sono fra le classi più discriminate, i primi per indirizzo/scelta (sessuale) e i secondi per origine. Storia e società li disegnano come emarginati, deboli e perdenti ma la paura, la debolezza è in chi dalla diversità si sente disturbato. Il disco è dedicato a Francesco Vilotta, chitarrista, cantante e fratello, e nasce dopo la sua scomparsa quasi quattro anni fa. Lui è il nostro "Black Queer", ma nero e diverso è anche il nostro sound, lo è sempre stato ma questa volta, noi crediamo, lo è in particolar modo. E' un disco scuro, molti dei brani parlano di morte, ma è anche un disco in cui gli elementi stilistici si confondono più del solito, un disco in cui emerge in qualche modo più esplicitamente una componente femminile all'interno del sound, se così si può dire, di questo siamo fieri.

In mezzo a questo calderone di cloni e band senza personalità, qual è l'obiettivo dei Gerda?

- Ci sono anche band interessanti in giro, ma è il livello di interesse del pubblico e di certa critica poco coraggiosa che decreta ormai il peso di una band, peso il cui parametro è spesso meramente mediatico. Del resto al giorno d'oggi la comunicazione non svolge più una funzione culturale, il cui fine è la conoscenza, ma economica, il cui fine può essere pure vendere la merda, se piace. E piace, è un minino comune denominatore, semplice e comprensibile, che mette tutti d'accordo. Non abbiamo obiettivi, è naturale. Come l'essere umano, non sceglie di respirare.

La consapevolezza serve a capire la realtà che ci circonda?

- Si, fa male e non riesco farne a meno.

Qual è stato il più grande insegnamento dopo tanti anni di attività come band?

- Che i batteristi sono una categoria umana a parte.

Tempo fa mi capitò di leggere una frase di Alejandro Jodorowsky: "Sei talmente abituato a vivere da vittima che la felicità che ricevi in questo momento ti fa piangere". Vi sentite di commentarla?

- A volte succedono cose molto belle, attimi, picchi così fulgidi che danno la misura del dolore che provi e a cui sei abituato ogni giorno e al cui cospetto siamo costretti a restare troppo freddi. La felicità che ricevi risveglia il corpo e ogni sua percezione, la concezione del passato si fa più chiara. E' il pianto dei sopravvissuti, è l'omaggio a ciò che comunque è stato.

Grazie per la vostra disponibilità. E' la vostra prima intervista per Son of Flies webzine.

- Grazie a te e per averci concesso questo spazio.

CONTATTI:
gerda1.bandcamp.com/album/black-queer
facebook.com/Gerdanoise

GERDA line-up:

Alessandro Turcio - Voce
Alessio Compagnucci - Basso
Roberto vilotta - Chitarra
Andrea Pasqualini - Batteria

RECENSIONE: 
GERDA "Black Queer" - DIY Conspiracy